Il panopticon o panottico, per quelli come me che ne avevano letto ma ignoravano la sua esistenza reale, è un progetto di penitenziario nato nel 1791 da un’idea del filosofo Jeremy Bentham. E il Panopticon è anche il centro di rieducazione giovanile dove è stata rinchiusa Anaïs Hendricks, la quindicenne protagonista del romanzo. Anaïs è una figlia della strada, una «schizzata fradicia», indiziata del ferimento di un poliziotto al momento in coma e si trova al Panopticon – un ex-carcere degradatosi a manicomio, poi a quasi-riformatorio – in attesa della formalizzazione di una accusa ufficiale. È un tipo particolare, Anaïs, una ragazza ribelle e dura nella vita di tutti giorni, con alle spalle cinquantauno (51) cambi di sistemazione, un passato tra drogati e prostitute – tra le quali una, Teresa, è stata una buona madre affidataria – una delusa a oltranza, aggressiva e rabbiosa ma capace di parentesi improvvise di meraviglia infantile, di confusi sentimenti e di cocenti rimpianti che non si permette di lasciar emergere.
Il libro è in prima persona singolare e ogni incontro, ogni giudizio, ogni pensiero di Anaïs diventano i nostri incontri, i nostri giudizi, i nostri pensieri. Abilità dell’autrice, induscutibilmente, e potenza nella scelta della prima persona. Altrettanto potente nel nostro immaginario – e anche nell’immaginario di chi deve sistemare i libri in libreria [*]- è il Panopticon, una torre di guardia con una finestra oscura aperta dentro ognuna delle stanze. Anaïs non si impressiona più che tanto, al suo arrivo, finendo però col creare un rapporto interamente suo con la torre di guardia, con i suoi occhi ciechi, con le presenze enigmatiche e soltanto immaginate che li sorvegliano.
La realtà di Anaïs si trascina giorno per giorno, nell’imminenza di una decisione che non dipende da lei: «… mi sbattono in un riformatorio fino a diciott’anni. Poi la galera», ripescando ricordi consumati, amicizie perdute, passioni impallidite e morte. Si sente gli anni passare addosso come una donna invecchiata male, non riesce a sopportare le droghe che girano, cerca di non farsi incastrare in qualche casino combinato dagli altri ospiti del Panopticon. Ma ha un sogno: Parigi. Una Parigi che ha l’odore i colori dei cartoni animati di Walt Disney ma che per lei è perfettamente reale, è il sogno di adulta, il luogo dove vivere e morire.
Il romanzo si chiude in maniera volutamente enigmatica, lasciando in noi lettori il dubbio che in realtà le cose non siano andate esattamente così. Ma siamo dalla parte di Anaïs quando desidera con tutte le sue forze una vita diversa, un’esistenza scelta da lei stessa e da riempire dei tanti modesti e colorati sogni di un’adolescente finalmente divenuti reali.
Diventiamo tutti adolescenti, immersi in questo libro.
Certo, dovrete accettare di essere invasi dal personaggio di Anaïs, dovrete resistere al piccolo dubbio – soltanto accennato in qualche passaggio – che l’autrice vi abbia preso troppo, portando al limite la necessaria sospensione di incredulità. Ma si può fare, comunque si può fare. E leggere si rivelerà un piacere.
Piccolo particolare: dal libro verrà tratto un film di Ken Loach. Parere personale: un’ottima idea.
Jenni Fagan, Panopticon
ISBN Edizioni, Special Books, pp. 399, € 17,50, trad. Barbara Ronca
[*] Il romanzo nella Feltrinelli di 8Gallery a Torino si trovava nella categoria “Fantascienza e Fantasy”. Il Panopticon ha evidentemente colpito e confuso anche il personale della libreria.
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