Ho incontrato per la prima volta Takeshi Kitano nel film Gohatto (1999), di Nagisa Oshima. Kitano vi recita la parte del capitano Toshizo Hijikata, ufficiale samurai severo – anche se non eccessivamente rigido – che tuttavia non esita a spezzare il legame omosessuale che unisce due dei suoi samurai. Un ruolo drammatico in una vicenda cupa, ma interpretato con una curiosa levità e una sfumatura sardonica, tanto che la sua interpretazione costituisce uno dei maggiori pregi del film. Ho scoperto così di avere, in realtà, già incontrato Kitano, nella parte del boss della Yakuza Takahashi in Johnny Mnemonic (1995) e in Furyo (1992) sempre di Oshima, nei panni del sergente Gengo O’Hara. Un viso che non si dimentica facilmente, il suo, in perenne equilibrio tra il tragico e il grottesco, secondo quel registro di «buffoneria tragica» (definizione tratta da www.quipo.it) perfettamente adeguato ai ruoli interpretati. Non ero quindi molto preparato a quanto racconta nel libro Asakusa Kid (ed.or. 1988, trad. di Marco Fiocca e Yuko Otake) recentemente pubblicato negli Oscar Piccola Biblioteca Mondadori. Asakusa Kid è il racconto degli inizi di Kitano, studente di ingegneria assai poco solerte, che partecipa alle rivolte studentesche dei primi anni ‘70 senza però dimenticare la sua provenienza sociale.
[…] per quanta scena facessero e per quanto si dessero un tono mentre smerciavano i loro discorsi, erano tutti contapalle matricolati e finti fancazzisti, che, una volta tornati a casa, ritrovavano curiosamente dei genitori onorevoli, una famiglia a posto […] quei giovani custodivano, nascoste in fondo alle loro tasche, le carte che garantivano la sicurezza.
Kitano è figlio di un imbianchino e di una donna di servizio: «io avevo abbandonato l’università e mi sentivo perduto». La sua biografia si apre con la decisione di andare ad Asakusa per diventare attore comico. Viene infine assunto come ragazzo dell’ascensore in un cabaret di strip-tease («di tanto in tanto avrei potuto andare a vedere gli spettacoli»): il France-za [Français] nel quartiere Asakusa di Tokyo. Mentre lavora al cabaret, gli viene chiesto di sostituire uno dei comici delle attrazioni. Inizialmente rifiuta, ma quando gli viene spiegato che deve semplicemente camminare sul palco, accetta (da www.quipo.it). Il giovane Kitano, indeciso e sperduto, incontra il «maestro» Senzaburo Fukami e apprende gradualmente da lui i modi e i piccoli segreti del Manzai, il teatro comico tradizionale giapponese. Fukami conosce bene il mondo dei piccoli, scalcinati locali di Asakusa, attori, ballerine, uomini della Yakuza e soprattutto il pubblico; un pubblico distratto, alla ricerca di facili emozioni, che paga il biglietto per un umorismo greve, pesantemente connotato sessualmente, e per qualche nudità femminile. Oltre alle regole del Manzai, Kitano impara così anche le regole di vita del mondo di Asakusa e ad apprezzare il candore e la spontaneità dei rapporti che regolano quel mondo. La buffa sollecitudine materna delle ballerine, l’inevitabile e sorprendente promiscuità, la solidarietà e l’affetto che unisce tutti coloro che lavorano nel France-za. Soprattutto impara da Fukami l’arte di intrattenere il pubblico – un pubblico sempre distratto, spesso ubriaco – e acquista padronanza e sicurezza, cominciando a definire un proprio modo di interpretare battute e situazioni fisse.
Avevo compreso che lì, in ogni situazione, nulla avrebbe potuto sostituire la pratica. La forma e la teoria vengono sempre dopo. Salire sulla scena, riflettere, ma soltanto dopo aver agito, questo corrispondeva perfettamente alla mia sensibilità, Secondo la concezione dell’arte dei comici di Asakusa, le indecisioni non importavano nel momento in cui si recitava davanti a un pubblico.
Ma Asakusa Kid è, oltre che il racconto di un apprendistato – narrato con affettuosa partecipazione e uno humour talvolta irresistibile – il fedele ritratto di un Giappone anni settanta poco noto al lettore occidentale, la cronaca di un piccolo mondo destinato a scomparire.
Takeshi Kitano, Asakusa Kud
Mondadori Oscar 2002, pp. 200, € 9,50, trad. Fiocca M, Otake Y.
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