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    Magazzino

    La lunga fortuna degli invidiosi

    • di Massimo Citi
    • Gennaio 23, 2013 a 6:47 pm


    Una storia di mare, affascinante e insieme malinconica.
    Nel XV secolo il Celeste Impero possedeva una grande flotta di giunche oceaniche che in sette grandi viaggi giunse agli estremi limiti del Grande Mare Occidentale, ovvero alla costa orientale dell’Africa.
    Tale flotta era guidata dall’ammiraglio Zheng He, eunuco. Dopo la sua morte la flotta oceanica venne disarmata e l’Impero cinese non compì più spedizioni oltremare.
    Il libro di Brunori si propone di fornire una spiegazione – ovviamente romanzesca – a questo repentino cambio di direzione della politica estera imperiale e lo fa attraverso la corrispondenza epistolare che il Grande Eunuco in navigazione intrattiene con il figlioccio rimasto a Corte.
    L’ammiraglio è solo, lontano dall’Imperatore e dai suoi nemici che cospirano per eliminare lui e la grande flotta, timorosi che un fiorente sviluppo del commercio marittimo consenta lo sviluppo del ceto mercantile a scapito del potere del latifondo. Ma il Grande Eunuco non è l’uomo di paglia di qualche consorteria. É riuscito a raggiungere un posto di grande rilievo a Corte unicamente grazie alle sue doti intellettuali e attraverso un lungo e penoso apprendistato, e sa di essere bersaglio, oltreché dei disegni della nobiltà terriera, di personalissime invidie.
    Le sue lettere di autoesiliato, innamorato dell’oceano e della meravigliosa flotta che comanda, raccontano delle contromisure attuate contro i nemici a Corte e infiltrati a bordo delle navi, ma raccontano anche dei luoghi nei quali approda e testimoniano la sua inesauribile curiosità per popoli e terre lontane. Mentre il complotto contro di lui e la flotta inesorabilmente guadagna terreno, l’eunuco racconta la propria vita al figlioccio, riflette, considera, medita su umiliazioni e trionfi del suo apprendistato a Corte e lascia che il tradimento lo raggiunga.


    La sorte dell’ammiraglio coincide con quella della sua flotta e sono i mediocri, i mestatori, gli uomini d’affari a prevalere. Ma le loro meschine ragioni sono nulla di fronte alla tragica grandezza dell’ammiraglio e – com’è giusto – il tradimento vale solo a renderlo più amato al lettore.


    Il Grande Eunuco è stato scritto da uno dei maggiori esperti italiani di cultura cinese e a questo certamente si deve la cura minuziosa nella ricostruzione della cultura materiale e religiosa dell’epoca, ma il romanzo di Brunori possiede diverse e sottili chiavi di lettura che non permettono di sbrigarlo come una metafora dei nostri tempi o come un’ingegnosa ricostruzione d’epoca. L’autore mira a qualcosa di molto più profondo: risvegliare nel lettore il sentimento del tragico. Lo scambio di lettere – talvolta dilatato in altri momenti febbrile – e la loro natura confidenziale si rivelano un eccellente mezzo per rappresentare il personaggio, dare conto dei suoi sentimenti più profondi e della sua visione del mondo. Le sue riflessioni, all’inizio ancora animate dal vigore che lo hanno condotto alla sua posizione, si fanno sempre più amare, cariche del peso del dubbio e della fatica. L’Eunuco si chiede se, in fondo, ne è valsa o meno la pena, e se in fondo la rovina della flotta non sia un segnale della profonda irreparabile crisi dell’Impero. Non sa darsene risposta e finisce con l’accettare la fine, che lo libera dall’angoscia: «Fino a poco tempo fa mi chiedevo continuamente se avrei potuto mai farcela: ora mi sorprendo a chiedermi se lo voglio.»
    Difficile non ritrovare qualcosa di se stessi nelle sue parole, non interrompere la lettura per fermarsi a riflettere.
    Davvero un buon libro. 

    Maurizio Brunori
    Il Grande Eunuco e la sua flotta
    Einaudi, 1998
    pp. 182, € 10,33

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