Un gioco da bambini è un romanzo di J.G.Ballard pubblicato per la prima volta nel 1988 e già edito in Italia nel 1992 da Anabasi, da Baldini & Castoldi nel 1999 e infine da Feltrinelli nel 2013. Titolo originale è Running wild e il titolo italiano non è inadatto anche se, forse, un po’ troppo rivelatore.
La vicenda si svolge in un villaggio residenziale esclusivo alla periferia di Londra, dove uno psicologo della polizia cerca di risolvere un caso di omicidio plurimo particolarmente cuento: una trentina di persone, – tutti gli adulti che vivevano nel Pangbourne Village – sono stati uccisi in maniera particolarmente efferata. I loro figli, ragazzi dagli otto ai diciassette anni, sono tutti scomparsi, forse rapiti dagli assassini.
Il Pangbourne Village si distingue dagli altri anche per la sua aria asettica, come se i consiglieri ci amministrazione, i finanzieri e i magnati della TV che vi abitavano fossero riusciti a bandire dal loro Parnaso privato persino il concetto di sporcizia e disordine. Qui si ha l’impressione che persino le foglie che cadono dagli alberi si stiano prendendo troppe libertà. In queste dimore lussuose vivevano tredici ragazzini ma è difficile mmaginarseli mentre giocano sui prati.
In questa fortezza modernissima, difesa da impianti elettrici sofisticati e da guardiani, gli assassini si sono mossi con rapidità e competenza, come se conoscessero benissimo il luogo e senza lasciare tracce. Lo psicologo vaga tra le case, diverse nell’arredamento eppure tutte uguali, si sofferma nella camere dei ragazzi, testimoni mute di hobby «intelligenti» e di sport elitari. I ragazzi, tutti bravi a scuola, erano molto uniti tra loro e sempre più indifferenti alla vita esterna. I genitori dedicavano ai figli momenti scrupolosamente prefissati del loro tempo prezioso, organizzavano per loro incontri e feste, partecipavano con loro a gare di bridge. Le ore che insieme trascorrevano con i figli offrivano agli adulti le uniche occasioni per uscire dalle loro lussuose abitazioni e incontrarsi con i vicini.

James G. Ballard
Il romanzo di Ballard non è un thriller, quindi non ho scrupoli a dirvi che, come il lettore sospetta fin dalle prima pagine, sono i ragazzi gli autori della strage. Strage che, nella loro mente e nel mondo sempre più isolato dalla realtà, ha assunto i connotati di un omicidio rituale, di un atto di iniziazione che li unisce separandoli per sempre dalla quotidianità, di un rifiuto catartico della solitudine soffocante e obbligata dei genitori, sempre pronti a capire e mai a farsi coinvolgere, sempre disponibili a perdonare e mai a dimostrare con la rabbia, l’indignazione, anche con il rifiuto momentaneo, che ai figli tenevano davvero e non giocavano con loro l’ennesimo gioco di bravura di una vita produttiva e piena di successi.
Ballard ha quindi unificato alcuni dei suoi temi tipici: la vita alienata in un universo isolato dall’esterno e apparentemente perfetto (Condominium), l’interesse per la figura ambigua e socialmente rappresentativa del killer, che ha affrontato in diversi racconti sull’assassinio di Kennedy. Anche il tema della violenza di bambini e adolescenti non gli è nuovo. Qui li mescola con estrema abilità, creando un meccanismo narrativo efficacissimo che intrappola il lettore sin dalle prime righe, costringendolo a proseguire la lettura nonostante la sottile sgradevolezza e a interrogarsi sul difficile equilibrio tra adulti e adolescenti, distorto da una società che li seduce senza sforzarsi di comprenderli e che proprio nel riconoscerli come soggetti privilegiati finisce con il tradirli.
James G. Ballard, Un gioco da bambini, Feltrinelli Universale Economica 2013, pp. 92, € 7,00, trad. F. Castellenghi Piazza
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