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    Golem

    Quattro salti nell’iperspazio

    • di Massimo Citi
    • Ottobre 10, 2012 a 5:48 pm
    a cura dei Rudi Mathematici


    Quando il capitano Kirk apre con un gesto deciso ed elegante del polso il suo trasmettitore portatile e, guardando in tralice il Signor Spock, ordina con pacata autorevolezza: «Scott, ci tiri su», compie una lunga serie di azioni importanti.

    Stretto nella sua lucida uniforme (che grazie alle magie delle previsioni retroattive riesce a essere sia futuristica sia disperatamente fuori moda), Kirk, infatti, completa una fase importante dell’avventura, marca un cambio di scena, stimola la corteccia cerebrale del marketing management di aziende di telefonia mobile, risolve abilmente un problema di budget.

    Nel contempo, rientrando sull’Enterprise, il capitano introduce il fantascientifico processo del teletrasporto: gli strumenti di Scott riusciranno in qualche maniera a scomporre le cellule, le molecole, gli atomi, forse direttamente anche i quark e i leptoni che costituiscono il corpo dei nostri eroi e a ricomporli ordinatamente nella plancia di comando dell’astronave. Come questo sia possibile non ci è naturalmente dato sapere: è saggia abitudine della fantascienza usare la prima parte del suo composito nome per inguaiare a dovere la seconda.

    Nelle produzioni di genere fantascientifico, talvolta, qualche autore si sbilancia a ipotizzare possibili princìpi scientifici reali come base dell’artificio narrativo (non c’è Macchina del Tempo che non tiri in ballo la Relatività Ristretta, ad esempio), ma questo passaggio non è obbligatorio. E in fondo è meglio così perché, se gli autori dovessero essere troppo vincolati alle conoscenze scientifiche attuali, rischieremmo di perderci delle belle avventure a causa di misere serie ancora divergenti o di fusioni fredde mal riuscite. È però inevitabile richiedere agli sceneggiatori un certo grado di coerenza interna: se il teletrasporto funziona così bene, a che cosa diavolo serve l’Enterprise? Perché i nostri eroi non si fanno teletrasportare direttamente da una ospitale base del Texas fino al giusto indirizzo del settimo pianeta di Aldebaran?

    Le giustificazioni (fantascientifiche) di questa apparente contraddizione possono essere molte; per esempio, qualche vincolo fisico potrebbe impedire al teletrasporto di Scott di funzionare ad ampio raggio; oppure potrebbe essere necessario l’inquadramento dei nostri eroi nell’obiettivo di una qualche futuristica telecamera. Il punto essenziale è che un telefilm ha regole interne più stringenti di quelle che possono liberamente immaginare gli autori della sceneggiatura: la scena menzionata ha certo un suo fascino filmico e narrativo, e sospettiamo fortemente che i signori della Motorola ce l’avessero bene in mente quando, qualche lustro fa, misero in commercio il loro telefono cellulare piccolo e richiudibile proprio come il trasmettitore del Capitano Kirk e, guarda caso, lo chiamarono «Star Tac». Soprattutto, un film di fantascienza ha costi e regole di spettacolo da rispettare: è inconcepibile che un’astronave colpita non esploda senza il boato regolamentare (e, spesso, con tanto di fumo e fiamme), benché le onde sonore non possano attraversare il vuoto cosmico dello spazio profondo; ed è decisiva l’interferenza della produzione sulla sceneggiatura: «Settantamila dollari per un paio di scene di atterraggio e decollo da un pianeta? Ma siamo impazziti? Inventate un sistema più economico!»1.

    La tastiera degli autori di romanzi ha meno vincoli di quella degli sceneggiatori, ma non gode di libertà assoluta: l’atroce lentezza dell’insuperabile velocità della luce costringe a particolari virtuosismi anche i narratori che non devono fare i conti con l’avarizia dei produttori di Hollywood. Si passa così dai generici «Via, più veloci della luce!» urlati da Superman ad artifici più consolidati, quali il celeberrimo «salto nell’iperspazio» che i primi2 autori giustificavano variamente e che i più recenti si limitano a considerare uno standard acquisito. Alla base del Salto c’è la concezione di un continuum spaziotemporale relativistico governato da ferree regole ma nel quale sia possibile saltare in una dimensione superiore e ridiscenderne direttamente sulla destinazione desiderata. L’artificio è talmente sfruttato che nella letteratura fantascientifica è ormai difficile trovarvi alternative, se non l’utilizzo di poteri mediatici particolari, più psichici che tecnologici3.

    2. Viaggi infinitamente improbabili

    Esiste però la descrizione sorprendente di un sistema di trasporto alternativo sia al teletrasporto sia al salto nell’iperspazio, basato su principi fisici non meno probabili dei classici artifici della SF: ha il solo difetto di essere descritto in una serie di libri spudoratamente divertenti e dissacranti; forse per questa ragione non viene preso in debita considerazione «scientifica»4.

    Erwin Schrödinger

    Tutto nasce dall’equazione di Schrödinger: l’equazione base della Meccanica Quantistica (MQ) descrive il comportamento placidamente ondulatorio d’una particella libera, ma l’accorto inserimento della costante di Planck al suo interno genera delle sorprese quando la particella in esame non è più libera, ma sottoposta a vincoli. In questi casi, l’equazione riduce drasticamente la libertà ondulatoria della nostra particella e la limita a valori ben definiti, quantizzati, di energia. E di vincoli ce ne sono a bizzeffe, nella vita delle nostre povere particelle che hanno l’insana abitudine di interagire variamente tra loro. Per gli studenti, tutto ciò si traduce nello studio dell’equazione di Schrödinger in particolari situazioni fisiche (per esempio barriere o buche di potenziale) e nell’esame di una pletora di grafici pieni di buche da golf, di montagnole e grandi muraglie stilizzate, diligentemente decorate con righe orizzontali e parallele (i livelli di energia). Così descritta, la questione sembra poco affascinante, ma una coppia di fattori la rende avvincente.

    Il primo è l’interpretazione probabilistica della MQ, che introduce un’alea permanente nel rigore matematico: le equazioni riescono a indicarci sempre le probabilità di posizione di una particella, ma si rifiutano testardamente di darcene la certezza assoluta. Possiamo pertanto anche calcolare quale sia la probabilità che la particella si trovi non in fondo alla nostra buca da golf ma dall’altra parte dell’Universo e questo valore è quasi sempre infinitamente piccolo, ma pur sempre diverso da zero, il che è esattamente quanto basta ai bravi autori di fantascienza. L’altro fattore importante nell’economia del brivido quantistico è quello chiamato «principio di corrispondenza», introdotto da Niels Bohr che, in buona sintesi, afferma che ciò che vale per la MQ deve valere anche per la fisica classica (e viceversa), fatti salvi i problemi di scala.


    Le conseguenze delle due condizioni sono esplosive: l’interpretazione probabilistica applicata a una particella posta a sinistra di una barriera di potenziale afferma che esiste una probabilità ben precisa che essa possa superarla e comparire qual fantasma alla sua destra, pur senza mai avere l’energia necessaria a scavalcarla; la situazione è descritta con l’eloquente nome di «effetto tunnel». Negli studenti, questo effetto induce immediatamente il desiderio di sapere quali probabilità abbiano di riemergere sani e salvi a Chamonix lanciandosi con la Panda contro il massiccio del Monte Bianco dalle parti di Courmayeur5. La probabilità risultante è tale da dissuadere qualsivoglia verifica sperimentale ma, per quanto spudoratamente piccola, è ancora una volta finita e diversa da zero.

    Douglas Adams

    Quando il lettore incontra per la prima volta la Cuore d’Oro nelle pagine della Guida galattica per gli autostoppisti di Douglas Adams, forse non si rende subito conto che la splendida astronave viaggia per la Galassia grazie a princìpi fisici del tutto analoghi a quello sopra descritto. A sua attenuante ci sono il fatto che la Cuore d’Oro abbia la forma di una scarpa da tennis, che essa sia stata rubata da un improbabile Presidente della Galassia, e che l’amato pianeta Terra sia stato spazzato via a pagina 29 della Guida per consentire la costruzione d’una tangenziale spaziale. Eppure la Propulsione a Improbabilità Infinita si ispira a princìpi quantistici reali, almeno tanto quanto il Salto nell’Iperspazio si ispira a pieghe teoriche della Relatività Generale. Il fatto che l’Improbabilità Infinita venga poi utilizzata nella vicenda anche per trasformare due missili termonucleari rispettivamente in un capodoglio e in un vaso di petunie e per salvare due protagonisti da morte certa nel vuoto interstellare è un’applicazione geniale del «Principio di Economia Narrativa».


    Douglas Noel Adams ha generato un’autentica mitologia moderna, con la sua saga della Guida galattica per autostoppisti, e la sua popolarità trascende ampiamente i limiti ristretti del pubblico della fantascienza. la sua fama, grande soprattutto nei paesi di lingua anglosassone, è diffusa fra gli amanti della scienza al punto che Wikipedia dedica voci non solo allo scrittore ma anche a molte delle idee scaturite dai suoi romanzi. Del resto, è sufficiente avere un po’ di familiarità con la serie della Guida galatticae un buon motore di ricerca per stupirsi di quanto abbiano proliferato alcune sue invenzioni: ormai è quasi impossibile chiedere «un numero a caso» senza sentirsi rispondere «Quarantadue»: si discetta su questo numero (che rappresenta, nella vicenda, la «Risposta Fondamentale alla Domanda Fondamentale dell’Universo») in centinaia i siti e almeno una decina lo riportano direttamente nella URL.

    Non basta: Babel Fish, uno dei primi e più famosi strumenti per la traduzione online disponibili in rete deve il suo nome all’animaletto traduttore che ogni bravo cittadino della Galassia alleva nel proprio orecchio per poter comprendere le lingue aliene. E ancora: uno dei più potenti e celebri calcolatori è stato battezzato Deep Thought6 e «Pensiero Profondo» è un elemento fondamentale della saga di Adams. E rispettabili ricercatori universitari e insospettabili professionisti mostrano una strana fobia nei confronti del giovedì, e se ne vanno orgogliosamente in giro con un asciugamani (altro elemento ricorrente nella saga) celato nella ventiquattrore. E la lista potrebbe davvero continuare a lungo7.

    Il successo di Adams non è dovuto soltanto alla sua indubbia capacità di divertire ma anche alla rarità degli autori capaci di divertire con la scienza. Per quanto assurde e paradossali possano essere le sue trovate, il lettore non ha difficoltà a intuire che l’autore è un «dilettante informato» con il talento invidiabile di saper estrarre il senso del comico dalle fantasie scientifiche.

    Così Adams divenne8 rapidamente noto e apprezzato anche negli ambienti della scienza «seria», ed è divertente leggere di come un entusiasta della scienza riuscisse a cambiare ruolo e a diventare una star proprio per coloro che profondamente ammirava9.

    Uno dei migliori amici di Adams, Richard Dawkins, il biologo della teoria del «gene egoista», ne pronunciò l’elogio funebre raccontando come la morte dell’amico avesse terribilmente sminuito la sua soddisfazione per essere appena stato ammesso alla Royal Society. Dawkins parlò poi della sorprendente capacità di «Doug» di trattare in maniera divertente argomenti tutt’altro che banali e di grande importanza proprio per La vita, l’universo e tutto quanto, come il famoso apologo della pozzanghera: 
     


    Immaginate che una pozzanghera si svegli al mattino e cominci a pensare: «Questo nel quale mi trovo è un mondo davvero interessante: il buco nel quale mi trovo è stupefacente, mi si adatta abbastanza bene, visto? Anzi, a dirla tutta mi si adatta incredibilmente bene, e questo dimostra che è stato creato apposta per contenere me!». Quest’idea è così potente che, sebbene il sole cominci ad alzarsi nel cielo, l’aria a riscaldarsi e, gradualmente, la pozzanghera cominci ad asciugarsi e a diventare sempre più piccola, lei continui freneticamente ad appellarsi alla nozione che tutto sta andando bene, perché quel mondo è stato creato appositamente per contenerla: e quando alla fine arriva il momento fatale in cui la pozzanghera svanisce del tutto, questo la coglie abbastanza di sorpresa. Credo che questa storia debba esserci di monito.

    L’aneddoto della pozzanghera, un esempio purtroppo molto raro di quello che si potrebbe definire laico senso comune, spiega chiaramente la posizione di chi, come Adams, ritiene che se è la specie umana a essersi adattata alla Terra e non viceversa (come diversi libri sacri sembrano sostenere), non conviene fare troppo affidamento su poteri e grazie esterne che si prendano seriamente cura del nostro pianeta. Adams non era certo un teista, anzi, ma le cose che diceva – le poche volte che parlava seriamente – non dovrebbero suonare blasfeme alle orecchie di nessuno. E, tanto per contrastare un po’ la comune opinione che tutti gli atei siano privi di ricchezza spirituale e di afflato poetico, riportiamo anche questo altro estratto:

    Il mondo è così totalmente disordinato, complesso, ricco e strano da essere assolutamente incredibile. L’idea che una tale complessità possa sorgere non solo da una totale semplicità, ma probabilmente dal nulla assoluto è l’idea più favolosa e straordinaria che si possa concepire. E quando si percepisce anche soltanto vagamente come tutto questo possa essere accaduto, beh, è una sensazione semplicemente meravigliosa. E l’opportunità di trascorrere settanta o ottanta anni di vita in un tale universo la considero tempo ben speso, per quel che mi riguarda.

    Adams era un’inguaribile ottimista, e il tempo concessogli è stato decisamente inferiore ai settanta o ottant’anni di vita che citava. Ma gli sopravvivono i suoi libri e, come abbiamo visto, sopravvivono molte sue idee, che sembrano aver trovato vita indipendente anche dai romanzi che inizialmente le contenevano.

    3. Classi ideali ed esaltanti «tagli»


    Più di altre discipline, la matematica è essenzialmente scienza di idee: libera dalla necessità di confrontarsi con il mondo fisico (anche se non disdegna affatto di farlo), è un territorio perfetto per i cacciatori e creatori di idee. Tra i matematici esistono razze diverse di indagatori: ci sono coloro che affrontano problemi difficili e complessi, quelli che cercano raccordi e tratti d’unione tra una parte e l’altra della teoria, e ci sono coloro che scavano a fondo nelle idee primigenie, alla ricerca dell’essenza ultima dei fondamenti: le idee madri delle idee, in un certo senso. Questa categoria di matematici non è più meritevole delle altre: piantare un nuovo seme è di importanza fondamentale; ma resta comunque attività sterile se non c’è chi poi si prenda cura del germoglio. È però spesso sorprendente come l’abitudine a considerare nota e ormai acquisita un’idea conduca a sorprese quando si tenti di verificarne i principi di base.

    Un matematico interessato a questo arduo aspetto della disciplina fu Julius Wihelm Richard Dedekind, nato il 6 ottobre 1831 a Brunswick, la città che nel 1777 dette i natali anche a Gauss. Curiosamente, il legame tra Dedekind e Gauss è ben più stretto di quello della mera cittadinanza: si incontrarono infatti a Göttingen, dove Gauss insegnava e Dedekind era studente. Il fatto che Richard fosse poi proprio l’ultimo di quelli che oggi chiameremmo «tesisti» del principe dei matematici colpisce soprattutto a causa dell’estensione temporale coperta da questo rapporto docente-discente. Gauss nacque dodici anni prima della Rivoluzione Francese, Dedekind morì durante la Prima guerra mondiale: quasi un secolo e mezzo di densissima storia europea coperti da un solo passaggio di consegne matematico.

    Se Gauss godette di grandissima fama durante tutta la carriera, Dedekind, quanto a notorietà, fu quasi l’esatto opposto; per quanto venisse rapidamente considerato uno dei più grandi matematici del suo tempo, la sua vita privata restò sempre in ombra, al punto che si lamenta ancora l’assenza di un suo «biografo ufficiale», o quantomeno di una biografia dettagliata al di fuori di quelle accademiche redatte in tedesco. Quasi a conferma di questa sua «invisibilità», l’edizione del 1904 del Calendario dei matematici di Teubner riportava puntigliosamente la data di morte di Dedekind: 4 settembre 1899. Se non che il nostro era invece ancora brillantemente in vita e si divertì moltissimo nel leggere la data della sua dipartita: prese carta e penna e indirizzò all’editore un messaggio affermando che il giorno e il mese potevano forse essere anche giusti11, ma l’anno era certo sbagliato: in quella data fatidica, a giudicare dalle annotazioni del suo diario, aveva anzi avuto una animata e piacevole conversazione con il suo amico Georg Cantor.

    L’episodio è significativo almeno per due aspetti: il primo è proprio l’assoluto amore per la discrezione, sublimata in quello che Bell chiama «il grande mistero di Dedekind»: com’è possibile, si chiede lo storico inglese, che – mentre le migliori università assumevano come docenti persone «indegne di allacciargli le scarpe» – Dedekind decidesse di ricoprire per mezzo secolo il modesto incarico di insegnante alla Scuola Tecnica Superiore di Brunswick? Il secondo aspetto è il fatto che Dedekind fosse regolarmente scelto come amico e confidente da alcuni dei matematici più geniali di tutti i tempi. Non solo nel 1904 conversava e beveva cognac con Cantor12 discettando di «sistema e teoria», ma fu anche e soprattutto il miglior amico di Riemann e, soltanto per aver raccolto e classificato le carte del genio prematuramente scomparso, meriterebbe la gratitudine di intere generazioni di matematici. Probabilmente non fu solo la consapevolezza dell’importanza dei lavori dell’amico a indurlo a salvare quante più carte possibile dall’oblio, nella sua dedizione vi sarà stato anche molto sentimento «privato». Benché più giovane di cinque anni, Richard Dedekind si laureò insieme a Bernhard Riemann13 nel 1854; sei anni dopo lo rincontriamo mentre lo accompagna in occasione dell’elezione all’Accademia di Berlino e gli fu spesso vicino anche negli ultimi giorni, convincendo infine la vedova di Riemann ad affidargli almeno una parte delle preziose carte del marito. Del resto, Dedekind non era nuovo a questo genere di lavoro: oltre a quella dei lavori di Riemann, raccolse e curò anche le edizioni a stampa dei lavori di Dirichlet e di Gauss.

    Bernhard Riemann

    Nel 1862, la sua scuola di Brunswick (Collegium Carolinum) venne «promossa» al rango di Scuola Tecnica Superiore (Polytechnikum) ma, nonostante l’accresciuto prestigio, non poteva competere con il Polytechnikum della rinomatissima Göttingen, dove Dedekind aveva la cattedra. Eppure, Dedekind fece i bagagli e tornò nella città natale, insegnandovi per trentadue anni e godendosi la pensione per altri ventidue. Ormai sistemato alla periferia dell’impero matematico tedesco, Richard non cessò di occuparsi dei quesiti dei fondamenti della matematica; i suoi meriti principali consistono nell’aver esplorato due questioni profondamente «essenziali» della scienza – o, più propriamente, della vera e propria natura – dei numeri.

    La prima questione è strettamente apparentata con i lavori di Cantor, e va sotto il profetico nome di «Teoria degli Ideali» presentata da Dedekind nella terza edizione del suo testo Sulla teoria dei numeri interi algebrici (1874); apparentemente non dovrebbe avere troppo a che spartire con gli insiemi infiniti, perché nasce soprattutto per «costringere» gli interi algebrici alla scomposizione unica in numeri primi. Il tentativo viene affrontato tramite la semplice definizione in classi: tutti i numeri che vengono esattamente divisi da 2, ad esempio, vengono ricondotti alla Classe Ideale indicata dal simbolo «(2)», e così via. Lo studio procede poi all’analisi delle classi stesse e delle loro relazioni di inclusione: ad esempio, è ovvio che (2) include (8), perché tutti gli elementi di (8) appartengono anche a (2). Dedekind procede allora alla costruzione di una vera e propria «algebra degli Ideali» in cui il criterio elementare di divisibilità dei numeri viene trasformato in quello di inclusione in classi. Da questo piccolo germe nasce un teoria complessa14 che conduce anche alla generalizzazione ed estensione algebrica del Teorema Fondamentale dell’Aritmetica. Curiosamente, ma forse non troppo, la teoria deve confrontarsi con il concetto di insieme infinito che tanto angustiò Cantor e con gli arcigni numeri primi, territorio di studio di Riemann. Come se non bastasse, Dedekind, nel 1882, pubblica uno studio in cui mette in relazione la sua Teoria degli Ideali con le Superfici di Riemann.

    Wilhelm Richard Dedekind

    Nonostante gli Ideali bastino a illustrare l’originalità di pensiero del matematico di Brunswick, la fama di Dedekind è forse maggiormente legata all’idea «taglio» che da lui prende il nome. Il taglio può essere considerato un vero e proprio tentativo di giustificare l’esistenza dei numeri irrazionali; la sua definizione suona forse un po’ artificiosa agli studenti di liceo che – sapendo benissimo come calcolare il prodotto di due radici – si stupiscono della necessità di un’invenzione così cerebrale, ma questo dipende dal fatto che l’abitudine alla manipolazione dei simboli corrompe il senso critico.

    Dunque:viene facilmente moltiplicata, sottratta, addizionata da qualsiasi liceale, ma ciò non toglie che fior di matematici15dubitino tout court della sua esistenza. Il dilemma è reale e tutt’altro che banale; a essere sinceri, possediamo bene solo i naturali, ogni estensione successiva del concetto di numero costa una certa fatica intellettuale. I Greci più antichi erano restii a considerare l’uno come autentico numero, perché nello stesso concetto di numero vedevano implicito il senso di «quantità plurale»; lo zero ha impiegato quasi duemila anni per conquistare piena cittadinanza numerica; e certo poi non ebbero vita più facile i negativi, e tutti i successivi confratelli numerici. Ma già ai tempi di Pitagora si nuotava agilmente nel mare dei numeri razionali, mentre la scoperta degli irrazionali generò il panico: rinunciare all’idea di numero come «rapporto di grandezze» era troppo, a quei tempi.

    Del resto, ancora oggi, come si può immaginare di manipolare qualcosa che non si conosce sino in fondo? Trasformando una frazione in numero decimale16 è facile ottenere numeri periodici, ma il loro comportamento è noto e conoscibile. In qualche modo, la regolarità della ripetizione dei decimali garantisce la possibilità di «vedere il numero sino all’infinito», e questo sembra legittimare le azioni degli operatori algebrici. Ma la sequenza di decimali di un numero irrazionale rimane ignoto. E come si può pretendere di operare con l’ignoto?


    = sembra avere la medesima dignità di 2 x 7=14, eppure la prima uguaglianza richiede delle enormi supposizioni sul comportamento dell’infinito matematico. Una difficoltà molto simile ricompare anche semplicemente esaminando il nostro modo di chiamare i numeri: gli interi hanno nomi propri, vere etichette non diverse da nomi come Giovanni o Elisabetta, salvo il fatto che i numeri «grandi» riciclano posizionalmente i nomi dei numeri «bassi». I razionali sono già definiti un maniera diversa, operativa: un matematico del ventesimo secolo17in un’intervista dichiarò di essere rimasto folgorato, da ragazzino, quando capì che 2/3 poteva davvero essere considerato un numero pienamente definito, e non solo come un’operazione da svolgere che nascondeva il «vero» numero 0,66666…; quando, tutto entusiasta, provò a trasmettere la scoperta ad amici e compagni dovette constatare, frustrato, che la sua illuminazione non sembrava affatto colpire l’immaginazione altrui. Gli irrazionali sono definiti sempre tramite operazioni più complesse delle mere divisioni e per di più negano la soddisfazione di lasciarsi conoscere appieno: sono infinitamente approssimabili, certo, ma è proprio nel concetto di «approssimazione» e nel terribile avverbio «infinitamente» che si cela il mistero.

    Dedekind inventa il «taglio» per ricondurre gli irrazionali nella retta continua dei reali. Sembra un artificio da poco, eppure aggira l’infinito con un infinitesimo (l’impalpabile spessore del «taglio» fra due numeri razionali), introduce il concetto di classe nella definizione (la classe dei numeri inferiori al taglio, la classe di quelli superiori), e riempie gli interstizi formati dai numeri razionali iniettando il fluido onnipresente degli irrazionali.

    La procedura non somiglia più alla fantascienza che alla matematica?

    Le moderne definizioni matematiche non considerano più i tagli di Dedekind esenti da critiche, il problema che ancora sussiste è ancora quello di sempre: «infinito» è ancora sinonimo di «ignoto», e non solo in matematica. Eppure i tagli, benché forse formalmente non perfetti, restano strumenti potenti, degli esaltatori di immaginazione per seguitare a leggere nella retta dei reali la continuità che siamo abituati a vederci.

    Soprattutto, sono un’idea. E se nella foresta matematica è rassicurante vedere studiosi votati per tutta la vita a un solo albero, se è esaltante vedere acrobati cha saltano di ramo in ramo aprendo nuove vie prima nascoste per andare da un punto all’altro della selva, osservare coloro che, come Richard Dedekind, si dedicano con tenacia a far crescere continuamente nuove piantine lascia semplicemente stupefatti.

    Sono matematici, sono uomini che hanno un fascino del tutto particolare: quello dei seminatori di idee.

    da Rudi Mathematici,

    www.rudimathematici.com, 81, ottobre 2005.


    Note

    1I settantamila dollari sono una nostra licenza narrativa, ma è pura verità che il teletrasporto di Start Trek discenda da problemi di budget, lo racconta Lawrence M. Krauss nel suo divertente La fisica di Star Trek, tea, Milano 2000. € 8,00.

    2Il primo autore a farne uso potrebbe essere stato Isaac Asimov, nel ciclo della Fondazione. O forse l’aveva già introdotto John Campbell jr. in Aarn Munro il Gioviano? 3«Difficile» forse è una parola troppo impegnativa: all’appello rispondono in fretta la «propulsione libera» di E. E. DocSmith, la «Blieder» di Eric Frank Russell, e probabilmente molte altre ancora.

    4«Scientifica» nel senso fantascientifico del termine. Non più realizzabile del salto nell’iperspazio, ma neppure «meno realizzabile».

    5Il calcolo diventa interessante solo imponendo l’ulteriore condizione di evitare accuratamente di imboccare l’ingresso del vicino traforo autostradale.

    6Si tratta del papà di Deep Blue, il primo computer che ha battuto un campione del mondo di scacchi (Garry Kasparov). Deep Thought fu progettato alla Carnegie Mellon University, e quando il progettista principale (Feng-hsiung Hsu) passò all’IBM, la sua evoluzione perse il «pensiero» per assumere il «colore» del marchio della multinazionale. L’ulteriore evoluzione di Deep Blue venne ufficiosamente chiamata Deeper Blue.

    7Il film derivato dalla Guida galattica per autostoppisti può, probabilmente, essere apprezzato sino in fondo solo dai fan che hanno letto i romanzi ma, film a parte, la saga di Douglas Adams sembra essere un fil rouge sotterraneo dato per scontato in qualsiasi comunità anche solo vagamente scientifica.

    8Il passato remoto è necessario: Adams è morto nel 2001, all’età di 49 anni. Che ci crediate o meno, la maggior parte dei suoi lettori ha confessato di aver immediatamente calcolato gli anni del Nostro al momento della morte, temendo fortemente che la risposta fosse «42».

    9Un suo celebre intervento al Digital Biota 2 iniziava così: «Questo discorso era stato inizialmente programmato come dibattito solo perché ero un po’ emozionato all’idea di venire qui: non avevo tempo di preparare alcunché e, in un consesso di così alti luminari, mi chiedevo che cosa mai avrei potuto dire. Ma un paio di giorni qui mi sono bastati a capire che non siete altro che un mucchio di tizi normali…». Proseguiva poi con una delle sue battute preferite: «C’è una cosa che non ha certo alcun significato, ma di cui vado estremamente orgoglioso: sono nato a Cambridge nel 1952 e le mie iniziali sono DNA».

    10Il calendario che riportava i dati biografici dei più celebri matematici della storia. Pare fosse molto bello, secondo soltanto a un altro pubblicato circa un secolo dopo.

    11Non lo furono: Dedekind lasciò la proverbiale valle di lacrime il 12 febbraio 1916.

    12Non si trattava di un incontro occasionale. Dedekind conosce Cantor nel 1874 in Svizzera, ed è il primo matematico a riconoscere l’importanza del lavoro sui transfiniti del genio di San Pietroburgo. Difenderà con tenacia le teorie cantoriane dalle feroci critiche di Kronecker in un periodo in cui la maggior parte dei matematici è invece propensa a considerarle pazzesche. Non è improbabile che senza il suo autorevole contributo in proposito le idee di Cantor avrebbero potuto aver vita ancora più difficile di quella che hanno già avuto.

    13Non era Dedekind a essere precoce, ma Riemann a essere distratto: aveva già iniziato le sue peregrinazioni da matematico di professione, dimenticandosi quasi il dettaglio burocratico della discussione della tesi di laurea.

    14Non necessariamente «complessa» in senso assoluto: certamente troppo difficile, però, per chi scrive le righe di quest’articolo.

    15Come Kronecker, appunto. E non è che stesse tentando di schivare i compiti in classe.

    16Per farlo occorre dividere il numeratore della frazione per il denominatore; il quoziente potrà essere un decimale finito, periodico semplice o periodico misto.

    17Timothy Gowers, vincitore della Medaglia Fields nel 1998.

    Bibliografia essenziale di Douglas Adams:

    • Guida galattica per gli autostoppisti(The Hitch Hiker’s Guide to the Galaxy)
    • Ristorante al termine dell’universo(Restaurant at the End of the Universe)
    • La vita, l’universo, e tutto quanto(Life, the Universe, and Everything)
    • Addio e grazie per tutto il pesce(So Long and Thanks for All the Fish)
    • Praticamente innocuo(Mostly Harmless)

    sono stati tutti pubblicati a suo tempo da «Urania» Mondadori e ampiamente ripubblicati in «Oscar Mondadori».

    Notevole anche il ciclo di Dirk Gently, investigatore olistico(Feltrinelli), del quale però non ci risulta tradotto il titolo The Long Dark Tea-Time of the Soul (con Thor che si irrita molto al check-in di Heatrow) e, forse, non ha mai avuto traduzione italiana Titanic, uno dei suoi ultimi romanzi (ma è anche un gioco).

    È invece reperibilissimo Il Salmone del dubbio (A. Mondadori), una raccolta non troppo organizzata degli ultimi scritti di Adams, considerata dai fan quasi un testamento spirituale.

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