Per una storia naturale della letteratura fantastica
All’interno di un percorso, sia pure incompleto e umorale com’è quello della storia naturale della narrativa fantastica ospitata da LN, non poteva mancare Il Signore degli Anelli, ovvero uno dei testi più ricchi e ambiziosi del XX secolo nel campo della narrativa di invenzione.
Un testo non solo ricco e ambizioso, ma anche capace di creare passioni, amori e sogni e rifondare quasi ex novo un genere letterario: la fantasy. Un fall-out che ben pochi libri nella storia della letteratura sono stati in grado di determinare.
Il Signore degli Anelli è stato scritto da J. R. R. Tolkien nell’arco di quattordici anni e i tre volumi che lo compongono sono stati pubblicati tra il 1954 e il 1955. La prima edizione italiana (Rusconi Libri) è apparsa nel 1977 nella traduzione di Vicky Alliata di Villafranca.
A precedere la trilogia era apparso nel 1936 in Gran Bretagna Lo Hobbit, protagonista lo zio di Frodo Baggins, Bilbo, personaggio che compare anche, e con un ruolo non secondario, ne Il Signore degli Anelli.
L’autore è stato uno dei maggiori studiosi inglesi di letteratura anglosassone e medioevale, docente a Oxford dal 1925 al 1945.
Ulteriori informazioni e notizie sulla nascita del libro e sulla vita del suo autore possono essere facilmente rintracciate sia in libreria sia sul Web. In entrambi i casi si ha la sensazione di una quantità impressionante di materiali, tanto più impressionante se si pensa che, in fondo, di un singolo libro si parla.
«Sword & sorcery» (spada e magia) – una definizione di Fritz Leiber – o «Heroic fantasy» è il genere narrativo nel quale la trilogia di Tolkien è stata normalmente inserita. Una sistemazione per certi versi corretta anche se francamente riduttiva. Fratello scapestrato del ben più titolato romanzo storico, il romanzo di ambientazione antica o medioevale (o meglio, pseudo-antica e pseudo-medioevale) apparve in forma riconoscibile all’inizio del XX secolo nelle opere di Edgar Rice Burroughs, il creatore di Tarzan. Si trattava di storie ambientate in luoghi geograficamente definiti ma in epoche – lontano passato / remoto futuro – dove, all’interno di società rigide e gerarchiche fino alla caricatura – il singolo, eroe e/o predestinato, era chiamato a sfidare qualche iniquo potere e a vincerlo grazie al suo valore, coraggio e forza morale.
Robert E. Howard, il creatore di Conan, inventò il mondo di Cimmeria, esaltando e sottolineando proprio gli aspetti più avventurosi – e crudeli – della componente negativa e oscura del plot. Negli anni trenta apparvero autori come Leigh Brackett o Kathrine Moore e il rapporto tra fantasy e romanzo storico, soprattutto nelle opere della prima, si fece sempre più labile e illusorio.
Difficile pensare, tuttavia, che J. R. R. Tolkien fosse stato in gioventù un lettore di pulp magazinesamericani come Weird Tales o Astouding Stories. I suoi riferimenti erano testi come Beowulf e il ciclo bretone di King Arthur e autori come A. C. Swimburne, W. B. Yeats, C. S. Lewis e W. Morris.
Egli [William Morris] cercava di ricreare una tradizione mitologica nordica e per questo si dedicò allo studio della lingua e della cultura islandesi. Tolkien, che tentò un recupero della mitologia tramandata in old norse (antico norvegese), fu uno dei più sinceri estimatori di questa ricerca […]
Insomma, l’amore di Tolkien per la fantasy nasceva direttamente dalla passione per la letteratura arcaica nordica, per testi come l’Edda di Snorri Sturluson, scritto in islandese nel XII secolo.
Alto suona Heimdallr
il corno è levato nell’aria,
parla Odhinn
col capo di Mimir;
trema Yggdrasill,
il frassino eretto;
[…]
Che c’è presso gli Asi?
Che c’è presso gli Elfi?
[…]
gemono i Nani
dinanzi alle porte di pietra.
Questo è un brano tratto dall’Edda nell’edizione Adelphi a cura di Giorgio Dolfini.
Dove sono cavallo e cavaliere?
Dov’è il corno dal suono violento?
[…]
sono passati come pioggia sulla montagna,
come raffiche di vento in campagna:
I giorni scompaiono a ovest,
dietro i colli che un mare d’ombra bagna.
Chi riunirà il fumo del legno morto incandescente?
Questo è invece un brano tratto da Il re del palazzo d’Oro, nel secondo libro del Signore degli Anelli, Le due Torri.
Evidente l’assonanza dei due testi. Nel suono dei nomi propri, nell’uso dell’interrogativo retorico tipico della tradizione orale, nella sensazione di perdita, imminente o già avvenuta. Il dolore e la paura trasmessi dal testo di Sturluson in Tolkien trascolorano in malinconia e sensazione di perdita irreparabile.
Edda è un testo basato sulla mitologia nordica della definitiva distruzione – Ragnarök –, cui fa seguito, per infinite ere una nuova rinascita. La conoscenza di questo destino accomuna uomini e dèi in un sentimento fatale e malinconico, ma anche eroico, dell’esistenza.
Ne Il Signore degli Anelli a dominare è il senso di perdita oscura che accomuna tutte le razze non umane. Il tempo degli elfi e delle creature preumane è finito. Con loro ha termine il mondo della Terra di Mezzo, cui farà seguito la nostra terra dominata dagli uomini, orfani dell’immortalità e della risonanza arcana con la natura delle cose nota come magia.
L’Islanda fu popolata da profughi norvegesi che fuggivano dalla cristianizzazione forzata imposta dal re di Norvegia. Portarono con loro la tradizione della democrazia (il parlamento islandese fu la prima istituzione di questo genere nella storia europea) e la diffidenza per una religione imposta, veicolo e garante del potere assoluto. Ma anche la nostalgia e il senso di perdita degli esuli.
Il paganesimo non cessò con la conversione degli islandesi al cristianesimo, ma sopravvisse a lungo a fianco del nuovo credo, carico del suo sentimento profondo di caducità delle cose.
Tolkien, attraverso Il Signore degli Anelli, volle unificare e dare nuova vita alle tradizioni pagane nordiche. Così la terra di Mordor e Sauron, l’oscuro Signore, rappresentano necessariamente un male privo di sfumature, l’elemento di contrasto irriducibile posto come competitore ultimo fino al giorno di Ragnarök. Non ha quindi molto senso osservare, come più volte è stato fatto, che un male tanto privo di sfumature non appartiene alla tradizione letteraria del XX secolo. Infatti Tolkien non intendeva narrare un «male» in qualche modo comprensibile e storico, ma rifarsi alla tradizione di un male universale ed immanente che consumerà uomini e dei in un ultimo giorno di distruzione.
Il Signore degli Anelli è stato un testo lungamente accusato, insieme al suo autore, di essere organicamente, profondamente, integralmente di destra. Non solo nel suo essere un testo fantastico, quindi «lontano dai problemi e dalle tensioni della vita quotidiana», un testo «di evasione dal reale», ma anche per l’ideologia coerentemente superomista, premoderna e pagana che ne forma il centro. Infatti nella Terra di Mezzo non esistono modulazioni sociali definite né sono possibili destini diversi da quello posseduto alla nascita. Chi è stalliere resterà stalliere per tutta la vita, chi è Re, idem, chi è perfido consigliere al servizio dell’Oscuro Signore resterà perfido ecc.
Se le prime accuse, relative alla natura fantastica del testo, appartengono alle categorie più viete e sinceramente ottuse di un pensiero oratoriale convertitosi al comunismo delle buone intenzioni, diverso il discorso quando si comincia a riflettere sui motivi e sull’ispirazione che hanno condotto un signore molto colto a rivisitare – all’inizio degli anni quaranta – la tradizione norrena con un romanzo che ne possedesse la medesima atmosfera ed esprimesse il senso malinconico di una vita senza salvezza né resurrezione.
Il risultato è stato un colossale anacronismo, un libro borgesianamente iperletterario che rimetteva abilmente in circolazione – all’interno di un meccanismo narrativo tradizionale e sempre efficace come quello dell’epica – elementi tratti dalla tradizione orale e scritta del mondo nordico.
Non facile stabilire l’ideologia di un simile colossale esercizio amatoriale, esattamente come risulta difficile stabilire la traccia profonda lasciata da una fiaba. Si rischia facilmente di sbagliare completamente il bersaglio o mettere in fila osservazioni e riflessioni alle quali il libro, quasi «magicamente», dimostra di sfuggire senza difficoltà. Di certo c’è l’amore che Il Signore degli Anelli ha suscitato in persone di tutte le età e di tutte le convinzioni politiche. Un dato che dovrebbe per primo far riflettere chiunque si occupi senza pregiudizi di letteratura. La dimensione profonda della Terra di Mezzo e dei suoi abitanti è probabilmente l’interrogativo etico sul nostro ruolo nel mondo, un interrogativo che, apparso per la prima volta nell’infanzia, non cessa di accompagnarci per tutta la vita preesistendo alla nostra dimensione esistenziale e politica. Un elemento da non trascurare, mettendo tra parentesi la nostra calma convinzione che il Signore degli Anelli sia stato comunque scritto da un docente universitario di Oxford che più o meno consciamente giocava con elementi – la tradizione norrena, l’epica dell’eroe, la irriducibile diversità del Male, la profonda diversità dei popoli non europei – che formavano un elemento non secondario del pensiero radicale di destra e del (nazional)socialismo dell’epoca.
Il Signore degli Anelli ci obbliga a fermarci sul confine delle nostre convinzioni, e ad accettare qualcosa che soltanto la narrativa può esplorare, regalandoci brividi e passione.
J.R.R. Tolkien
Il Signore degli Anelli
Bompiani, 2004
pp. 1380, € 30,00
trad. Victoria Alliata di Villafranca
Snorri Sturluson
Edda
Adelphi, 1975
pp. 184, € 16,00
cur.: Giorgio Dolfini