La cultura di fine secolo è la cultura del vampiro, sostiene l’autore: la contaminazione – di modalità espressive, di genere sessuale e di naturale con artificiale – e il contagio sono le caratteristiche distintive di questi anni.
Quint’essenza del vampiro è la TV, «il televisore vampirizza la letteratura, il teatro, la fotografia, il cinema (..) li fa morire a poco a poco oppure li rende uguali a sé». Anche la scrittura è un vampiro, perché contagia i lettori con le sue visioni; per molti scrittori, da Poe a H.James, la metafora del ladro di energia e di forza vitale è legata ai processi dell’esperienza e della conoscenza.
Ma è il cinema il mezzo maggiormente legato al mito del vampiro, un mito che, pur nell’ambito di una storia sempre uguale, è modulato dalla sensibilità dell’autore e da quella del suo tempo. Nel Nosferatu di Murnau convergono metafora politica e proiezione psicologica delle inquietudini del regista; il Dracula di Browning pone invece l’accento sulla solitudine del Diverso (che nell’interpretazione suadente e magnetica di Bela Lugosi, rivoluzionario comunista ungherese in esilio, acquista un sapore autobiografico); il Dracula di Fisher e di Christopher Lee ne sottolinea l’erotismo e inquadra la vicenda in una affascinante cornice vittoriana, con Van Helsing «rigido come l’istitutore di un college inglese» e Dracula «spietato come un colonnello britannico o come il caporeparto di una fabbrica ottocentesca», pur affettando l’eleganza sorniona di un dandy.
Echi di vampirismo attraversano il cinema americano di fantascienza, dal primo e ineguagliato L’invasione degli Ultracorpi di Don Siegel a La Cosa di Carpenter e molti film non di genere sfiorano tematiche vampiriche, da Carne y Demonio di Buñuel a Brivido Caldo di Kasdan. Il vampiro è stato, nel cinema, nella letteratura e nella satira, anche metafora politica del capitalismo e del fascismo, ma adombra un’ambigua forma di democrazia perché rende le sue vittime complici e simili a sé.
Il futuro del vampiro è roseo, il suo mito viene potenziato anziché diminuito dal diffondersi dell’AIDS e dalla familiarità con l’immortalità virtuale che ci offre la telematica. Nato come metafora di un Altro irrimediabilmente diverso, il vampiro a poco a poco si è trasformato in un infelice solitario da compiangere, in un elegante modello da imitare, divenendo infine, nell’ultimo scorcio di millennio e all’inizio del nuovo, il nostro specchio, l’immagine finale con cui immedesimarci.
Il saggio di Giovannini è accattivante, suggestivo nonostante (o forse proprio a causa) le divagazioni, É ampio, più che profondo, perché è destinato ad un pubblico di appassionati ma non di specialisti, i quali potranno trovare in altri testi – di cinema, di letteratura di genere, di antropologia, di folklore – informazioni e trattazioni più esaurienti. Contiene alcuni spunti originali, è ricco di illustrazioni, completato da una buona bibliografia e offre persino un elenco delle opere teatrali (non di quelle cinematografiche, già facilmente reperibile altrove) sull’argomento; la veste grafica e il prezzo contenuto lo rendono un regalo interessante.
Fabio Giovannini, Il Libro dei Vampiri. Dal mito di Dracula alla presenza quotidiana, Dedalo 1996 pp. 256, ed orig.. 1986, € 20,00, ill. colore e b/n
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