Come sarebbe un mondo in cui i supereroi esistessero realmente? A chi renderebbero conto delle loro azioni? Come potrebbero mantenere una lucidità di giudizio e comportamento nel corso di una vita intera passata a contatto con esseri più deboli di loro, e da loro dipendenti? Fino a metà degli anni ottanta nessuno si era posto il problema. A quell’epoca i comics del genere attraversavano un momento di crisi: da troppo tempo negli Stati Uniti i supereroi continuavano a vivere storie calate in un mondo fittizio, superficiale ed edulcorato, buono per lettori bambini o adolescenti. Stan Lee aveva dato un primo scossone a quel mondo, rivelando che anche i supereroi potevano avere le loro nevrosi e vivere i propri superpoteri non come una grazia, ma come una maledizione.
Ci volle un europeo, il britannico Alan Moore, per svelare il lato oscuro dei supereroi, la possibilità che essi col tempo si rivelino menti disturbate, capaci di mettere in pericolo la stessa umanità che dicono di voler salvare dal male. Un plauso alla Play Press per avere ristampato una delle opere più famose del mitico sceneggiatore Alan Moore, con i pregevolissimi disegni di Dave Gibbons. Per quest’opera, nel 1987 i due autori hanno ricevuto i premi Jack Kirby, rispettivamente per il migliore sceneggiatore e per la migliore combinazione sceneggiatore/ disegnatore. Più che un fumetto, un romanzo a fumetti, di proporzioni inusuali (12 capitoli per circa 390 pagine) che rendono il prezzo, benché alto, decisamente accettabile. Forse a molti lettori di LN quest’opera non dirà niente, eppure è una pietra miliare nella storia della nona arte, per essere stato uno dei primi esempi di «revisionismo» del fumetto superomistico. New York, 1985: in un mondo parallelo, in cui si sono già succedute due generazioni di vigilantes mascherati (grazie ai quali gli Stati Uniti non hanno perso la guerra del Vietnam, Nixon è ancora presidente e la crescita tecnologica ha subito un notevole impulso), qualcuno ha ucciso il Comico, un ex supereoe dal pacchiano costume a stelle e strisce e in crisi di identità. Alcuni dei suoi ex compagni (dai nomi e costumi tra i più improbabili) cercano di scoprire il colpevole e il movente, mentre il mondo è scosso dal crescente allarme per un possibile conflitto tra Stati Uniti e Unione Sovietica e il rischio di un olocausto nucleare. Il racconto si snoda a più livelli, percorrendo una a una le vite dei diversi eroi mascherati, evidenziandone la depressione, i disturbi mentali, l’egoismo, il rimorso per un oscuro passato. La sceneggiatura cura in maniera maniacale i dettagli, inframezzando i capitoli con finti articoli di giornale, capitoli di saggi e pubblicità di giocattoli (e infilando addirittura un fumetto dentro il fumetto), che consentono al lettore di comprendere via via sempre più particolari della vita dei vari supereroi. Un racconto denso, da leggere più volte, pieno di allusioni e simbolismi che hanno scatenato la nascita su internet di numerosi siti dedicati al commento e all’esegesi dei vari capitoli. Il finale, drammatico, lascia aperte varie possibili conclusioni; sicuramente, se ne ricava che ・preferibile un mondo che non abbia bisogno di eroi in calzamaglia. Perchè come recita una scritta dipinta con lo spray da anonimi cittadini su un muro di New York, «Who watches the watchmen ?» (Chi sorveglia i guardiani?, una frase presa dalle Satire di Giovenale). Letto con gli occhi di oggi, qualunque riferimento alle velleità di superpotenza degli Stati Uniti e ai potenziali rischi che esse comportano per il mondo non è affatto casuale. Come afferma Antonio Solinas sulla e-zine «Rorschach», in Watchmen: autopsia del sogno americano.
Alan Moore, Dave Gibbons
Watchmen
(Play Press)
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