Un articolo di un po’ di tempo fa ma che riproponiamo volentieri, vista la scarsa attualità del tema. No, avete letto giusto. Mai come in questi anni la letteratura è parsa tanto lontana della politica, eppure un legame profondo tra l’immagine e l’immaginazione del mondo esiste, tanto più per un genere come la fantascienza, attenta all’insieme delle condizioni umane nel futuro, immediato o lontano. È sempre possibile leggere in filigrana, nella buona sf, una testimonianza del mondo esistente. Anche adesso, in questo momento di vuoto (apparente) delle ideologie.
…
Ma gli scrittori di fantascienza sono dei tuttologi?
Gente decisa a dire la sua praticamente su ogni argomento?
Sembra una domanda cattiva, ma non lo è.
Partiamo da un piccolo esperimento condotto da Vittorio Catani molto tempo fa, esattamente nel numero 71 della rivista telematica «Delos» (www.delos.fantascienza.com/delos71), all’interno di uno spazio monografico dedicato al rapporto tra fantascienza e politica.
Si era nell’ottobre 2001 e nel sito apparve un sondaggio condotto tra gli «addetti ai lavori» (autori, editori, traduttori, curatori) italiani di fantascienza. La domanda era: «Sei favorevole alla guerra in atto nell’Afghanistan?»
Vi furono sessanta risposte su ottanta interpellati. I favorevoli alla guerra furono 21, i contrari 33, gli astenuti 6.
A parte la sensazione di malessere nel rileggere il sondaggio a distanza di anni, a guerra in Iraq virtualmente (ma solo virtualmente) finita, e l’inevitabile constatazione dell’ingenuità di alcune risposte, a colpirmi fu l’operazione in sé. O, meglio, come mai fosse nata e fosse stata condotta nell’ambiente degli scrittori (e traduttori, curatori ed editori) di fantascienza. Un evidente sintomo di tuttologia prometeica.
«Perché sono pochi e si conoscono tutti», potrebbe essere una risposta.
Abbastanza vero, ma non basta.
Nelle pagine di LN e nello speciale fantascienza edito dalla rivista nel 2000 Vittorio Catani, Silvia Treves, Nicoletta Vallorani, Melania Gatto, Davide Mana sono tornati più volte sul tema del rapporto tra narrativa fantastica e politica, svolgendo considerazioni e osservazioni estremamente interessanti. Argomentazione centrale, che riprendo qui (molto in sintesi): «La fantascienza implica la necessità narrativa di definire un mondo “altro” nel quale valgono regole “politiche” (in senso di regole socialmente cogenti) che sono parte fondamentale della narrazione».
Vale a dire che nessuno si attende che Antonio Tabucchi dedichi spazio nei suoi libri all’organizzazione politica e sociale, alla struttura produttiva o all’organizzazione dei poteri del luogo dell’azione. Per un autore di fantascienza, viceversa, questo è letteramente pane quotidiano.
In apparenza la fantascienza con la quale molti hanno a che fare – cinematografica, in primo luogo – non sembra particolarmente affetta da questa smania di perfezione. Qualcuno ha capito qual è l’organizzazione politica della Federazione Umana di Star Trek? E Ripley ha mai votato in vita sua? E presso i Klingon esiste una forma inedita di socialismo statalista feudale?
Sicuramente i fan di Star Trek o di Alien saprebbero rispondere a queste domanda, ma l’aspetto interessante sono le valutazioni inconscie di spettatori e lettori. Le forme di governo e le politiche non dette sono date per scontate o desunte sulla base di pochi indizi.
Quindi la Federazione di Star Trek deve essere organizzata come gli Stati Uniti (sono democratici e federali, quindi…). Viceversa, abbiamo la netta sensazione che Ripley viva in un universo dominato da una globalizzazione rapace che si è estesa nello spazio come una maligna metastasi. Che il vero potere sia in mano a multinazionali strapotenti e le forme di democrazia abituali siano ininfluenti. E anche qui il riferimento agli Stati Uniti è evidente. Probabile che Ripley se ne fotta di votare, come qualsiasi camionista del Tennessee («tanto i politici fanno quello che vogliono»).
In quanto ai Klingon… beh, difficile capire come abbiano potuto arrivare allo spazio con le loro abitudini barbariche da fumetto. Incarnano una buona quota dei nemici «classici» dell’American Way on Life (sono sporchi, vagamente asiatici e/o africani, vivono in una società rigidamente aristocratica e sono aggressivi senza motivo). Un po’ russi, un po’ cinesi e un po’ yamato. E un po’ «vecchi» europei.
Machisti e rozzi, più o meno come un gruppo di leghisti in raduno.
Niente da fare: la politica e la fantascienza hanno davvero legami molto profondi…
La politica – politica come controllo, come pericolo, come intervento, come sostegno di grandi progetti o come nemico di essi, come fanatismo o come solidarietà c’è praticamente sempre, anche nel più piccolo e mediocre racconto di fantascienza. Dove la politica non appare in quanto tale – basti pensare alla fantascienza «eroica» degli anni d’oro – è comunque riconoscibile in filigrana, come elogio della libera iniziativa e apologia dell’individualismo.
Ben al centro della fantascienza – almeno di quella che a mio modesto avviso merita leggere – c’è il problema del potere. Futuro comporta progetto e decisioni. Organizzazione dello sviluppo, interessi, calcoli, disegni, sogni e deliri. La possibilità nasce dal potere. Come ha paradossalmente dimostrato Norman Spinrad con un romanzo quasi clandestino in Italia (Il Signore della Svastica), è probabile che il più grande scrittore di fantascienza del XX secolo sia stato Adolfo Hitler.
Al suo mondo pagano, popolato di tecnoariani alla conquista dell’universo hanno creduto milioni e milioni di persone. Un canovaccio fantascientifico talmente letto da essere sul punto di diventare realtà.
Quindi chiunque legga fantascienza, o ne scriva – le due categorie coincidono più di quanto si possa immaginare – esprime un punto di vista piuttosto preciso sulla realtà. È un tuttologo per vocazione. Può esprimere un punto di vista sull costruzione di astronavi come sull’uso di droghe, sulla clonazione come sulla diffusione di telefonini. Il lettore-autore di fantascienza si chiede: «Dove ci porterà il successo della playstation portatile?» E via a immaginare playstation innestate direttamente nel cervello, vite virtuali consumate in agguati mortali ed epiche battaglie, icone olografiche o costrutti semisenzienti chiamati a sceneggiare aggressioni o complotti in un autogrill o all’uscita di una discoteca. Di conseguenza, ecco l’autore/lettore a ricamare su quale tipo di organizzazione politica e sociale possa permettere questo genere di «distrazione».
Non c’è quindi molto di strano che a suo tempo siano usciti due libri: Vengo solo se parlate di Ufi di Vittorio Catani (Delosbooks) e Sotto gli occhi di tutti di Valerio Evangelisti (L’ancora del Mediterraneo) dichiaratamente pubblicati con l’intento di esplorare il rapporto tra fantascienza e politica, ma senza fermarsi a questo. Libri da insaziabili tuttologi, ossia da scrittori di fantascienza.
Sotto gli occhi di tutti raccoglie interventi pubblicati su riviste specializzate («Carmilla», «Robot») o su altri periodici, introduzioni a volumi pubblicati e recensioni, materiali quasi interamente pubblicati tra il 2000 e il 2003.
Si tratta di testi eterogenei sia per gli argomenti affrontati sia per l’occasione da cui sono nati, ma il registro di Evangelisti è inconfondibile. L’inventore di Eymerich è un polemista acuto e divertente, libero da soggezioni politiche o culturali, da convenienze o – scusate le banalità del vocabolo – da tabù. Magdi Allam, i neo-post-narratori italiani, Bush e i suoi grandi e piccoli vassalli – tra i quali, immancabile, il signor B. – Adriano Sofri e i corrispondenti da Baghdad di «Repubblica» nel marzo 2003, hanno tutti diritto a un’analisi attenta, divertita e spietata delle bugie, delle omissioni, dei tentativi di nascondere o alterare la realtà, delle affermazioni avventate, delle dichiarazioni superficiali, delle poco meditate trombonate. Evangelisti è attento, puntiglioso e tenace e fa quello che noi lettori sempre un po’ distratti non riusciamo a fare: compara, ricerca, ricostruisce e denuncia. Il risultato è che i suoi articoli danno la sensazione al lettore di un brusco cambio del continuum spazio-temporale. Niente carinerie, niente omaggi, nessuno scrupolo. La cialtronaggine – tratto prevalente della stampa italica – è inseguita riga dopo riga, articolo dopo articolo e denunciata con rabbiosa e divertita amarezza.
Lo stesso piglio anima Evangelisti nel definire percorsi e origini della «paraletteratura», ovvero del fantastico e del nero in tutte le sue articolazioni. Estremista per gusto intellettuale e per temperamento, il creatore di Eymerich non ha ovviamente sempre e immancabilmente ragione, ma le sue sfide smuovono la pigrizia intellettuale di noialtri anime belle e obbligano a riflettere su ciò che era stato liquidato e accantonato con troppa facilità. Una buona lettura, che fa bene allo spirito. Da continuare, volendo, sulla rivista telematica «Carmilla» (www.carmillaonline.com).
Diverso lo stile e l’approccio per il libro di Vittorio Catani, anche qui una raccolta di interventi e articoli apparsi tra il 1999 e il 2003 sulla rivista telematica «Delos» (www.delos.fantascienza.com), sulla versione cartacea di «Carmilla», o presso altre testate. Vi compare anche La fantascienza italiana tra scienza e cultura umanistica, ovvero la relazione presentata dall’autore al convegno «Le fantasie della scienza», organizzato dalla redazione di LN nella primavera del 2000.
Vittorio Catani, che i lettori di LN conoscono attraverso i suoi racconti apparsi su Fata Morgana e ALIA, è uno dei «ragni» della fantascienza italiana, ovvero una di quelle onnipresenti (e benefiche) creature poliedriche e multiformi che vestono contemporaneamente i panni dell’autore, del curatore, del critico e dello storico letterario con sconfinamenti frequenti nella riflessione su fenomeni sociali e politici. È un tuttologo, nell’accezione proposta nella lunga introduzione a queste due recensioni. Modestamente e necessariamente tuttologo come lo sono – bene o male – tutti gli scrittori di fantascienza.
A scorrere le pagine della raccolta si rimane stupiti dal numero di autori, racconti, romanzi, articoli, piccoli e grandi fatti, incontri e storie che vi compaiono. Per un lettore di fantascienza – ma anche di narrativa fantastica in generale – il libro possiede la grazia incantevole di una pacata e intelligente riflessione sulle forme e i riferimenti di un genere letterario antico quanto il piacere di raccontare. Su origine, temi e storia di capolavori del fantastico come La guerra dei mondi di H. G. Wells o Cristalli sognanti di Theodor Sturgeon, ma anche di testi più recenti come L’uomo che restò solo sulla terra di George G. Simpson.
Inconsueta e stimolante l’organizzazione dei testi, brevi monografie focalizzate su temi specifici: il pianeta Marte «letterario» (Il nostro Marte quotidiano); le molte storie del Sole – dei soli – e della Luna (Oh, Sole mio, Una Luna segreta da Leonardo a Jules Verne); le strane vie dell’«ispirazione» nella fantascienza (Lo scrittore e le idee); il sesso nella sf (Fantasexxx…); il rapporto tra fantascienza e politica (Fantascienza e politica, il binomio negato).
Per Catani i «banali» anni ottanta (che adesso, dopo il decennio del terrorismo e delle guerre preventive cominciano per la verità ad apparirci ricchi, civili e felici) hanno segnato una svolta nella fantascienza, riportandola alle sue origini di narrativa apparentemente apolitica e cancellandone la «funzione cognitiva».
La sf può diventare – come di fatto è diventata con scrittori più consapevoli – un notevole strumento di indagine della realtà. È, in definitiva, la «funzione cognitiva» che si riconosce a un certo filone di questa narrativa: la capacità di radicalizzare i temi proposti, straniandoli dal consueto contesto quotidiano, facendoli quindi risaltare come non potrebbe la narrativa tradizionale.
La fantascienza è in crisi, si dice e si ripete.
Forse tra i motivi della sua crisi c’è anche un’editoria che punta innanzitutto alla sicurezza di un profitto purchessia. La crisi della fantascienza è probabilmente in primo luogo crisi di significatività. Di povertà e ripetitività di temi e personaggi. Di un pubblico – e spesso anche di autori, sempre meno tuttologi – impigriti dalla sf holliwoodiana, basata su script elementari, un montaggio affannato e abbondanza di effetti speciali.
Un piccolo indizio: pensate soltanto quanto l’elemento «esotico» sia arretrato o scomparso dalla fantascienza attuale. Quanto poco nei libri più recenti si sia riusciti a concepire o immaginare modi «altri» di vivere e mettersi in relazione, quanto sia scomparso il fascino dell’immaginare una società aliena, trasparente riflessione sui modi del nostro mettersi in relazione. Come se fosse diventato impossibile immaginare altre relazioni, altre possibilità di vita sociale.
Forse anche l’apparizione di questi due libri è un piccolo segnale di una stanchezza diffusa, della necessità di riflessione e di nuove ispirazioni.
Un po’ come il remoto sondaggio sulla guerra in Afghanistan. Un modesto segnale che i tuttologi sono ancora tra noi.
Vittorio Catani, Vengo solo se parlate di UFI
Delosbooks 2003, pp. 297, € 13,99
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Valerio Evangelisti, Sotto gli occhi di tutti
Ancora del Mediterraneo 2004, pp. 254, € 12,50
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