La letteratura «gialla» ha sempre avuto due anime. La prima è soprattutto ludica, ha antenati illustrissimi nelle serie dedicate a Sherlock Holmes e Philo Vance e la sua manierata «regina» in Agata Christie, e propone all’investigatore e ai lettori rebus ed enigmi da risolvere sulla base di indizi seminati dall’autore; l’altra anima è impegnata e al lettore vuole soprattutto descrivere un ambiente e i personaggi che ne fanno parte; è un’anima screziata di «nero», attenta ai moventi in quanto moti dell’animo umano, che spia il mondo dal basso e con rancore, come scrisse un critico americano. Inutile ricordarne i moltissimi esponenti, da Chandler a Ellroy, da Scerbanenco a Derek Raymond, spesso recensiti in queste pagine.
Per entrambi i sottogeneri, comunque, vale la regola aurea del giudizio del lettore: è una buona storia? È stata raccontata bene? Sono riuscito a identificarmi almeno un po’ nei personaggi? Se le risposte sono dei «no», l’opera, al di là delle buone intenzioni di chi l’ha scritta, non è riuscita. Inutile dire che, come per tutta la narrativa, spesso le opere migliori sono ibride e, nel continuum tra il totale disimpegno e la totale tensione etica, stanno a metà dello spettro, riuscendo a sedurre chi legge per poi indurlo a riflettere.
I due romanzi di questo numero si collocano senza difficoltà alle due estremità dello spettro; entrambi sono promettenti ma, sottoposti alla regola aurea, spuntano soltanto un «appena sufficiente».
Il primo, La colonna di Rolando di Sergej Verč (Robin, 2006), è un romanzo insolito, ambientato a Trieste, che promette di esplorare umori e rancori di quella comunità slovena (attualmente costituita da almeno 80.000 persone) che, dall’epoca fascista in poi, ha vissuto problematicamente a fianco degli altri italiani. L’autore, esponente di quella comunità, costruisce la sua storia con fredda passione e conoscenza di causa, inaugurando con questo romanzo, scritto in lingua slovena nel 1991, una serie dedicata a Beno Perko.
Giovane commissario triestino, di cultura slovena come l’autore, Perko ha preferito lasciarsi alle spalle la difficile convivenza tra le due culture e lavorare a Eboli, dove i conflitti tra criminalità e forze dell’ordine poggiano su una base più chiara e feroce e dove la sua opera investigativa gli sembra più necessaria.
Prestato alla magistratura triestina per risolvere un caso molto speciale, Perko torna di malavoglia nella città per bene e sonnolenta di tanti anni prima e trova i colleghi di un tempo rassegnati a non fare carriera e ad affondare nella routine di reati minori e rapporti da compilare. L’unico a cercare di muovere le acque è il nuovo capo della polizia, convinto che alcune indagini vengano insabbiate apposta. Come il caso, tutto interno alla comunità slovena, della morte in mare di Sanja, giovane amante del segretario personale di un importante imprenditore e benefattore della città. Archiviato come suicidio, il caso non è mai stato risolto…
Trieste, Piazza Unità d’Italia |
Il collaboratore assegnato a Perko per riaprire l’indagine è un vecchio amico, deluso e inchiodato da anni al grado di vice ispettore, che beve troppo e lavora senza entusiasmo, fingendo di non vedere quando gli indizi conducono troppo in alto. L’indagine, che presto coinvolge anche la bella Jasmin, porta Beno tra la sua gente di un tempo, introducendolo nel mondo esclusivo e appartato del nuovo ceto imprenditoriale e in quello chiuso e diffidente della gente comune che, poco aspettandosi dallo «Stato di diritto» italiano, preferisce lavare i panni sporchi dietro il muro di gomma del silenzio. Il filo che Perko sta seguendo lo porterà molto lontano, agli anni Quaranta e a storie di nazisti in fuga, di carichi preziosi passati di mano in mano e poi scomparsi, di collaborazionisti sloveni, di criminali mai consegnati alla giustizia, di colpe mai pagate.
Le vicende storiche evocate da Verč ancora bruciano e la realtà sociale di Trieste, almeno quella di quindici anni fa, è in gran parte sommersa, inavvertibile per chi non appartiene alla città; La colonna di Rolando, scritto con onestà e partecipazione, ha il grande merito di spiegarlo ai lettori. Dal punto di vista della narrativa di genere, però, qualcosa non funziona: il ritmo è lento anche se gli episodi sono molti, Perko pensa e parla troppo, la soluzione giunge a sorpresa ma non è sorprendente, nonostante scaturisca da vicende autentiche che affondano lunghe radici nella storia locale, e la «fine» è raggiunta con un espediente che molti cultori del genere troverebbero poco accettabile. I personaggi, e forse questo è il difetto maggiore, sono minuziosamente descritti ma non prendono vita: il bravo funzionario Perko non riesce a guadagnarsi la simpatia del lettore, Jasmin è poco più di un nome seguito da una serie di aggettivi e dichiarazioni sentimentali, «buoni» e «cattivi» sono convenzionali. Se ne salvano un paio, ai quali l’autore sfortunatamente dedica poco spazio: il segretario ambiguo, bizzarramente colto e ascetico, e un giovane sacerdote costretto a scegliere tra la forma e la sostanza della propria missione. Quanto al deuteragonista, chiamiamolo così, per essere la chiave di volta di tutto il romanzo, sinceramente è poca cosa.
Il mistero di Rue des Saints-Pères di Claude Izner – pseudonimo di due simpatiche sorelle libraie parigine – (Nord 2006) è, invece, un giallo scritto per divertire i lettori, anzi i «grandi lettori», e celebrare i libri, a cominciare dall’ambientazione (la Parigi del 1889, anno della Esposizione Universale e dell’inaugurazione della Tour Eiffel) e dal «detective per caso» che risolverà una vicenda molto aggrovigliata: il giovane libraio Victor Legris, socio, amico e quasi-figlio di Mori Kenji, giapponese coltissimo e dal passato pieno di segreti.
Ingredienti simili, per la verità, sono stati utilizzati in un altro giallo recente: Jules Verne e il caso della camera oscura di Guillaume Prévost, ambientato sempre a Parigi ma trent’anni prima, ai tempi della Prima Esposizione Universale. In entrambi i romanzi c’è il gusto di usare come sfondo vicende eccezionali ma accuratamente documentate e l’esplorazione dell’ambiente parigino più colto e vivace, nel quale, come funghi, spuntano nuovi quotidiani e giornalisti con un occhio puntato sulle «verità» nascoste dal potere e l’altro sul numero di copie vendute vanno a ficcare il naso dove la borghesia e la nobiltà non avrebbero voluto.
Come il giovane Verne di Prévost, anche Victor si ritrova redattore improvvisato (precisamente del nuovissimo quotidiano Passe-partout) e immediatamente cade preda del fascino di Taša, la bella, intelligente e disinibita vignettista russa. Un nuovo caso avvince i lettori del quotidiano e tutti i parigini: una serie di morti inspiegabili, accomunate soltanto da un piccolo segno sul corpo delle vittime, simile a quello lasciato dalla puntura di un’ape. I defunti – uno straccivendolo, una degnissima e stagionata matrona, un esploratore appena tornato da un lunghissimo viaggio, un ricco e misterioso collezionista, un tenore slavo – hanno in comune soltanto le circostanze della morte e l’essersi trovati, a una certa ora di un certo giorno, tutti all’ultimo piano della Tour Eiffel…Insomma, gli ingredienti sono di buona qualità e promettono una lettura piacevole, ricca di rimandi e citazioni.
Purtroppo le autrici non hanno avuto il coraggio e il gusto della contaminazione di Prévost, che scaraventava il suo Verne nel mezzo di un’ottima imitazione di feuilleton. Il caso delle api assassine non decolla; sera dopo sera, riaprivo paziente il libro (un’edizione fuori commercio riservata ai librai) chiedendomi: «dov’ero rimasta?»; a giudicare dallo scambio di battute, nelle pagine precedenti doveva essere accaduto qualcosa di importante, ma che cosa? E quando, puntualmente, mi imbattevo in Victor innamorato/dubbioso della bella Tasa, mi slogavo la mandibola dagli sbadigli. Proprio come quando, da bambina, in un film gremito di pirati, o cavalieri medievali, o coraggiosi soldati napoleonici, compariva il primo piano melenso dell’eroe che rivelava alla lei di turno tutto il suo amore… Ma che noia!
Però le sorelline scrittrici sono simpatiche… quasi quasi darei loro un’altra possibilità.
Sergej Verč
la colonna di Rolando
Robin 2006, pp.288, € 9,00
Trad. Laura Sgubin
Claude Izner
Il mistero di Rue des Saints-Pères
Tea 2007 (già Nord 2006) pp. 309, € 9,00
trad. Chiara Salina
disponibili anche in forma di e-book.
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