L’organizzazione del romanzo di DeLillo appare – perlomeno all’inzio – davvero minimale, quasi sospetta. Si inizia da una storica partita di baseball: Dodgers e Giants al Polo Grounds di New York, nel 1951. La palla del fuoricampo di Thomson, quella che dà la vittoria ai Giants, finisce nelle mani di un ragazzetto di colore entrato abusivamente allo stadio. Diciamo che il lettore è ben lieto di questa conclusione. C’è una giustizia arcana nel fatto che sia un ragazzetto nero e povero a impadronirsi del pegno di un momento mitico della storia americana.
E, almeno per il momento, la palla scompare dalla nostra storia. Dal 1951 passiamo al 1992 e a Klara Sax, impegnata – in pieno deserto – a dipingere, anzi a colorare, decine di bombardieri B-52 radiati dall’USAF. Un’impresa faticosa, da artista di strada, che contiene qualche risonanza inspiegabile, qualcosa che ha a che fare con il ricordo della bomba atomica che i bombardieri dell’apocalisse avrebbero dovuto trasportare, in contrasto con la loro attuale condizione di draghi arrugginiti. Nella nuova vita che Klara Sax vuole regalare loro ci sono quarant’anni di paura, i timori che tutti hanno provato – senza neppure esserne pienamente coscienti, magari da bambini – ciò che ha improntato la vita delle generazioni nate negli anni ’40 e ’50.
Il tempo di riflettere sul tempo trascorso, sul suo peso e la sua forma, e si ritorna a Billy e alla sua storica palla da baseball. Una palla da baseball è una palla da baseball come tutte le altre, non esistono prove che sia quella palla. Non vale nulla, vale un ricordo, una piccola storia che Billy non riuscirà più a togliersi di dosso. Ma la famiglia ha bisogno di denaro e non è giusto possedere un oggetto tanto importante e non poterlo vendere per il suo valore. Deve avere un valore. Sarà suo padre, Manx Martin, a tentare la vendita, a cercare di trasformare in valore commerciale un ricordo.
La struttura binaria del libro è solo un’illusione. Altre storie, altri momenti entrano in gioco. La palla da baseball ritorna a tratti – citata o ricordata, esibita o messa in ridicolo – in un mondo che muta. Le storie si sostituiscono alla storia, sezioni di vite e momenti differenti raccontati con la pignoleria veloce di un radiocronista. DeLillo non si allontana mai dal suo libro, commenta, riflette, trae conclusioni temporanee e incerte, ma continua il collegamento. La guerra di Corea, la guerra del Vietnam, l’America radicale degli anni ’60, Nixon, le periferie che diventano ghetti, l’AIDS, la fine dell’URSS. Seduto nella sua cabina di vetro, negli abiti stazzonati e sudati di un giornalista sportivo DeLillo continua la sua radiocronaca, racconta con lo stesso scrupolo il sublime e lo squallido, mette in scena il suo malinconico e inesauribile interesse per un’umanità che si affretta a invecchiare, racconta svolte impensate e umori inattesi; i piccoli gesti di ogni giorno vengono ripresi, puntualizzati, meditati a formare un tappeto di realtà gremita e formicolante fatta di una fisicità rallentata, danzante e mobile come le parole usate per scriverla.
DeLillo accompagna, anticipa e ritarda, crea uno spazio silenzioso, un cerchio di attenzione. Col procedere della lettura si crea tensione, una sfida: il lettore si chiede se è il caso di superare un altro ostacolo, se entrare in un’altra vita inconclusa o fermarsi a comporre il quadro. Può aver partita vinta la curiosità, come nel mio caso, e allora si continua a leggere, ripromettendosi di riprendere successivamente in mano il libro. Ed è forse questa una delle caratteristiche più preziose in un romanzo: la possibilità di ulteriori letture, di altri incontri, di nuove osservazioni.
Eppure, nonostante la sua struttura aperta, apparentemente resa solida unicamente da un’ispirazione magica e dall’andamento serpeggiante ed elusivo, Underworld è capace di evocare grandiose suggestioni, far emergere taglienti passioni politiche, esprimere un punto di vista sulla realtà e sulla storia. Le ultime pagine, ricche di una formidabile spiritualità laica, segnate dal doloroso distacco da una fede che non è possibile – onestamente – vivere, riconsegnano il lettore al suo tempo, ne fanno un testimone finalmente consapevole di esserlo.
É un capolavoro, Underworld? La domanda è probabilmente malposta o forse semplicemente insignificante. É un libro che fatica a rimanere chiuso, diciamo così, un romanzo vivo. Qualcosa che merita festeggiare, oltreché – naturalmente – leggere.
Don DeLillo, Underworld, Einaudi Super ET, 2014, pp. 886, € 17,00, trad. Delfina Vezzoli
Idem ebook, 2012, € 6,99
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