
Penso che qualcuno ricordi un polpo che viveva in un negozio di animali in Germania e che, alla vigilia delle partite del mondiale 2014, “sceglieva”, immergendosi in una precisa vaschetta, la squadra che avrebbe vinto la prossima partita. All’epoca la mia simpatia per i polpi era dovuta a pochi episodi mal ricordati, ma nulla, comunque, che mi impedisse di mangiarne quando capitava. Certo, le scelte del polpo calciofilo potevano avere più di un motivo, a cominciare dai gusti e dalle passioni dei titolari del negozio – ovviamente la scelta del polpo era caduto sulla Germania, alla vigilia della partita con il Brasile, finita poi 7-1 per i tedeschi – ma ne fui comunque insieme divertito e incuriosito. Mi passarono presto tra le mani altri episodi che riguardavano i polpi, tra i quali in particolare la passione di questi strani animali per i mattoncini Lego, con i quali “giocavano”, unendoli e separandoli come se sul fondo del mare non facessero altro.
Debbo ammettere che nelle occasioni che seguirono cominciai a evitare l’antipasto di polpo con patate e l’insalata di polpo, ripiegando su animali meno affascinanti o decisamente su qualcosa di vegetale.
La passione dell’autore di questo volume per i polpi è nata da qualcosa di meno mediatico ma più penetrante e più immediato: l’incontro con una comunità di queste creature, ovvero di polpi che vivono in uno stato di «complessa coesistenza», su un letto di conchiglie a suo tempo da loro debitamente svuotate.

(…) Se è possibile stabilire con loro un contatto come esseri senzienti, non è per via di una storia condivisa, non è per via di un’affinità – ma perché nel corso dell’evoluzione la mente si sviluppò due volte. È probabile che questo sia quanto di più vicino all’incontro con un alieno intelligente ci possa mai capitare.
L’ultimo punto in comune nell’albero evolutivo tra i mammiferi e i cefalopodi (polpi, seppie, calamari), risale a qualcosa come 600 milioni di anni fa. Teniamo conto che il punto di separazione tra noi e gli scimpanzé è di sei milioni di anni fa…
Uno dei primi elementi a separarci da loro – e a renderli difficilmente comprensibili – è la differenza di simmetria. I polpi, come le meduse – evolutivamente separate da loro come noi e i cetrioli di mare – non hanno una simmetria bilaterale ma radiale. E il loro cervello soggiace a regole per noi incomprensibili. Il polpo possiede un totale di mezzo miliardo di neuroni, la maggior parte dei quali si trovano nelle “braccia”, definendo un sistema nervoso a “griglia”, molto diverso dal nostro e da quello di mammiferi, rettili e uccelli.
La domanda successiva affrontata dall’autore, un filosofo della scienza, è il grado di autocoscienza dei polpi, cercando di definire un concetto di autocoscienza e i modi con i quali questo elemento fondamentale del sistema nervoso si è evoluto, a partire dalle reazioni del paramecio a uno stimolo ambientale fino al comportamento più raffinatamente evoluto delle creature più encefalizzate.

Un intero capitolo (Malizia e slealtà) è dedicato al rapporto tra i polpi e gli umani in condizioni perfettamente innaturali per i cefalopodi, ovvero in un laboratorio di ricerca. Dopo aver stabilito le proprie mutate condizioni di vita, i polpi dimostrano non solo di aver compreso che da loro si pretendono delle risposte, ma anche come è talvolta possibile, maliziosamente, dare risposte volutamente sbagliate o inutilizzabili per i ricercatori o riuscire a creare una situazione inattesa, spegnendo le luci delle proprie vasche o fuggendo nottetempo dai propri acquari. Sinceramente è quasi impossibile rimanere seri leggendo le avventure del polpo Charles, una creatura dal temperamento “particolarmente esuberante”.
… (I polpi) sanno benissimo di essere in questo luogo particolare, e che tu sei là fuori. Tutto il loro comportamento è influenzato dalla consapevolezza di essere in cattività.
Il principale problema che gli scienziati devono porsi è la scarsa longevità dei polpi oceanici e delle seppie giganti: solo due anni di vita media che, tenendo conto della loro evidente intelligenza e curiosità, appare un’assurdità. L’autore allinea una serie di spiegazioni scientificamente credibili – a partire dalla “rinuncia” alla conchiglia avvenuta milioni di anni fa, che li avrebbe resi insieme abili e ingegnosi nella vita quotidiana ma anche facili prede –, ma che lasciano nascere il dubbio che si tratti di un difetto di conoscenza del polpo e dei cefalopodi in generale. E l’insufficiente conoscenza di queste creature emerge nettamente in diversi passaggi del testo, sia sulle dinamiche dell’accoppiamento – è tuttora tutt’altro che facile distinguere i maschi dalle femmine in condizioni naturali – che sulla crescita degli esemplari più giovani, sulle cure genitoriali, sui rapporti sociali tra i polpi (creature solitarie o no?), sul significato delle mutevoli colorazioni sottocutanee dei polpi e delle seppie giganti e infine, sulla stessa durata della loro vita:

… la femmina in questione (un polpo di profondità) accudì le sue uova per un periodo più lungo di quella che si ritiene essere la vita totale di qualsiasi altra specie di polpo conosciuta.
Le ricerche sui polpi, in particolare su quelli che popolano le profondità oceaniche, sono ancora, purtroppo, scarse e frammentarie e questo libro, per quanto ricco e meditato, si può considerare un semplice primo passo nella sistemazione del nostro rapporto con i cefalopodi intelligenti.
In ogni caso, dal canto mio, ho definitivamente smesso di mangiare il polpo.

Peter Godfrey-Smith, Altre menti. Il polpo, il mare e le remote origini della coscienza, Adelphi, coll. Animalia, pp. 303, ill., trad. Isabella C. Blum
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