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    Grigio

    Mutatis Mutandis

    • di Massimo Citi
    • Febbraio 11, 2012 a 5:31 pm

    di Piero Fabbri

    A prima vista, sembra proprio un gioco delle parti, un esercizio di stile, anche se non nel senso celebrato da Queneau. Sembra una sfida imposta, una scommessa fatta con se stessa: come se l’autrice di successo decidesse di abbandonare tutti i luoghi e i personaggi che gli sono cari e caratteristici per giocare con altre carte e mostrare così la sua indipendenza dai suoi personaggi. Anzi, no: perché, tutto sommato, fare un’operazione del genere non sarebbe neppure troppo difficile, e tutt’altro che insolita: basterebbe cambiare proprio tutto, iniziare dalla pagina bianca, dimenticare il passato e cambiare genere. Come fanno spesso, appunto, gli scrittori troppo legati a un genere: il giallista che improvvisamente si dedica all’introspezione, l’autore di fantascienza che abbandona le astronavi per parlare degli amori adolescenti che sbocciano sulle panchine dei giardini pubblici; insomma una qualunque, del tutto ordinaria, rivoluzione stilistica.

    Ma non è questo il caso, perché la Vargas continua a parlare di morti ammazzati e di commissari francesi, di indagini poliziesche e di una pletora di sospetti del tutto fuori dell’ordinario, come è sua consolidata abitudine. Il gioco che la scrittrice francese sembra voler giocare è in questo caso del tutto diverso, legato assai più alla tecnica dantesca del contrappasso piuttosto che a quella evangelica della rinascita: perché Fred Vargas fa muovere dei personaggi che sembrano proprio dei calchi dei suoi personaggi più celebri, solo che sono in qualche modo rovesciati. Un vero gioco di variazioni sul tema, o forse esplicitamente di scambi..

    Roma, via della Conciliazione
    Cominciamo dall’inizio, dallo scenario; la città. Lo scambio muta la solita Parigi nell’inaspettata Roma: e sarà certo scambio necessario per far muovere tra i personaggi anche un vescovo che vive nella Biblioteca Vaticana, richiamare Michelangelo e i falsi d’arte, ma è indubbio che Fred Vargas sa muoversi molto meglio nella Ville Lumiere che nella Città Eterna. Se non altro perché far sgozzare una donna in via della Conciliazione è assolutamente meno evocativo che riprodurre il dialogo fitto tra le puttane di rue Delambre; proprio perché quando si va a Roma in via della Conciliazione bisogna passarci quasi per forza, mentre se a Parigi uno gironzolando per Montparnasse incrocia per sbaglio rue Delambre rimane folgorato dalla rivelazione. Il primo scambio, insomma, non si può dire che sia perfettamente riuscito.

    Poi, il commissario francese. È necessario precisare «francese» perché c’è anche il commissario italiano: ma il commissario Ruggieri è antipatico, neanche troppo bravo, e tutto sommato del tutto accessorio alla storia, non ha neppure lo spessore d’un vice, e per fortuna: il confronto con Danglard sarebbe stato devastante. Il commissario francese, dicevamo, si chiama Richard Valence ed è il contrappasso di Adamsberg: forse non è neppure commissario, ma quel che è certo è che è altissimo, almeno tanto quanto Adamsberg è piccolo. Bellissimo, almeno quanto Adamsberg è esteticamente insignificante; pragmatico e duro quanto Adamsberg è soffice e spalatore di nuvole. Ad entrambi piacciono le belle donne, ma questo non fa testo: le belle donne della Vargas sono ineluttabilmente bellissime, e sempre sfuggenti a una definizione piena di bellezza e perfino a una descrizione puntuale dei loro lineamenti. Come se non bastasse, Richard Valence (nome ordinario quanto Adamsberg è insolito) ha occhi in grado di fulminare anche maschietti con una bassa percentuale di predisposizione all’omosessualità, e in ultima analisi non è neanche di una acutezza intellettiva straordinaria. Un bel tipo, insomma, ma sembra disegnato soprattutto per essere l’opposto di Adamsberg, e basta.

    Infine, il parallelo più evidente e sconvolgente: i personaggi più intriganti della narrativa vargasiana sono indubbiamente gli Evangelisti, storici morti di fame che finiscono spesso, ma sempre in maniera altamente improbabile, nel bel mezzo di indagini parigine, dando una mano sostanziale alla risoluzione dei casi. Inseguono faggi trapiantati in giardino e acuti spezzati di vecchie soprano; analizzano reperti fossili nei giardinetti di Parigi, ma restano lontanissimi dai criteri dei telefilm del filone CSI: se l’esperto di preistoria non serve a risolvere il caso, tornerà utile il medievista, magari riepilogando i trattati del tempo sulla peste. Gli Evangelisti si chiamano così solo per i nomi, che ricordano quegli degli autori dei vangeli, sono poveri e sono dalla parte dei buoni, insomma della polizia.

    In questo Prima di morire addio gli Evangelisti non ci sono, ma ci sono il prodotto dell’ennesimo scambio: gli Imperatori. Tiberio, Claudio, Nerone, indivisibili e inseparabili anche loro, ma senza alcuna intenzione di risolvere casi. Loro preferiscono restare dalla parte dei sospettati, non da quella dei sospettanti: non hanno problemi di soldi, vivono a Roma ma sono francesi. E seguendo i loro dialoghi a tre è davvero difficile non riandare con la memoria ai dialoghi a più voci degli Evangelisti. Imperatori romani a Roma, neanche troppo originale come situazione, a ben vedere. Anche perché il romanzo è forse troppo breve per disegnare al meglio tutti i personaggi, e specialmente le loro interazioni, che nei romanzi di Vargas sono sempre state le cose migliori e più importanti; la scoperta dell’assassino, di solito, è solo conclusiva come lo era la comparsa della parola «fine» sui vecchi film, non è centrale ed essenziale come in Agatha Christie.

    E dovrebbero essere proprio gli Imperatori a giustificare l’ultimo scambio, quello che probabilmente non è causato né voluto dall’autrice: il titolo originale Ceux qui vont mourir te saluent è diventato in italiano Prima di morire addio, che è traduzione quantomeno libera e creativa. Nulla in contrario, almeno per principio, alle traduzioni libere e creative dei titoli: a volte generano sensibili miglioramenti. In questo caso avremmo però preferito una brutale traduzione in latino: «Morituri te salutant» avrebbe senza dubbio meglio reso lo spirito del racconto, e reso giustizia a Tiberio, Claudio e Nerone.

    Jean-Hugues Anglade interpreta Adamsberg 
    Alla fine degli scambi, però, bisogna fare un bilancio, e si rimane un po’ perplessi, specialmente se si è degli affezionati amanti della giallista francese. Forse per abitudine, forse solo per inerzia conservativa e pigrizia di lettore, tutti gli scambi sembrano finire in perdita: gli Imperatori non sono neppure lontanamente paragonabili agli Evangelisti, Adamsberg è personaggio decisamente più complesso di Valence, e Ruggieri neppure lontanamente assimilabile a Danglard. Roma sembra essere stata scelta come palcoscenico solo per la necessaria ambientazione vaticana, ma questo lascia ancor più l’amaro in bocca, dopo che l’uragano Dan Brown ha già abusato, sia in libreria che al cinema, dei misteri pontifici e vaticani. Possibile che una scrittrice come Fred Vargas sia scesa a compromessi così meschini con la logica perversa di Angeli e Demoni?

    Un minimo di indagine, e molte risposte arrivano a giustificare, se non proprio ad assolvere completamente, la giallista parigina. L’indagine può limitarsi al colophon del romanzo, dove, a fianco del logo di copyright della Giulio Einaudi Editore s.p.a. l’anno 2010 splende coerentissimo con i calendari appesi in ogni dove, ma rimane fortemente stridente con l’altra «c» cerchiata, quella delle Editions Viviane Hamy: quel simboletto d’oltralpe è infatti seguito dall’anno 1994. Questo dovrebbe voler dire che questo Prima di morire addio è nuovo per i banchi di vendita italici, ma vecchio abbastanza da essere quasi in età di voto per le librerie francesi. La rivelazione sconvolge gran parte dei giudizi severi nei confronti della Vargas: il romanzo è evidentemente ancora acerbo, prequel e non sequel della produzione vargasiana degli anni Novanta e Duemila. Gli Evangelisti hanno probabilmente fatto seguito agli Imperatori, e non viceversa: Adamsberg comparirà solo due anni dopo (nel 1991, nel romanzo L’homme aux cercles bleus) e per quel che ne sappiamo, il risultato finale di Valence, troppo alto e troppo bello, potrebbe essere stato tanto sgradito al pubblico o all’autrice da far sì che il nuovo protagonista avesse tutte le caratteristiche fisiche e psicologiche opposte. E soprattutto, per chi ha a cuore la salvaguardia della stima nella Vargas, gli Angeli e Demoni dovevano ancora essere inventati dalla penna di Dan Brown.

    L’autrice

    A uscirne un po’ meno bene è la Einaudi. Il progetto di tradurre e pubblicare tutte le opere di Vargas è meritorio, almeno per chi ama la scrittrice: e sarà indubbiamente remunerativo. Ma non sarebbe corretto rendere un po’ più esplicita la differenza tra il mettere in stampa un’opera recente e una vecchia di sedici anni? Solo per correttezza verso il lettore, che peraltro acquisterebbe comunque il libro, se vuole acquistarlo: chi legge la Vargas non cerca certo nelle sue pagine le ultime notizie di cronaca. Del resto, giusto un anno fa Einaudi aveva pubblicato tre racconti del 2002, naturalmente senza palesare troppo la cosa in quarta di copertina; ma lì lo scandalo era ancora più gretto e direttamente misurabile: il libro era una sottiletta di neanche cento pagine, eppure ci volevano lo stesso tredici euro per portarli a casa.

    Se continua così, c’è da augurarsi, come lettori, di affezionarsi ad autori che riescano a raggiungere il giusto livello di notorietà per essere pubblicati e tradotti, ma non tanto di più; perché sennò le operazioni commerciali di contorno riescono ad invelenire persino un giallo come questo, che pure usa – forse non caso – la cicuta come arma del delitto.

    Fred Vargas

    Prima di morire addio

    Einaudi Stile Libero Big, 2010, pp. 196, € 16,50

    Trad. Margherita Botto


    Qui breve biografia dell’autrice


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