Una frase del celebre drammaturgo tedesco Friedrich Schiller recita: «contro gli dèi si può combattere, contro l’idiozia no!»
Potrebbe essere questa una delle infinite epigrafi con la quale accompagnare il ritratto di Renato Caccioppoli, una delle più grandi personalità del Novecento italiano. In questo numero di «Napoli nobilissima» ne vogliamo celebrare l’immensa altezza intellettuale e umana, convinti che uomini come lui sono rari e che le loro azioni, anche quanto sfociano in atti estremi, ci devono far riflettere, giacché viviamo in un tempo durante il quale l’intelligenza è quotidianamente sottoposta ad assalti sconsiderati di cretinismo di massa talvolta difficili da sostenere. Un personaggio come Renato Caccioppoli può divenire, pertanto, con la genialità, l’ironia e il suo vitalismo sfrenato un mito, al quale appoggiarsi e di cui abbiamo bisogno per continuare a sperare in un mondo migliore.
Caccioppoli nacque a Napoli il 20 gennaio del 1904 e morì suicida l’8 maggio del 1959. Nipote di Bakunin, il noto anarchico russo, ereditò dal nonno «l’amore per la matematica e per la musica, il fuoco della rivolta sempre acceso, il coraggio di combattere ogni battaglia, l’insofferenza per ogni dominio, la consapevolezza del primato della libertà e della pace[1]».
Renato Caccioppoli
Primo figlio di Giuseppe, stimato chirurgo napoletano, frequentò l’Istituto tecnico per geometri, iscrivendosi alla facoltà di Ingegneria per poi abbandonarla dopo tre anni e passare a Matematica dove si laureò, nel 1925, con Ernesto Pascal, presentando una tesi Sulla teoria generale dei sistemi pfaffiani.
Ritenuto dal suo maestro Mauro Picone un più che promettente allievo, in poco meno di cinque anni pubblicò una trentina di lavori che gli consentirono di ottenere una cattedra universitaria a Padova e di proporsi come una delle promesse mondiali nel campo degli studi matematici. Ma Napoli era la sua città. E riuscì a tornarvi nel 1936 occupando prima la cattedra di Teoria dei gruppi e poi quelle di Analisi superiore e Analisi matematica[2].
Non è facile, scrive a questo proposito Ermanno Rea,
liberarsi del richiamo di una città quando a essa ci si sente legati da vincoli così intensi da apparire indecifrabili. Apparentemente Napoli e Caccioppoli si amano perché non si rassomigliano quasi in niente. Si attraggono per forza di contrasto. Ma è giusto esprimersi così? E che cosa significa rassomigliare a una città? Qual è la vera identità di una città se non quella che ciascuno di noi percepisce dentro di sé, disegna dentro di sé? Il «matematico matto» non si muoverà più da Napoli; finirà per far parte del suo paesaggio sommerso, per diventare parte integrante delle sue pietre e dei suoi intonaci, delle sue sere sciroccose e torbide, della sua disperazione romantica: sarà «l’altra Napoli», rispetto a quella rappresentata dall’intramontabile cartolina spaghetti, buonumore e furfanteria[3].
Purtroppo, al suo ritorno egli trovò nella città un’atmosfera stanca, che non lasciava presupporre alcun miglioramento. Il regime fascista aveva spento le ultime luci di protesta e si respirava un’aria piatta. Non a caso Caccioppoli affermò: «Napoli è una palude e noi siamo la fauna malata di questa palude. La vigliaccheria ci fa ingrassare e ci uccide contemporaneamente [4]».
L’intelligenza viva e l’estro di questo personaggio sono rimasti proverbiali, come parzialmente ha dimostrato Mario Martone nel film Morte di un matematico napoletano[5] e la sua biografia, ha scritto Vittorio Paliotti, è talmente singolare che verrebbe da chiedersi: «chi l’ha inventata [6]?»
L’antifascismo di Caccioppoli si espresse con gesti di protesta individuali ed eclatanti sui quali si è costruita una parte della sua fama di matematico matto. Gli episodi in tal senso si sprecano. Tra questi il più famoso rimane quello accaduto nel maggio del 1938, riportato da quasi tutti i testi che parlano di lui. Una sera in una birreria di piazza Municipio, Caccioppoli era in compagnia di Sara Mancuso, conosciuta nel 1936 e divenuta sua moglie l’anno successivo, quando, un gruppo di gerarchi, accompagnati dal pianista costretto a ubbidire, cantarono l’inno fascista. Caccioppoli si avvicinò al pianoforte e cominciò a suonare e cantare, accompagnato da Sara, la Marsigliese. E, non contento della performance, rivolgendosi al pubblico spiegò il significato dell’inno e l’importanza per un popolo di godere della libertà, il dono senza dubbio più prezioso di cui può disporre. I due furono bloccati dai gerarchi che li condussero in questura. Sara fu liberata poco dopo, mentre Caccioppoli finì, per evitare il carcere, prima alla clinica Colucci e poi al Leonardo Bianchi entrambi specializzati in malattie mentali.
In un’altra circostanza il professore fu visto camminare per le strade di Napoli tenendo un gallo al guinzaglio, col preciso proposito di «mettere alla berlina Achille Starace segretario del Partito Nazionale Fascista il quale, in omaggio alla “austerità del regime” aveva diffuso una circolare in base alla quale si faceva divieto ai camerati di sesso maschile di condurre al guinzaglio cani di piccola taglia e in particolare cani bassotti»[7]. Il giorno successivo il provvedimento fu abolito!
Anche all’Università il suo atteggiamento si distinse per il suo anticonformismo, che assumeva toni talvolta sprezzanti nei confronti degli studenti poco preparati e attenti, raggiungendo spesso punte di assoluta comicità. Racconta Vittorio Paliotti: «a una studentessa che non riusciva a risolvere un problema disse: «tracci una linea sulla lavagna». Lei eseguì. «Continui, non importa se la linea uscirà dalla lavagna». La ragazza continuò a tracciare la linea sulla parete e si trovò fuori dall’aula[8]».
Mario Martone nel suo film narra altri episodi, come ad esempio, quello di uno studente assolutamente impreparato al quale il professore restituisce il libretto universitario lanciandoglielo per evitare «che il giovane con la sua ignoranza contaminasse la cattedra»
Ma non era soltanto nei confronti degli studenti che la sua ironia e la sua intransigenza venivano fuori. Ancora Martone ce lo mostra durante un Consiglio di Facoltà, disteso su un tavolo in fondo all’aula, mentre i suoi colleghi sono impegnati in assurde e noiosissime discussioni. Caccioppoli era così! Nulla e nessuno potevano frenare il suo anarchismo «genetico».
Un comizio di Caccioppoli
Una volta, a Bari, dove fu invitato dal Comitato Nazionale dei Partigiani della pace a tenere un comizio in un teatro, egli, racconta Generoso Picone, notò un pianoforte sul palcoscenico «si mise alla tastiera con la platea che si riempiva di gente e anziché il discorso tenne un autentico concerto. Debussy, Beethoven, Strauss. Alla fine spiegò che niente meglio della musica avrebbe potuto rappresentare il significato della pace e, di contrasto, della guerra. Totale ovazione del pubblico, perplessità e sgomento dei funzionari del PCI che avevano organizzato la manifestazione»[9].
Negli anni del Dopoguerra Caccioppoli si avvicinò maggiormente al PCI, anche se la sua anima anarchica gli impedì di trovare spazio in un sistema chiuso. Imbrigliarsi in un’organizzazione verticistica a scarsa democrazia interna com’era il Partito allora, non poteva rientrare nella sua concezione libera dell’esistenza. Per questo non si iscrisse mai al PCI, ma si limitò a continuare a militare tra i Partigiani della pace. Del resto, ogni tentativo di maggiore partecipazione alla vita del Partito fu fallimentare. Una sera, durante un invito a cena dal console generale dell’URSS «non si fece scrupolo a dire esattamente che cosa pensasse della relazione di Andrei Aleksandrovic Zdanov sugli indirizzi culturali del PCUS: «Questo Zdanov è un perfetto imbecille» […] Imbarazzatissimi De Martino e Palermo, allibito il diplomatico»[10].
Il Partito era troppo chiuso nella sua rigidità dogmatica, per sostenere l’estro creativo di Caccioppoli, come ha magistralmente tracciato Ermanno Rea in Mistero napoletano. La crisi esistenziale del grande matematico napoletano forse sarà alimentata anche dall’impossibilità d’intendersi con chi, sotto il profilo ideologico, doveva maggiormente comprendere il suo pensiero e il suo modo di essere. Il PCI, come l’intera società napoletana, non poteva essere un referente possibile per un uomo come lui.
Tuttavia, la sua partecipazione al PCI, risultò «importante soprattutto per i giovani, che [videro] in lui un maestro e un ispiratore di principi più seri per la ricostruzione della democrazia e la salvaguardia della pace. Presidente del Circolo del Cinema, partecipava alle riunioni degli organizzatori e presentava lui stesso i film di Renoir, di Rossellini ecc. in programma. Personaggio pubblico. Presente a conferenze e dibattiti su temi sia estetici che politici [11]».
Del resto, come ha scritto Ermanno Rea, è fondamentale avere mentori come Caccioppoli, infatti, «attraverso la sua persona pian piano ci parve di intravedere come una possibilità, quasi un sogno che non avevamo neppure osato sognare: quello di un comunismo trasandato, spettinato, stretto in un impermeabile un po’ liso, un comunismo insieme privo di pregiudizi, tollerante, nutrito di tutte le linfe presenti nel grande albero della vecchia cultura europea. Soprattutto, un comunismo non separato dalla libertà [12]».
Ma che cosa accadde a Caccioppoli da indurlo nel maggio del 1959 a suicidarsi? Un genio della matematica, che conosceva quattro lingue, con interessi nel mondo della politica, della letteratura, del cinema, con una passione viscerale per la musica (a diciassette anni suonava perfettamente pianoforte e violino) e un’alta credibilità sociale, poteva mai elaborare l’idea di una morte anticipata? Il solo neo nella sua vita personale fu il divorzio da Sara[13], ma da solo non può spiegare il drammatico finale. Con molta probabilità fu, come nel caso della sua cara amica Francesca Spada[14], la solitudine a spingerlo al suicidio. La solitudine che a un tratto dovette pesargli più di ogni altra cosa. La solitudine di un genio che non avendo nient’altro da inseguire si rinchiuse gradualmente «nell’appartamento di palazzo Cellamare, un tempo affollato di amici e compagni, dove pure di recente erano passati Jean-Paul Sartre e Pablo Neruda» e dove «eseguiva al pianoforte il suo Wagner chiedendo silenzio assoluto e arrivando a pagare il doppio dello stipendio alla cameriera perché non provocasse alcun rumore[15]».
La solitudine divenne la sua vera malattia. Il fumo, l’alcool, gli emarginati, con i quali a volte si intratteneva a bere e a scherzare, furono i suoi ultimi contatti con un mondo apparso sempre più inconsistente e distante dalla sua sensibilità e dalla sua genialità. Come ha scritto Gustaw Herling, che ebbe l’occasione di incrociare Caccioppoli in uno dei suoi «vagabondaggi» notturni, «era un monumento ambulante della solitudine e dell’isolamento, o meglio dell’autoisolamento. Mentre lo seguivo, lo superavo, l’osservavo dall’altro lato della strada [sentivo come] l’attrazione di uno specchio, senza però avere il coraggio di avvicinarmi troppo a quella scura superficie [16]»
Il suicidio di Renato Caccioppoli lascerà una parte della città attonita, anche se erano in molti ad aspettarsi un esito di questo tipo. E colpì Francesca Spada con la quale il matematico matto si divertiva a suonare immaginando, forse come lei, mondi infiniti al di là della nube della mediocrità che avvolgeva il presente.
Personaggi come Renato Caccioppoli e Francesca Spada, legati a un unico, drammatico destino, saranno le vittime sacrificali di questa perdita irrimediabile di umanità. Uniti dal grande amore per la musica queste due straordinarie creature diventeranno le icone mancate di un diverso modo d’intendere la politica e l’esistenza. Uno dopo l’altro avevano percepito che «le porte della città erano state tutte di nuovo ben sprangate, ammesso che fossero state mai socchiuse [17]» e forse non intravidero nella debolezza nella quale erano precipitati alcuna possibilità di risalita.
Ma il lascito più grande che Caccioppoli consegnerà alle future generazioni, al di là del disprezzo per l’idiozia, da noi indicata come il perno centrale della sua «missione» sarà una lezione alla classe dirigente e intellettuale della città, ma potremo ben dire meridionale, alla quale apparirà come una voce della coscienza fuori dal coro e dagli intrallazzi personali. Alla Napoli di Caccioppoli si ispireranno gli intellettuali che a partire dal secondo Dopoguerra daranno vita a riviste come «Latitudine», «IX Maggio», «Sud» e più avanti «Le ragioni narrative», tentativi destinati a naufragare per motivi meramente economici, ma che nonostante tutto forniranno la base da cui partire alle nuove promesse della letteratura, del teatro e del giornalismo napoletano. Del resto l’elenco[18], sicuramente limitato, dei nomi mostra l’estrema rilevanza dei personaggi.
Tuttavia la diaspora iniziata nella seconda metà degli anni Cinquanta e proseguita nei decenni successivi, ridurrà la spinta al cambiamento lasciando la città in preda alla sua «classe digerente», per usare la famosa definizione di Raffaele La Capria.
La città infelix prevarrà allora su quella felix, su quella Napoli nobilissima che rimarrà chiusa nel silenzio delle sue biblioteche, tra fasti dimentichi di uno splendore incompiuto.
Note:
1 G. Picone, I napoletani, Laterza, Bari 2005, pp. 147-148
2 Il nome di Caccioppoli, rileva Alessandro Carandente, «rimane legato alle significative ricerche sulla teoria delle funzioni di variabile reale: integrazione, totalizzazione, funzione d’insieme, quadratura delle superfici, approssimazione lineare nonché alle ricerche di analisi funzionale sulle equazioni differenziali ordinarie e alle derivate parziali, sulle funzioni di una o più variabili complesse e sulle funzioni pseudo-analitiche.» (Alessandro Carandente, in G. Bilotta, Renato Caccioppoli per immagini, Istituto grafico editoriale italiano, Napoli 2005, p. 62)
3 E. Rea, Mistero napoletano, Einaudi, Torino 1995, p. 122
4 Ibidem, p. 123
5 Il film, che racconta gli ultimi momenti della vita di Renato Caccioppoli, nel 1992 si è aggiudicato il Premio speciale della Giuria al Festival di Venezia.
6 V. Paliotti, Il paradiso imperfetto, Treves, Napoli 2003, p. 97
7 Ibidem, p. 100
8 Ibidem, p. 102
9 G. Picone, op. cit., p. 145
10 Ibidem , p.160
11 G. Bilotta, Renato Caccioppoli per immagini, Istituto Grafico Editoriale Italiano, Napoli 2005, p. 34
12 E. Rea, op. cit., p. 256
13 Sara Mancuso sposerà successivamente l’intellettuale comunista Mario Alicata.
14 La donna, iscritta al PCI, sarà la protagonista di Mistero napoletano,il già citato libro di Ermanno Rea.
15 G. Picone, op. cit., p. 171
16 G. Herling, Diario scritto di notte, Feltrinelli, Milano 1992, pp. 203-204
17 Ibidem, p. 365
18 Tra questi, per fare i nomi più importanti, ricordiamo Massimo Caprara, Giuseppe Patroni Griffi, Raffaele La Capria, Luigi Compagnone, Tommaso Giglio, Pasquale Prunas, Antonio Ghirelli, Anna Maria Ortese, Gianni Scognamiglio, Giorgio Napolitano, Domenico Rea, Michele Prisco, Ennio Mastrostefano, ecc.
da LN-LibriNuovi 43 – settembre 2007