
Felix von Luckner
Io credo che un popolo che approva i suoi capi sia altrettanto colpevole degli orrori che questi provocano, all’interno come all’esterno delle frontiere.
Conte Felix von Luckner
Un libro che, scelto per recensione già alcuni mesi fa, risuona curiosamente attuale nei temi, nei sentimenti del protagonista e nelle riflessioni che induce sugli effetti del nazionalismo, è Felix von Luckner, un corsaro del XX secolo (EFFEMME 2006) dello storico svizzero Gérard A. Jaeger. A metà tra il saggio storico e la biografia, ricavata dai ricordi pubblicati nel 1920 da Von Luckner, integrati da numerose testimonianze e materiali d’archivio, il testo è, contemporaneamente lettura avventurosa e affresco della Germania rampante del II Reich, intenta a riprendere il proprio posto nella storia e dei disastri causati dalla politica espansionistica del kaiser, culminati nella Prima guerra mondiale.
Nato nel 1881, il conte Felix, rampollo di un’antica famiglia di militari, fu educato nel culto della patria tedesca appena unificata e della fedeltà all’imperatore. Era adolescente mentre già molti, in Germania, cominciavano a intravedere la precarietà e i rischi legati all’ascesa fin troppo rapida della nazione, all’estremismo dei pangermanisti, alle tentazioni militariste che percorrevano il Paese, al peso crescente delle gerarchie militari. Sognatore e svogliato nello studio, Von Luckner sognava gloria e avventure e intanto si faceva bocciare a ripetizione; frustrato ma incostante e poco interessato alla scuola, fini per tagliare la corda, abbandonare la famiglia e farsi assumere come mozzo a bordo di una bagnarola russa in rotta per l’Australia. La gavetta a bordo, le balordaggini e i mestieri fatti per tirare a campare tra un imbarco e l’altro, la ripresa degli studi per diventare ufficiale della Marina, la curiosità suscitata nei professori da quel ragazzo «plebeo» ma dai modi tanto raffinati, intelligente e già pieno di esperienza eppure tanto asino nelle materie di scuola, l’aiuto e, finalmente, la promozione a tenente della Riserva nel 1905 e il ritorno a casa del figliol prodigo formano la prima, davvero godibile parte del libro.
Nel frattempo la Germania, la potenza marittima che aveva compiuto il maggiore sforzo di crescita e rinnovamento, si poneva direttamente come rivale dell’Inghilterra. Mentre gli stati Europei si schieravano nella Triplice Alleanza e nella Triplice Intesa o si rifugiavano in una precaria neutralità, continuando la corsa ad armamenti sempre più moderni e potenti – al gigantismo, dirà Von Luckner – il giovane conte si guadagnava la stima e l’apprezzamento dei superiori. La Germania manifestava la propria potenza militare sia tramite la diplomazia, sia con le armi, ovunque la portassero gli interessi economici e politici, alienandosi a poco a poco la simpatia degli altri Stati e gettando le basi per un progressivo isolamento che alimenterà, in un loop fomentato dalla propaganda governativa, il nazionalismo interno e la foga militarista. Allo scoppio della Prima guerra mondiale Von Luckner, fautore di un punto di vista aperto sul mondo, si trovò preso nell’ingranaggio
«nonostante la propria morale e la propria filosofia, perché la sua lealtà alla patria non tollerava alcuna contraddizione».
Come altri giovani ufficiali di famiglia nobile, Luckner, cresciuto negli ideali di onore famigliare e fedeltà alla patria, era un pesce fuor d’acqua, il sopravvissuto di un mondo che, probabilmente, non era mai esistito. Insieme ad alcuni spiriti affini si ostinava a coltivare valori «fuori moda», come la cavalleria verso il nemico e il rispetto delle leggi della guerra in anni nei quali tutto ciò che contava per i politici del Reich erano la potenza di fuoco, la velocità dei sommergibili e il numero di perdite inflitte ai nemici in un delirio contabile anonimo e capitalistico che condurrà dritto alle atrocità dei lager e che, per intanto, giustificava misfatti come l’affondamento del Lusitania. Per «salvarsi l’anima», questi gentiluomini d’altri tempi sostennero la logica «obsoleta» della guerra di corsa: abbordaggio e affondamento dei mercantili nemici con il loro carico – privando così la macchina bellica nemica di rifornimenti e materie prime – e rispetto per la vita degli equipaggi. Benché osteggiati da buona parte della gerarchia militare, essi riuscirono a convincere l’ammiragliato e a ottenere il beneplacito del Kaiser e si avventurarono in mare su incrociatori a vela, riportando non pochi successi e costruendo la loro leggenda di corsari.
Le avventure del Seeadler, incrociatore travestito fin nei più piccoli dettagli da mercantile «norvegese» sotto la supervisione geniale di Von Luckner (arredamento norvegese, fotografie di «vere» fidanzate norvegesi ecc.) sono gustose e fitte di episodi spassosi come quello in cui l’ufficiale inglese salito a bordo per un controllo porge deferenti omaggi alla «moglie del comandante», un giovane marinaio abbastanza avvenente, imparruccato per l’occasione che l’equipaggio e soprannominato dall’equipaggio la «Jeannette coi piedoni», o come le reazioni degli equipaggi abbordati, che andavano dallo sbalordimento alla disperazione, alla corsa disordinata alle scialuppe, all’ostinato e rissoso rifiuto di abbandonare la nave tipico, pare, dei comandanti bretoni. Altrettanto interessanti le peripezie, scandite da prigionie ed evasioni rocambolesche, di Von Luckner e dei suoi ufficiali caduti in mano ai nemici inglesi dopo il naufragio del Seeadler.

Seeadler
Ma, mentre i corsari navigavano, privi di notizie sull’andamento della guerra, un mondo intero era crollato ed era definitivamente cominciato il «secolo breve» Durante i mesi di prigionia e dopo il ritorno in patria, Von Luckner fu costretto a riflettere sulle scelte arroganti di un paese che, se non poteva essere semplicemente identificato con il suo Kaiser, i suoi politici e le sue gerarchie militari, non poteva nemmeno essere assolto dalla storia. Von Luckner si assunse le proprie responsabilità morali e agì di conseguenza. La precarietà delle Repubblica di Weimar e la sua diffidenza di monarchico convinto non gli impedirono di prendere molto presto le distanze dalle derive militariste e razziste. Si oppose a lungo, con interventi pubblici e conferenze, all’ascesa di Hitler, fino a essere definito «traditore del Reich» e condannato a morte dal Führer. Riparò negli Stati Uniti con la moglie e continuò la sua attività di conferenziere e di oppositore al nazismo. Dopo la guerra si stabilì in Svezia. Ritornò in Germania solo nel 1951 e poi altre volte su invito di varie associazioni e per supervisionare la sceneggiatura di un film sulle sue imprese. Morì nel 1966.
A libro chiuso, il racconto di questa vita contemporaneamente fuori epoca e completamente calata nel proprio tempo, lascia molti spunti di riflessione sui modi con i quali un popolo può cadere «vittima» di un nazionalismo totalitario e cinicamente pilotato dall’alto fino al punto di non farsi più domande sulla sua origine e da accettarlo come parte ovvia della propria vita quotidiana. Lascia, però anche il ricordo dell’ostinazione commovente di Von Luckner e del suo fedele equipaggio nel risparmiare sempre la vita ai nemici e nel salvaguardarne la dignità, nel promuovere la comunicazione invece del sospetto, fino a trasformare il loro clipper sempre più affollato in una sorta di zona franca dove, pur nei limiti delle regole di guerra, uomini provenienti da tutta Europa e dalle Americhe potevano conoscersi e confrontarsi sul piano personale, temporaneamente liberi da definizioni povere e riduttive legate alla nazionalità e agli schieramenti politici. Un «valore aggiunto» che rende questo libro estremamente attuale anche se racconta una «vecchia» storia.
Gérard Jaeger, Felix von Luckner Un corsaro del XX secolo, EFFEMME 2006, pp. 386, € 20,00, trad. G. Lagomarsino / Disp. come usato presso Il Libraccio
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