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    TerraNova

    Chessex Jacques – Il vampiro di Ropraz

    • di Silvia Treves
    • Giugno 17, 2009 a 5:47 pm

    Chessex Jacques
    Il vampiro di Ropraz
    Fazi
    € 14,00
    trad. D. Galateria

    Il vampiro che oggi va di moda è «igienico» e immateriale. È immancabilmente un bellissimo ragazzo […] appena uscito dalla messa in piega quotidiana; si veste da Armani […] Il mio vampiro è invece brutale. Ed è colui che portiamo tutti dentro di noi». J. Chassex, intervista di M. Sacchi, ilgiornale.it

    La vicenda, realmente accaduta, de Il vampiro di Ropraz si svolge nel 1903 nel villaggio di Ropraz (alto Jorat del cantone del Vaud), dove settant’anni dopo Chessex andrà a stabilirsi. In un febbraio gelido, il paese ancora assediato dalla neve, Rosa Gillièron, giovane e bella figlia di un giudice, muore di meningite. La morte della ragazza colpisce dolorosamente la gente di Ropraz, perché padre e figlia, benché colti, aperti e quindi «diversi» dai compaesani, erano amati e rispettati per la loro gentilezza e compassione. Seppellito nel cimitero di Ropraz, il corpo di Rosa viene orribilmente profanato due giorni dopo; i resti sembrano finiti nelle grinfie di un Jack the Ripper dedito al cannibalismo. Nel giro di pochi giorni l’intera Svizzera e molte città europee sbattono il mostro in prima pagina: «Il vampiro di Ropraz», «il profanatore», «il bevitore di sangue del Bois des Tailles»… Le indagini della polizia locale girano in tondo e nel frattempo i corpi di altre due giovani morte di recente vengono scoperti sconciati e mutilati.
    Dopo settimane di caccia al colpevole, dopo che i sospetti hanno minato le rigide regole di convivenza della comunità e rovinato educati rapporti di vicinato, dopo che calunnie, vendette personali, rivalità politiche e condanne sommarie hanno tirato in ballo gente più o meno «strana» e soprattutto estranea al gruppo, viene inchiodato il ventenne Charles – Augustin Favez, un tizio che i seguaci più retrivi di Lombroso avrebbero mostrato con soddisfazione:

    ha ventun anni, ne dimostra il doppio, strano corpo, testa sfuggente, alcolizzato, vizioso, taciturno. E si diverte con le nostre bestie.

    Grande e grosso, quasi muto, pallido e con gli occhi iniettati di sangue, soggetto ad «assenze» e alcolista, il disgraziato ha alle spalle una storia atroce di abbandono, fame, abusi nella famiglia affidataria, violenza. Per lui si chiede la pena di morte.
    La storia di Favez e del suo lungo processo, un caso mediatico che dalla Svizzera si allarga all’Europa positivista della Belle époque, si intreccia a quella di Albert Mahaim, psichiatra seguace di Charcot e fondatore a Cery di un istituto psichiatrico modernissimo con reparti di geriatria e fattoria modello per il recupero dei malati meno pericolosi. Convinto che Favez sia una vittima, Mahaim si adopera per salvarlo.
    Ma in carcere Favez incontrerà anche un altro personaggio, insospettato e inquietante, sospeso fra una follia complementare alla sua e una pietas distorta verso il «mostro».

    La vicenda del «vampiro» è una storiaccia da cui molti lettori distoglierebbero volentieri lo sguardo, piena di «cattivi» e povera di gente apprezzabile; cadendo in mani sbagliate, la storia di Favez e delle sue orripilanti passioni avrebbe potuto diventare la pessima sceneggiatura di un B-movie hard-core venato di horror maldestro. Chessex, invece, ne ha fatto una strana novella, sospesa tra racconto popolare, surrealismo letterario, crime story e puntuale documento giornalistico; per l’attenzione che dedica alla ricostruzione della scena del crimine, alla psicologia dei personaggi, al contesto sociale, Il vampiro di Ropraz ricorda Il caso Redureau di Gide o anche A sangue freddo di Truman Capote.
    Anticonformista, comunista, insignito della Legione d’Onore nel 2002, Chessex ha sempre dimostrato un’attenzione esasperata per i lati oscuri della psiche umana e della sessualità, cui probabilmente non è estraneo il trauma, vissuto nella prima gioventù, della morte per suicidio, preceduta da lunga agonia, del padre.
    Come altri connazionali, da Fleur Jaeggy a Robert Walser, Chessex racconta il lato oscuro di una Svizzera ben diversa da quella di nazione pacifica e ricca che le viene accreditata. Chi ha letto le opere di Glauser ritroverà nel romanzo le atmosfere soffocanti di paese, il moralismo e l’attaccamento feroce a quella che Verga definì «la roba». L’aspetto veramente peculiare di Chessex è l’ipersensibilità ai temi del sacro e della colpa, alla vena di calvinismo esasperato e cupo, al timore di perdere la grazia, che cova nelle vallate del Vaud.

    Abitazioni disseminate spesso in luoghi deserti attorniati da alberi scuri, villaggi stretti dalle case basse. Le idee non circolano, la tradizione pesa… S’impiccano in molti, nei casolari dell’alto Jorat. Nel fienile. Alle travi di colmo. Tengono un’arma carica nella stalla o in cantina.
    […] Si fa molta attenzione quando si assume un vagabondo per la mietitura o per le patate. È lo straniero, il ficcanaso, il ladro. Anello all’orecchio, sornione, il coltello a serramanico infilato nello stivale.
    […] Ci si barrica nella testa, nel sonno, nel cuore, nei sensi, ci si rinchiude nel casolare, con il fucile pronto, l’anima ossessionata e famelica.
    E la follia si propaga. E la paura. Chi si è intrufolato nella soffitta? Chi ha camminato sul tetto?

    Perfettamente adeguato all’ispirazione, lo stile è davvero notevole: lirico e suggestivo in alcune pagine, freddo e documentaristico in altre, capace di descrivere un’anima colpita in profondità nell’infanzia, come una pianta costretta a crescere contorta per appropriarsi di quel po’ di luce che consente una stenta sopravvivenza.
    Se è impossibile provare affetto per Favez, o anche solo comprenderne parzialmente le pulsioni, è ugualmente impossibile non intuirne la sofferenza e la paura, tanto sono ben raccontate da Chessex, che alla fine ci conduce – combattuti fra un tranquillizzante disgusto e una sorta di riluttante pietà – a com-patire il «vampiro».
    Così il medico commenta il suo caso:

    In questi luoghi deserti, il sintomo del vampirismo durerà finché questa società sarà vittima dell’abiezione primitiva: sporcizia dei corpi, promiscuità, isolamento, alcol, incesto e superstizioni che infestano le nostre campagne e che creeranno focolai di abusi sessuali e di orrore senza pietà.

    Altro che Svizzera da cartolina, con le mucche tutte linde e il cioccolato buonissimo… E del paradiso fiscale (Ziegler, La Svizzera lava più bianco, Mondadori 1990) che ne è stato? Ecco, dovremmo fare attenzione, noi che viviamo in Padania o almeno ai suoi confini: si comincia col sognare la Svizzera dei dané e si finisce col realizzare una Svizzera dei forconi levati contro chiunque sia «straniero»…

    Jacques Chessex (1934 – ) è nato nel Cantone di Vaud e da trent’anni vive a Ropraz. Saggista, critico letterario, poeta, romanziere, scrittore per l’infanzia, è uno dei più grandi scrittori di lingua francese viventi e il maggiore esponente della letteratura svizzera. Nel 1974 ha vinto il Prix Goncourt con il romanzo L’Ogre (L’orco, Rusconi 1974, che Fazi ripubblicherà a breve). Ha da poco pubblicato in Francia il romanzo Un Juif pour l’example, anch’esso di prossima pubblicazione presso Fazì. In Italia è disponibile Il primo odore (Gaffi, 2006).

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