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    TerraNova

    Best-seller in Giappone (qualche anno fa)

    • di Massimo Citi
    • Giugno 25, 2012 a 8:01 pm

    di Massimo Citi


    Ring è comparso in Italia nel 2003, pubblicato dalla risorta editrice Nord sulla scia dell’arrivo del film. 
    Com’è nostro (pessimo) costume il romanzo è stato tradotto dalla traduzione inglese e non dall’originale giapponese. Sembrerà una questione da noiosi puristi ma pubblicare la traduzione di una traduzione assomiglia molto a quei giochi da giornata di pioggia nei quali un gruppo di persone si ripetono a catena una parola sussurrata dal primo della serie. Facilmente, a forza di smottamenti semantici, da patata si giunge a corazzata, anche senza che qualche diavoletto ci metta la coda. Che i lettori di fantastico siano di bocca buona è una sciagurata quanto radicata convinzione dell’editoria professionale italiana, quindi vai così che vai bene! La prossima volta si potrebbe fare una traduzione dalla traduzione spagnola della traduzione tedesca di un libro cinese. In fondo tradurre dallo spagnolo è (apparentemente) persino più facile che tradurre dall’inglese…

    Passiamo al libro, adesso.

    Ring, come tutti ormai immagino sappiano, è basato su un’idea semplice ma geniale e ricca di implicazioni metaforiche: chiunque si trovi a vedere il contenuto di una videocassetta di un tipo molto particolare  morirà in maniera atroce entro una settimana.

    Idea carina, pensai la prima volta che qualcuno me ne parlò, ma che richiede una sospensione di giudizio probabilmente eccessiva da parte del lettore. Allora però non avevo fatto i conti con il talento e il mestiere di Koji Suzuki. Il talento di immaginare e costruire con amorevole scrupolo visionario il personaggio di Sadako Yamamura – fantasma di una donna morta in circostanze misteriose in un vecchio manicomio – e il mestiere di alternare sapientemente rivelazioni e segreti, in modo da spingere il lettore a credere ciecamente alla possibilità dell’esistenza di una videocassetta maledetta. Eppure, a rifletterci con un minimo di attenzione, si deve concludere che Ring è sostanzialmente una classica storia di fantasmi, con un’anima inquieta e vendicativa che non riesce a trovare pace e alcuni innocenti viandanti che devono, da un momento all’altro, far fronte, per sopravvivere, a entità oscure e soprannaturali. 


    Una vecchia storia, siamo d’accordo, ma che se ben raccontata – e in questo Suzuki è evidentemente maestro – può senza difficoltà inchiodare il lettore alla poltrona o al divano, a considerare con diffidenza il videoregistratore VHS al quale, finora, non aveva attribuito più spirito d’iniziativa che al frigorifero o al ferro da stiro. In questa normalità degli oggetti e degli ambienti sta probabilmente una parte non piccola del fascino di Ring, come pure nell’idea di presentare una minaccia mortale che proviene dallo schermo televisivo, altro oggetto familiare fino alla noia.

    Ulteriore elemento di attrazione del romanzo il racconto di luoghi e storie che il Giappone odierno (ma non sarebbe difficile sostituire al Giappone l’Italia) ha dimenticato. La barbarie dei luoghi di confino per malati di mente, l’arbitrio criminale di chi doveva prendersi cura di loro…
    Ma a differenza dei romanzi vittoriani Ring non si chiude con un ritorno alla precedente condizione di ordine e quiete. La vendetta di Sadako non si accontenta di una manciata di morti.
    A chi vuole sapere di più non mi resta che suggerirne la lettura.


    Le quattro casalinghe di Tôkyô, di Natsuo Kirino, edito da Neri Pozza con la traduzione (dal giapponese) di Lydia Origlia, si presenta come un noir atipico, nel quale vittima e assassino sono individui perfettamente, quasi lugubremente, normali. Un piccolo funzionario di una piccola impresa, marito sciagurato di un’operaia che lavora in una fabbrica alimentare nel turno di notte. Gente che ha problemi di sopravvivenza quotidiana, con figli da crescere e poche o nessuna prospettiva di migliorare le proprie condizioni di vita, resa ottusa da un ritmo di vita insostenibile e che sopravvive senza illusioni.

    Questa la condizione di Yayoi, moglie giovane ancora attraente tradita da un marito che non sopporta di vedersi finito tra le quattro mura di casa, ma anche la condizione della sua collega di lavoro Yoshie, vedova costretta a badare alla suocera paralizzata e con una figlia che la considera una povera idiota, della stupida Kuniko, piena di debiti per mantenere un tenore di vita che non può permettersi e di Masako. Ma Masako non è fatta della loro stessa pasta. Lavora nella loro stessa fabbrica, ha una vita familiare fallimentare ma ha buoni nervi, carattere e un cervello di prim’ordine. Sarà lei a permettere a Yayoi di uscire dalla situazione insostenibile nella quale si è cacciata, lei a condurre il gioco fino in fondo, guidando le azioni e i pensieri delle sue colleghe.
    Una donna come lei, forte, potente, intelligente è il soggetto ideale delle fantasie di Satake, proprietario delle sale da gioco dove il marito di Yayoi aveva sperperato i soldi della famiglia e che la polizia ritiene colpevole del suo omicidio. È il caso a incrociare le loro vite, ma sarà un’oscura pulsione a farli incontrare nelle ultime pagine del libro.


    Una mia amica ha definito Le quattro casalinghe di Tôkyô un romanzo profondamente giapponese. Una definizione che sul momento mi è parsa curiosa, visto che questo genere di situazione drammatica – l’omicidio accidentale, il tentativo di sfuggire alla polizia, la sensazione di fallimento e colpevolezza che avvelena la vita di tutti i giorni – fa parte della tradizione del noir occidentale. Eppure qualcosa di vero nella sua frase indubbiamente c’era.

    Le protagoniste? Non si direbbe. Masako e la sue colleghe sono operaie con una vita tragicamente comune e difficoltà ad arrivare alla fine del mese, deluse o esacerbate per un matrimonio deludente o anche semplicemente indifferenti e logorate, costrette a trascinare un’esistenza che non promette più nulla, ma nella quale ci sono comunque i figli da crescere, il pranzo e la cena da preparare, i bucati, le pulizie. Case troppo piccole, uomini distanti e frustrati, nemmeno il tempo per fermarsi, guardarsi, chiedersi «come abbiamo fatto a finire così?».
    Il luogo? Il Giappone di Natsuo Kirino non ha nulla di esotico. Esattamente come l’Italia, la Gran Bretagna o gli States è un luogo dove vita e destino coincidono e dove la gente ha smesso di farsi domande. E anche il versante illegale e clandestino di questo Giappone – l’usura delle piccole agenzie finanziarie, le sale da gioco, la prostituzione, la Yakuza – non ha nulla che non abbiamo già visto o letto, per esempio nei romanzi di Ferrandino.
    Ma la differenza, il salto esiste. C’è Masako, donna capace e intelligente, alle spalle una carriera spezzata e interrotta essenzialmente perché è nata del sesso sbagliato. E c’è Satake, l’unico personaggio maschile di rilievo del romanzo. Satake è stato un emissario della Yakuza, conosce la morte ed è perseguitato da un ricordo che è diventato la sua ossessione. Qualcosa di oscuro e inesprimibile – il filo che lega la morte e il desiderio – li unisce e diviene via via più evidente. Paradossalmente la malattia morale che li tormenta è anche l’unica forza che permette loro di non degradarsi a ordinarie vittime del mondo anonimo che li circonda, che li rende più forti, che concede loro di conservare una distanza dagli eventi sufficiente a poterli capire.
    L’ossessione del rapporto tra morte e sesso non è, ovviamente, un’esclusiva nipponica come il sushi, ma certo costituisce un elemento importante della sua estetica e della sua visione del mondo. Questo è probabilmente l’elemento che ci induce a riconoscere il romanzo di Natsuo Kirino come «profondamente giapponese». Ma Le quattro casalinghe di Tôkyô può colpire profondamente anche il lettore non particolarmente interessato o amante della cultura giapponese. Teso, acuto, talvolta grottesco o sardonico, sempre equilibrato e perfettamente condotto riesce a fornire una rappresentazione della condizione femminile – e umana – nell’era del capitalismo globalizzato destinata a rimanere a lungo nella memoria e nella coscienza del lettore

    Suzuki Koji
    Ring
    Nord 2003, 
    pp. 320, € 15,00
    disponibile anche in e-book a € 7,99


    Kirino Natsuo
    Le quattro casalinghe di Tôkyô
    Neri Pozza 2009, 2^ ed. 
    pp. 620, € 14,00
    Trad. L. Origlia
    disponibile anche in e-book a € 9,99

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