
Quando il capitano Kirk apre con un gesto deciso ed elegante del polso il suo trasmettitore portatile e, guardando in tralice il Signor Spock, ordina con pacata autorevolezza: «Scott, ci tiri su», compie una lunga serie di azioni importanti.
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Erwin Schrödinger |
Tutto nasce dall’equazione di Schrödinger: l’equazione base della Meccanica Quantistica (MQ) descrive il comportamento placidamente ondulatorio d’una particella libera, ma l’accorto inserimento della costante di Planck al suo interno genera delle sorprese quando la particella in esame non è più libera, ma sottoposta a vincoli. In questi casi, l’equazione riduce drasticamente la libertà ondulatoria della nostra particella e la limita a valori ben definiti, quantizzati, di energia. E di vincoli ce ne sono a bizzeffe, nella vita delle nostre povere particelle che hanno l’insana abitudine di interagire variamente tra loro. Per gli studenti, tutto ciò si traduce nello studio dell’equazione di Schrödinger in particolari situazioni fisiche (per esempio barriere o buche di potenziale) e nell’esame di una pletora di grafici pieni di buche da golf, di montagnole e grandi muraglie stilizzate, diligentemente decorate con righe orizzontali e parallele (i livelli di energia). Così descritta, la questione sembra poco affascinante, ma una coppia di fattori la rende avvincente.

Le conseguenze delle due condizioni sono esplosive: l’interpretazione probabilistica applicata a una particella posta a sinistra di una barriera di potenziale afferma che esiste una probabilità ben precisa che essa possa superarla e comparire qual fantasma alla sua destra, pur senza mai avere l’energia necessaria a scavalcarla; la situazione è descritta con l’eloquente nome di «effetto tunnel». Negli studenti, questo effetto induce immediatamente il desiderio di sapere quali probabilità abbiano di riemergere sani e salvi a Chamonix lanciandosi con la Panda contro il massiccio del Monte Bianco dalle parti di Courmayeur5. La probabilità risultante è tale da dissuadere qualsivoglia verifica sperimentale ma, per quanto spudoratamente piccola, è ancora una volta finita e diversa da zero.
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Douglas Adams |
Quando il lettore incontra per la prima volta la Cuore d’Oro nelle pagine della Guida galattica per gli autostoppisti di Douglas Adams, forse non si rende subito conto che la splendida astronave viaggia per la Galassia grazie a princìpi fisici del tutto analoghi a quello sopra descritto. A sua attenuante ci sono il fatto che la Cuore d’Oro abbia la forma di una scarpa da tennis, che essa sia stata rubata da un improbabile Presidente della Galassia, e che l’amato pianeta Terra sia stato spazzato via a pagina 29 della Guida per consentire la costruzione d’una tangenziale spaziale. Eppure la Propulsione a Improbabilità Infinita si ispira a princìpi quantistici reali, almeno tanto quanto il Salto nell’Iperspazio si ispira a pieghe teoriche della Relatività Generale. Il fatto che l’Improbabilità Infinita venga poi utilizzata nella vicenda anche per trasformare due missili termonucleari rispettivamente in un capodoglio e in un vaso di petunie e per salvare due protagonisti da morte certa nel vuoto interstellare è un’applicazione geniale del «Principio di Economia Narrativa».

Douglas Noel Adams ha generato un’autentica mitologia moderna, con la sua saga della Guida galattica per autostoppisti, e la sua popolarità trascende ampiamente i limiti ristretti del pubblico della fantascienza. la sua fama, grande soprattutto nei paesi di lingua anglosassone, è diffusa fra gli amanti della scienza al punto che Wikipedia dedica voci non solo allo scrittore ma anche a molte delle idee scaturite dai suoi romanzi. Del resto, è sufficiente avere un po’ di familiarità con la serie della Guida galatticae un buon motore di ricerca per stupirsi di quanto abbiano proliferato alcune sue invenzioni: ormai è quasi impossibile chiedere «un numero a caso» senza sentirsi rispondere «Quarantadue»: si discetta su questo numero (che rappresenta, nella vicenda, la «Risposta Fondamentale alla Domanda Fondamentale dell’Universo») in centinaia i siti e almeno una decina lo riportano direttamente nella URL.

Immaginate che una pozzanghera si svegli al mattino e cominci a pensare: «Questo nel quale mi trovo è un mondo davvero interessante: il buco nel quale mi trovo è stupefacente, mi si adatta abbastanza bene, visto? Anzi, a dirla tutta mi si adatta incredibilmente bene, e questo dimostra che è stato creato apposta per contenere me!». Quest’idea è così potente che, sebbene il sole cominci ad alzarsi nel cielo, l’aria a riscaldarsi e, gradualmente, la pozzanghera cominci ad asciugarsi e a diventare sempre più piccola, lei continui freneticamente ad appellarsi alla nozione che tutto sta andando bene, perché quel mondo è stato creato appositamente per contenerla: e quando alla fine arriva il momento fatale in cui la pozzanghera svanisce del tutto, questo la coglie abbastanza di sorpresa. Credo che questa storia debba esserci di monito.

Più di altre discipline, la matematica è essenzialmente scienza di idee: libera dalla necessità di confrontarsi con il mondo fisico (anche se non disdegna affatto di farlo), è un territorio perfetto per i cacciatori e creatori di idee. Tra i matematici esistono razze diverse di indagatori: ci sono coloro che affrontano problemi difficili e complessi, quelli che cercano raccordi e tratti d’unione tra una parte e l’altra della teoria, e ci sono coloro che scavano a fondo nelle idee primigenie, alla ricerca dell’essenza ultima dei fondamenti: le idee madri delle idee, in un certo senso. Questa categoria di matematici non è più meritevole delle altre: piantare un nuovo seme è di importanza fondamentale; ma resta comunque attività sterile se non c’è chi poi si prenda cura del germoglio. È però spesso sorprendente come l’abitudine a considerare nota e ormai acquisita un’idea conduca a sorprese quando si tenti di verificarne i principi di base.
Un matematico interessato a questo arduo aspetto della disciplina fu Julius Wihelm Richard Dedekind, nato il 6 ottobre 1831 a Brunswick, la città che nel 1777 dette i natali anche a Gauss. Curiosamente, il legame tra Dedekind e Gauss è ben più stretto di quello della mera cittadinanza: si incontrarono infatti a Göttingen, dove Gauss insegnava e Dedekind era studente. Il fatto che Richard fosse poi proprio l’ultimo di quelli che oggi chiameremmo «tesisti» del principe dei matematici colpisce soprattutto a causa dell’estensione temporale coperta da questo rapporto docente-discente. Gauss nacque dodici anni prima della Rivoluzione Francese, Dedekind morì durante la Prima guerra mondiale: quasi un secolo e mezzo di densissima storia europea coperti da un solo passaggio di consegne matematico.
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Bernhard Riemann |
Nel 1862, la sua scuola di Brunswick (Collegium Carolinum) venne «promossa» al rango di Scuola Tecnica Superiore (Polytechnikum) ma, nonostante l’accresciuto prestigio, non poteva competere con il Polytechnikum della rinomatissima Göttingen, dove Dedekind aveva la cattedra. Eppure, Dedekind fece i bagagli e tornò nella città natale, insegnandovi per trentadue anni e godendosi la pensione per altri ventidue. Ormai sistemato alla periferia dell’impero matematico tedesco, Richard non cessò di occuparsi dei quesiti dei fondamenti della matematica; i suoi meriti principali consistono nell’aver esplorato due questioni profondamente «essenziali» della scienza – o, più propriamente, della vera e propria natura – dei numeri.
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Wilhelm Richard Dedekind |
Nonostante gli Ideali bastino a illustrare l’originalità di pensiero del matematico di Brunswick, la fama di Dedekind è forse maggiormente legata all’idea «taglio» che da lui prende il nome. Il taglio può essere considerato un vero e proprio tentativo di giustificare l’esistenza dei numeri irrazionali; la sua definizione suona forse un po’ artificiosa agli studenti di liceo che – sapendo benissimo come calcolare il prodotto di due radici – si stupiscono della necessità di un’invenzione così cerebrale, ma questo dipende dal fatto che l’abitudine alla manipolazione dei simboli corrompe il senso critico.
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sembra avere la medesima dignità di 2 x 7=14, eppure la prima uguaglianza richiede delle enormi supposizioni sul comportamento dell’infinito matematico. Una difficoltà molto simile ricompare anche semplicemente esaminando il nostro modo di chiamare i numeri: gli interi hanno nomi propri, vere etichette non diverse da nomi come Giovanni o Elisabetta, salvo il fatto che i numeri «grandi» riciclano posizionalmente i nomi dei numeri «bassi». I razionali sono già definiti un maniera diversa, operativa: un matematico del ventesimo secolo17in un’intervista dichiarò di essere rimasto folgorato, da ragazzino, quando capì che 2/3 poteva davvero essere considerato un numero pienamente definito, e non solo come un’operazione da svolgere che nascondeva il «vero» numero 0,66666…; quando, tutto entusiasta, provò a trasmettere la scoperta ad amici e compagni dovette constatare, frustrato, che la sua illuminazione non sembrava affatto colpire l’immaginazione altrui. Gli irrazionali sono definiti sempre tramite operazioni più complesse delle mere divisioni e per di più negano la soddisfazione di lasciarsi conoscere appieno: sono infinitamente approssimabili, certo, ma è proprio nel concetto di «approssimazione» e nel terribile avverbio «infinitamente» che si cela il mistero.
Note
- Guida galattica per gli autostoppisti(The Hitch Hiker’s Guide to the Galaxy)
- Ristorante al termine dell’universo(Restaurant at the End of the Universe)
- La vita, l’universo, e tutto quanto(Life, the Universe, and Everything)
- Addio e grazie per tutto il pesce(So Long and Thanks for All the Fish)
- Praticamente innocuo(Mostly Harmless)