Lo scrittore di racconti sa che non può procedere in modo accumulativo, sa che non ha come alleato il tempo; la sua unica risorsa è quella di lavorare in profondità, verticalmente, tanto verso l’alto quanto verso il basso dello spazio letterario.[…] Un racconto è brutto quando non è scritto con quella tensione che deve manifestarsi sin dalle prime parole o dalle prime scene.
Con queste affermazioni tratte da Alcuni aspetti del racconto (in Bestiario, Einaudi, «Tascabili», 1999), testo di una conferenza tenuta a Cuba e pubblicata nel 1962, Cortázar enuncia non solo la modalità fondamentale del racconto (non soltanto) fantastico, ma anche ciò che chiede al lettore: il coraggio di tuffarsi e inerpicarsi, di seguirlo in silenzio, di porsi in ascolto.
Il mondo di Cortázar, il nostro mondo, ma studiato in profondità e da grandi altezze, si annuncia sin dalle prime righe:
Andrée, io non volevo venire ad abitare nel suo appartamento di via Suipacha. Non tanto per i coniglietti, piuttosto perché mi addolora entrare in un ordine chiuso, costruito ormai fin nelle più sottili maglie dell’aria […]
così inizia Lettera a una signorina a Parigi. E in quest’ordine consolidato e custodito con determinazione, l’irrazionale entra con passo felpato, in questo caso quello saltellante di alcuni graziosi coniglietti, in tutto e per tutto conigli salvo che per una particolarità sconcertante: «nascono» dalla gola del protagonista, vomitati a scadenza più o meno mensile, in una parodia di parto, annunciandosi con un gentile solletico:
Quando sento che sto per vomitare un coniglietto, mi ficco due dita in gola come una pinza aperta, e aspetto di sentire nella gola la peluria bionda tiepida che sale come un’effervescenza di sali di frutta.
Abitudine curiosa, quella di vomitare coniglietti, ma non una cosa di cui vergognarsi. L’estrazione viene fatta in maniera discreta, igienica, il ritmo è mensile e il coniglietto allevato con amore e sistemato a casa di qualche sincero amante degli filoanimalista. Ma che fare se le «nascite» diventano troppo frequenti? Se i coniglietti cominciano a devastare allegramente la casa della gentile ospite brucando tappeti e volumi preziosi e graffiando l’armadio antico?
«Curiamo le mancuspie fino ad abbastanza tardi, adesso con il caldo dell’estate sono piene di capricci e di scatti improvvisi…». Cefalea è senz’altro uno dei racconti più bizzarri, più progettati. La vicenda è la realistica descrizione della vita di quattro lavoranti in un allevamento di animali. Isolati e stremati dal caldo, i quattro soffrono di vertigini e cefalea, e si curano ricorrendo ai rimedi (tutti citati in latino nel testo) della farmacologia omeopatica. E il fantastico? Beh, vedete, non troverete le mancuspie in alcun dizionario di zoologia. Ho ignorato la loro esistenza sino a che non ho letto Cefalea, ma ora anch’io so qualcosa dei loro capricci.
Circeinvece comincia così: «Perché ormai non deve più importargli, ma allora fu addolorato dalla coincidenza dei pettegolezzi a mezza bocca, dall’espressione servile di Madre Celeste mentre lo raccontava a zia Bebè, dall’incredulo disgusto nel gesto di suo padre». E noi lettori siamo già tutti dalla parte di Mario, ci ritiriamo infastiditi dalle odiose maldicenze su Delia, dalle insinuazioni sulla morte «strana» dei suoi due pretendenti… Ma perché, ci induce a domandarci l’esordio dell’autore, perché «ormai non deve più importargli»? E siamo presi all’amo.
In Omnibus, un tranquillo viaggio in autobus per la città si tramuta in un incubo gravido di minacce inespresse. È pieno pomeriggio di un giorno qualsiasi, il pullman arriva puntuale e NON cambia tragitto. Ma i passeggeri, che strano, stringono tutti, dal primo all’ultimo, il loro bel mazzo di fiori. Solo Clara e un altro passeggero sono a mani vuote…
Fantastico senza fantasmi, quello di Cortázar, eppure fantastico vero, frutto di visioni raccontate con arte e grande mestiere, riprendendo talvolta temi del gotico ottocentesco come quello del doppio. In Bestiario ve ne è un esempio mirabile: Lontana, un vero classico, portato ad esempio nei saggi, (come Territori dellafinzione di Rosalba Campra).
È accaduto ieri notte un’altra volta, io stanchissima di braccialetti e di chiacchiere, di pink champagne […] Mi coricai con sapore di caramella alla menta, di Boogie del Banco Rojo, di mamma tutta sbadigli e cinerea…
Julio Cortazar |
Così inizia il diario di Alina Reyes, la protagonista, che sogna, o immagina, o «sente» un’altra se stessa infelice, affamata e
infreddolita, viva in qualche luogo lontano e ancora senza nome. Piano piano il luogo si precisa, vengono a galla nomi di vie e di piazze, la visione si fa sempre più reale. È Budapest, quella città e Alina, per dimostrare a se stessa che tutto avrà finalmente termine con il matrimonio, sceglie proprio Budapest come meta del viaggio di nozze.
Il racconto più inquietante e «alto» di Bestiario, quello che, a ogni modo, ho amato di più è però proprio quello che dà il titolo alla raccolta, storia di una lunga vacanza che, come ogni anno, Isabel, una ragazzina, trascorre presso amici di famiglia. Nella bella casa di mare alcune persone conducono una vita dai ritmi ben regolati: due fratelli, una sorella e un bambino, accuditi da qualche domestico. Ospite invisibile ma onnipresente della casa è una tigre: «ci stanno molto attenti» dicono la sorella e la madre di Isabel prima di accordarle il permesso di partire. Ed è vero: gli spostamenti della tigre scandiscono la vita di tutti: le stanze dove la tigre si sistema temporaneamente sono considerate off limitse tutti si danno da fare per segnalare i movimenti dell’animale. Le giornate trascorrono tra mare, giochi e pasti educati durante i quali Isabel apprende, senza nemmeno rendersene conto, molte cose dei grandi, anche il malessere segreto di Rema, la sorella giovane che la bambina prende a modello e confidente, un malessere che ha in qualche modo a che fare con i discorsi e le allusioni di Nene, il fratello mediano. I bambini comprendono, anche se non capiscono, e concepiscono (per coraggio o per ignoranza del mondo) soluzioni che gli adulti si vietano persino di pensare… La tigre. presenza inquietante e quotidiana, mette in guardia il lettore, conferendo ai gesti più normali un sapore di ineluttabilità.
In altri racconti il fantastico senza fantasmi di Cortázar prende toni più lievi, e ironici: è il caso di Tanto amore per Glenda, che dà il nome a una raccolta pubblicata da Guanda («Tascabili», 2000, ed. or. 1980, 126 pp.), storia di un gruppo di ammiratori di Glenda, la splendida attrice, così devoti al loro idolo da decidere di «salvarla» dalle debolezze umane e dalle insidie del tempo. Altri racconti del genere, più parenti dell’apologo che della narrazione fantastica, sono contenuti nell’antologia Storie di cronopios e di famas (Einaudi, «Tascabili», 1997, ed. or. 1962, 150 pp., con una acuta nota di Italo Calvino). Entità opposte e complementari, «Cronopios» e «Famas» sono la personificazione estrema della razionalità e dell’intuizione umane, ma come tutti gli opposti finiscono per definirsi reciprocamente e per toccarsi: niente di più genialmente irrazionale della folle razionalità dei Famas, capaci di compilare manuali di istruzioni per piangere e per avere paura, per salire le scale e persino per uccidere le formiche a Roma. E che dire della caparbia metodicità dei Cronopios nel perseguire i loro folli piani? Chissà se, in fondo al loro cuore, saranno Cronopios o famas i membri della famiglia di Simulacri, che edificano con infinita arte e pazienza un patibolo in giardino, sotto gli occhi costernati dei vicini? Un patibolo non è un affare semplice: bisogna prima cercare i materiali giusti, iniziare i lavori con la luna piena, ignorare i pettegolezzi, affrontare le forze dell’ordine… Ma poi, che soddisfazione! La tavola della cena apparecchiata sul patibolo, alla luce della lampada a carburo, un buon nebbiolo per innaffiare il porcellino in salmì: «Un venticello di tramontana cullava dolcemente la corda patibolare; una o due volte stridette la ruota, come se i corvi vi si fossero già posati per mangiare […] afferrate alle inferriate rimasero venti o trenta persone che sembravano aspettare qualcosa». Un’esecuzione, senza dubbio. Simulacri sarebbe piaciuto alla famiglia Adams…
Anche Il fissatigre racconta di un’occupazione insolita: come dice il nome, la tigre è indispensabile e non sempre è contenta di venire fissata. Così ci vuole un notevole coraggio per costruire un fissatigre, ma le soddisfazioni compensano il rischio e quel po’ di sangue perso… Da non mancare Comportamento alle vegliefunebri, nel quale un gruppo di veterani insegna ai novizi (e soprattutto ai parenti indifferenti dei defunti) come si partecipa con sincerità e dolore ad una veglia funebre. Ai familiari, spodestati dal loro ruolo di inconsolabili e provati da lunghe e perdenti gare di pianto con gli sconosciuti ultimi arrivati, non resterà che accompagnare da lontano il feretro, guardati con riprovazione dai vicini incantati dalla grandiosa esibizione degli artisti del compianto. È lo stesso Cortázar a rivelarci – nel lunghissimo titolo di un brevissimo racconto – il proposito di queste narrazioni, progetti accurati che non diventano mai esercizi fini a se stessi e sanno rivelarci aspetti del reale davanti ai quali abbiamo accuratamente chiuso gli occhi: Piccola storia tendente a illustrare quanto precaria sia la stabilità all’interno della quale crediamo di vivere, ovvero che le leggi potrebbero cedere terreno alle eccezioni, al caso o alle improbabilità, e qui ti voglio.
L’elemento fantastico evocato da Cortázar scivola come una nebbia impalpabile da interstizi invisibili nel nostro mondo, nascondendolo, rendendolo irriconoscibile. È il caso di Storia con ragni (da Tanto amore per Glenda) nel quale due persone in vacanza, legate da una misteriosa relazione, ascoltano i rumori provenienti da bungalow confinante con il loro. Narrata da un «noi» subdolo che insieme evoca una complicità pericolosa e conferisce verità alla vicenda, è una storia fatta di nulla, brandelli di ricordi, fantasticherie su un futuro nel quale le due persone ripeteranno le azioni misteriose e inevitabili che le hanno indotte a rifugiarsi lì…
Sdoppiamenti di personalità dove il doppio è contemporaneamente vittima troppo familiare e usurpatore della nostra condizione privilegiata (Lontana); allucinazioni accettate come inevitabile peso del vivere (Cefalea), fluttuazioni nello spazio (ancora Lontana), intrecciarsi di passato e futuro (Nastro di Möbius), fantasmi inafferrabili (Le porte del cielo), percezioni alterate della realtà (Omnibus). Sono tutti ingredienti base del genere fantastico, che nelle narrazioni di Cortázar assumono, grazie ai silenzi, un’ulteriore carattere di indefinetezza, come nota Rosalba Campra: «In Cortázar […] i silenzi irrisolti costituiscono la poetica invariante del fantastico […] Cortázar ha scoperto, dunque, un procedimento efficace per intensificare l’angoscia e farla durare indefinitamente: non nominare, non suggerire nessuna via d’uscita». Nei suoi racconti il «mestiere» è al servizio di un’ispirazione rigorosa, cioè dello «speciale vincolo che si instaura tra il narratore e il narrato» (Del racconto breve e dintorni in Bestiario), un vincolo imposto dalla materia stessa della narrazione, quando si presenta per la prima volta alla mente del narratore. Ne è un ottimo esempio la forma narrativa di Lontana, che è scandita in due tempi: dapprima l’unica testimonianza dell’esistenza del misterioso doppio è costituita dal diario di Alina, forma inaffidabile per eccellenza; in un secondo tempo, la narrazione passa alla terza persona, togliendo al lettore la scappatoia del sogno o della fantasia malata.
La forma, dunque, rende comunicabile una visione che esige di essere comunicata:
Ma quali realtà, quali visioni, oltre a quelle comuni a tutti gli umani, hanno influenzato la narrativa di Cortázar?
Avendo l’autore vissuto in Argentina sino a trentotto anni per poi stabilirsi definitivamente a Parigi (1951), è lecito, pur senza arrischiare interpretazioni metaforiche della sua opera, chiedersi se la situazione politica del suo paese ne abbia in qualche modo influenzato la scrittura. Ernesto Franco, nell’introduzione a Bestiario scrive, sottolineando che il trasferimento a Parigi non fu esilio politico ma libera scelta: «la “presa di coscienza” politica vera e propria […] avverrà più tardi e sarà interpretata come una militanza severa, a cui piegare con disinteresse anche le ragioni di un’opera che, per essenza, rifiuta l’ingenuo “impegno” contenutistico della letteratura». Ma anche quando gli echi di una realtà penosa e violenta affiorano più intensi, il lettore non ha mai la sensazione che il «messaggio» prevarichi l’opera, piuttosto che il malessere e l’angoscia trovino nella scrittura la loro dimensione espressiva. È il caso dello splendido Testo in un taccuino (in Tanto amoreper Glenda), vicenda di esiliati nei sotterranei della metropolitana. Nel racconto centinaia di persone rinunciano inspiegabilmente alla luce del giorno e si autorecludono nel sottosuolo, nascondendosi ai loro simili, persino ai parenti, cambiando continuamente vagone e dormendo tra un capolinea e l’altro. La vicenda si impone con forza, senza necessità di riferimenti troppo facili e trasparenti. Testo in un taccuino non va letto come metafora, ma come il lento scivolare nell’esistenza delle persone di forze assurde capaci di cancellarne l’umanità e che può (ma non deve necessariamente) assumere la forma della dittatura, della violenza politica.
Ritagli di stampa (in Tanto amore per Glenda) forse il racconto che amo di più per la sua necessaria sgradevolezza, affronta il tema terribile della vendetta: una scrittrice argentina rientra a casa dopo aver trascorso la serata in compagnia di un compatriota scultore per il quale deve scrivere la prefazione a un catalogo. Nella notte fredda incontra una bambina sconvolta: «La mia mamma – disse la bimba parlando a strattoni – Il mio papà fa delle cose alla mia mamma». La donna la segue, assiste a una scena sconvolgente, colpisce l’uomo e libera la donna. Insieme guardano il corpo del torturatore… «So soltanto che la bambina non era con noi dal momento in cui ero entrata nella stanza e che ora la mamma stava facendo delle cose al papà…». L’indomani la scrittrice ritrova a fatica la via e la casupola; tutto sembra diverso, eppure tutto è troppo simile alla notte precedente: «[…] come comprendere che anch’io, anch’io benché mi credessi dalla parte giusta[…]».
Le derive della coscienza, i tentennamenti dell’etica, il venir meno di tutte le belle impalcature costruite sulla nostra fortunata lontananza dai luoghi della violenza, non si possono esaurire nel linguaggio razionale del saggio. Possono però essere penetrate, evocate, da una narrazione efficace che afferra l’incubo e per liberarsene la mette sulla carta e ce ne fa dono.
Non è a questo che tende la letteratura, non è a questo che servono i silenzi, quel dire «attraverso il non detto» (come dice Campra) che è una prerogativa della voce di Cortázar?
Julio Cortázar
Bestiario
Einaudi ET scrittori, 2005
pp. 186, € 10,00
trad. Flaviarosa Nicoletti Rossini, Vittoria Martinetto
Julio Cortázar
Tanto amore per Glenda
Guanda, 2000
pp. 128, € 5,16
trad. Carlo Greppi
Julio Cortázar
Storie di cronopios e di famas
Einaudi ET Scrittori, 2005
pp. XXII + 150, € 10,50
Introduzione di Italo Calvino
Trad. Flaviarosa Nicoletti Rossini
da LN-LibriNuovi 17, marzo 2001