Classico manoscritto ritrovato in un cassetto dieci anni dopo la morte dell’autore, questo romanzo breve è peculiare per diversi motivi. Innanzitutto perché l’autore non è un romanziere ma un paleontologo di fama mondiale, che ha rinnovato la sua disciplina coniugandola con il neodarwinismo. L’uomo che restò solo..., infatti, è anche un’abile e ben dissimulata opera di divulgazione scientifica e si sviluppa a partire da un concetto del tempo come entità quantistica che avrebbe fatto sballare Zenone (quello della freccia). Ma è anche molto di più.
Andiamo con ordine, prima di tutto la trama. Anno 2162: mentre studia l’essenza del tempo, il cronologo Sam Magruder sprofonda nell’intervallo quantistico tra due istanti del presente e scivola lungo il continuum sino a 8o milioni di anni fa. In pieno Triassico se la deve vedere con dinosauri grandi e piccoli e trascorre in questa terra remota il resto della vita, in una dolorosa alternanza tra necessità di sopravvivere e consapevolezza della propria irrimediabile solitudine. Magruder vive in un limbo, è tagliato fuori da tutto ciò che ha conosciuto e nulla di quanto farà nel tempo che gli rimane lascerà tracce nella storia dei suoi simili. La sua unica speranza è che qualcuno legga il diario conciso delle sue avventure, che anno per anno va incidendo sulla pietra. Naturalmente riuscirà a farci pervenire la sua testimonianza.
Ad una lettura frettolosa, l’opera di Simpson potrebbe sembrare un tributo intrigante alla paleontologia, o una favola di sapore vagamente positivista dove il Robinson temporale ha la meglio sui sauroni tardi di cervello, sui tirannosauri semplicioni e ottusi che a metà di una carica furiosa si guardano intorno svagati, senza più ricordare perché si erano tanto agitati; sul pentaceratops (un bestione tricornuto che somiglia ad una jeep taroccata), «un vicino abbastanza seccante», un altro appassionato di cariche che parte mugghiando e annunciandosi da lontano; sul celurosauro la cui «imbecillità è notevole persino per un dinosauro». C’è di peggio dei bestioni: insetti, paludi abitate da coccodrilli, germi vari, cibo schifoso e la necessità urgente di acquisire una manualità mai posseduta.
Il cronologo se la cava bene e i lettori pure, perché imparano in maniera divertente parecchie nozioni fondamentali di paleontologia, magari non sempre aggiornatissime, perché Simpson era convinto dell’eterotermia dei dinosauri e ne sottovalutava l’agilità e la vita sociale; ma soprattutto i lettori possono assimilare alcuni concetti basilari del neodarwinismo. Già così il libro meriterebbe di essere letto, anche perché un guru della FS come Arthur Clarke (quello di Odissea nello Spazio) ha scritto la prefazione e Stephen Jay Gould, allievo di Simpson, ha scritto una postfazione all’altezza dei suoi saggi..
Ma, ve l’ho detto, c’è di più. Che lo sapesse o no, Simpson era un narratore, raccontava una storia improbabile per parlarci di noi che ogni mattina usciamo di casa per vivere le nostre vite. Cosa fa di noi umani ciò che siamo? Quanto reggerebbero la nostra etica, la nostra correttezza in condizioni estreme? Cosa farebbe – cosa potrebbe fare – un essere umano che ha l’assoluta certezza di essere e rimanere completamente solo? Si ucciderebbe? Giocherebbe il ruolo di Dio, cercherebbe di rimanere ad ogni costo fedele alle proprie convinzioni? Rifletterebbe sul fatto che «un uomo è sempre responsabile di se stesso»?
Simpson – dice Gould – era un uomo difficile, tormentato dai dubbi, da una solitudine autoimposta, dal timore di non essere capito e apprezzato. Ma ha saputo trascendere le sue angosce, trasformarle in narrazione, tanto da renderci familiari e riconoscibili la solitudine impossibile del suo protagonista e la sua domanda senza fine: «Spesso mi sono domandato perché continuassi a vivere».
Certo Simpson non è uno scrittore professionista. A volte è ingessato o non sufficientemente smaliziato, a volte si lascia lusingare dalle simbologie del suo racconto filosofico. Ma riesce, come soltanto un narratore sa fare, a compiere il miracolo di rendere vero – al di là della verosimiglianza – ciò che racconta.
George Gaylord Simpson, L’uomo che restò solo sulla Terra, Rizzoli 1997, ed orig. 1996, pp.155, disp. esclusivamente come usato, trad. L.Comoglio
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