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    Interzona

    Niente nobiltà, solo tristezza, nella sconfitta

    • di Obelix
    • Febbraio 20, 2012 a 7:43 pm

    di Hobelix

    Meritatamente vincitrice di premi di saggistica in Giappone, questa biografia del generale Kuribayashi, colui che fu chiamato a difendere a ogni costo l’isola di Iwo Jima dall’invasione americana, ha ispirato il film di Clint Eastwood Lettere da Iwo Jima, il parallelo del film Flags of our fathers(ispirato a un libro di Bradley e Powers).

    Il libro è la storia della battaglia di Iwo Jima vista dalla parte dei giapponesi, una battaglia voluta dall’establishment militare giapponese ormai conscio dell’imminente sconfitta eppure risoluto a mandare a un inutile massacro tanti soldati (soprattutto ragazzi e vecchi, le ultime riserve di un esercito imperiale in rovina) per ritardare di qualche mese la resa dell’impero del Sol Levante. Fedeli al loro mandato, i circa ventimila soldati si immolarono quasi tutti, dopo avere subito settimane di bombardamenti pesantissimi e avere patito fame, sete e un calore infernale in gallerie sature di vapori di zolfo. Il generale Kuribayashi ha rappresentato un classico eroe tragico della storia giapponese, che a differenza di altri suoi predecessori non ha visto nella sconfitta (da lui prevista fin dall’inizio della guerra) alcuna nobiltà, ma solo una triste caduta anzitempo nel nulla. Attraverso le testimonianze dei pochi sopravvissuti e la lettura della corrispondenza del generale alla sua famiglia, l’autrice ricostruisce egregiamente l’immagine di un militare professionista esperto e abile, ma anche attento alle sofferenze dei suoi soldati e privo dell’arroganza di tanti suoi colleghi, un uomo profondamente legato alla famiglia, preoccupato di scrivere lettere affettuose senza mai trasmettere il senso di ineluttabilità della prossima scomparsa e il rammarico di non poter più riabbracciare moglie e figli. Un libro capolavoro nel suo genere. Oggi a Iwo Jima ci sono solo poche centinaia di dipendenti civili e militari: è un’isola vulcanica brulla e desolata, sotto il cui suolo si celano ancora le spoglie di tredicimila soldati nipponici. Difficile pensare di ricreare una normale vita quotidiana in un luogo che è diventato un enorme ossario. Sappiamo di quali efferatezze si è macchiato l’esercito giapponese nella seconda guerra mondiale, in nome di un codice militaresco retrivo e ottuso, indegno degli antichi samurai alla cui memoria esso si è spesso (a torto) richiamato. Ma di fronte a ciò che è avvenuto su quell’isola resta solo il profondo rimpianto per tutte le vite di ogni nazionalità bruciate in un rogo insensato, acceso in nome del potere economico e militare. 

    Proprio dopo le difficoltà incontrate a Iwo Jima e successivamente a Okinawa nel risolvere il conflitto in Estremo Oriente con mezzi militari convenzionali, il governo americano decise di spegnere quel rogo con un falò più grande, quello della bomba atomica.

    Kakehashi Kumiko
    Così triste cadere in battaglia.
    Einaudi Stile libero Big 2007 pp. 213, € 15,00
    trad. Pietro Arlorio, Introd. Mario Rigoni Stern 

     

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