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    Il fascismo spirituale di Julius Evola

    • di Silvia Treves
    • Gennaio 17, 2014 a 8:12 pm

    germinario_razzasangue
    In un saggio chiaro, documentato e apprezzabile anche da chi non si occupa di storiografia, Francesco Germinario esamina la figura – discussa ma ancora troppo poco studiata e quasi soltanto dalla cultura di destra – di Julius Evola, i suoi rapporti con il fascismo e il nazismo, i contributi originali che fornì al pensiero razzista e antisemita. Bollato in seguito un razzista impresentabile, considerato da alcuni storici uno dei padri teorici del neofascismo coinvolto nella «strategia della tensione», Evola rappresentò una voce fondamentale, anche se minoritaria, del razzismo e dell’antisemitismo di epoca fascista, contribuendo, insieme agli esponenti di diverse discipline cosiddette «umane» come l’antropologia, la medicina, la demografia, la biologia, l’eugenica, all’elaborazione di un pensiero razzista italiano originale e non semplicemente al traino del nazismo, che il regime seppe utilizzare in maniera duttile. [1] germinario
    Il pensiero di Evola ammette tre «gradi della dottrina della razza»: il razzismo biologico, che individua le peculiarità psicofisiche delle razze; il razzismo dell’anima, che studia gli elementi primari che agiscono all’interno forgiando « un costante modo d’essere o stile in fatto di agire, di pensare, di sentire » e infine il razzismo dello spirito che identifica i « ceppi umani superiori » dal loro rapporto con il sacro, il sovrannaturale, con il mondo dei simboli e dei miti. Il vero razzismo quindi non può limitarsi all’aspetto esteriore, ma deve scendere in profondità: « la razza… è una forza profonda che si manifesta sia nell’ambito corporeo sia nell’ambito animico-spirituale ». Sulla base di queste considerazioni, molti studiosi hanno considerato il razzismo spirituale di Evola, un’alternativa possibile ma non praticata al razzismo brutalmente biologico che condusse ad Auschwitz. In realtà, questa è la tesi di Germinario, «per quanto spiritualizzato, il razzismo evoliano perviene ai medesimi risultati cui era pervenuto il razzismo biologico», ossia considera fissi, ineluttabili, i caratteri razziali che si esprimono a livello fisico e a livello spirituale: « “La razza è […] una forza profonda e misteriosa che quasi come un destino spesso si afferma al di là della consapevolezza dei singoli” », è un destino a cui non si sfugge:

    Evola biologicizzava la figura dell’ebreo non in nome di un determinismo biologico tante volte rimproverato ai nazisti, ma attraverso un percorso in cui Anima, Spirito e Cultura definivano la figura dell’ebreo in un modo altrettanto deterministico.

    A conferma, come Germinario dimostra col suo accurato lavoro di documentazione, gli scritti di Evola presentano tutti i più vieti stereotipi dell’antisemitismo e del determinismo biologico, dall’indefinibilità razziale dell’ebreo alla sua inclinazione alla sovversione, all’esistenza di una Internazionale ebraica, istinto collettivo prima che cospirazione consapevole:

    L’azione di una legge osservata ininterrottamente per secoli non si dissipa dall’oggi al domani; essa ha creato un tipo, ha dato forma a determinati istinti, ha enucleato uno specifico comportamento. […] Il pericolo ebraico […] è qualcosa di proprio a una essenza incoercibile, qualcosa che procede dalla natura ebraica come dalla natura stessa del fuoco procede l’effetto del bruciare e consumare.

    Uno dei pregi del saggio è l’analisi dettagliata sia della polemica tra Evola e gli ambienti fascisti (la sinistra come la destra) che il filosofo smorzò dopo il 1935, mano a mano che il regime si evolveva in senso antisemita e autoritario sia dei suoi rapporti più stretti con pensatori della destra tedesca come Spengler e Spann o con teorici del nazismo come Rosenberg, con i quali, da esponente solitario di «una visione tradizionalista della destra fascista», trovò più consono il confronto. Neanche al nazismo, comunque, Evola risparmiò critiche per la limitatezza di una visione razziale che rendeva sinonimi «ariano» e «tedesco», «razza» e «Volk» e assegnava al popolo tedesco la superiorità e la purezza, invece di estendersi anche all’interno della razza, differenziando l’aristocrazia del sangue e dello spirito. Evola, conclude Germinario, fu – caso quasi unico in Italia – un antimodernista coerente, un pensatore della destra estrema in cerca di «una rigorosa cultura della tradizione», ma non è soltanto questa coerenza a renderlo interessante per gli studiosi e i lettori. La storiografia degli ultimi anni tende a distinguere il razzismo gerarchizzante espresso fino ad Auschwitz, che divide l’umanità in razze allo scopo di farne una gerarchia, da quello differenzialista, più interessato agli aspetti culturali che a quelli biologici, che ribadisce l’esistenza delle razze senza gerarchizzarle, un razzismo meno appariscente e pericoloso, sicuramente più presentabile politicamente. Nonostante le differenze, però, le finalità dei due tipi di razzismo non sono diverse: in entrambi i casi le «razze», anche quando vengono chiamate «etnie», sono rigidamente caratterizzate, un individuo appartiene ineluttabilmente all’una o all’altra dalla nascita alla morte, definito dalle proprie origini senza possibilità di recedere né di dichiarare appartenenze differenti in differenti contesti (dalla famiglia, al quartiere, alla comunità linguistica, alla nazione, alla comune natura umana). Proprio questa discriminazione apparentemente innocua, moderna, con le mani pulite, trova nella figura di Evola un antecedente imbarazzante:

    Il pensiero di Evola è infatti emblematico di come all’interno dell’universo ideologico del razzismo gerarchico precedente, ovvero contemporaneo ad Auschwitz, convivessero anche ipotesi e posizioni chiaramente differenzialiste […] Erroneo, dunque, sotto l’aspetto storiografico, sarebbe erigere una barriera concettuale e temporale fra il razzismo classico gerarchizzante e quello differenzialista.

    E anche imprudente dal punto di vista politico e filosofico, dal momento che proprio su questo filo sottile («loro non sono inferiori, solo diversi, quindi…» Ci stiamo giocando in questi anni le possibilità di convivenza e di integrazione (non assimilazione!) del Nord e del Sud del mondo.

    Francesco Germinario, Razza del sangue, razza dello spirito
    Julius Evola, l’antisemitismo e il nazionalsocialismo (1930-43)
    Bollati Boringhieri 2001, pp. 175, euro 15,49

    [1 In Italia gli esponenti delle scienze umane contribuirono in vario grado all’elaborazione di un pensiero razzista originale che, a differenza di ciò che accadde in Germania, non si orientò, almeno inizialmente, verso un rigido determinismo biologico. Solo più tardi il Manifesto della razza, elaborato soprattutto da personaggi di secondo piano della comunità scientifica dell’epoca, traghettò il regime verso un razzismo rozzamente biologico, appiattito sulle posizioni tedesche e poco gradito ad alcuni nomi di spicco (tra i quali lo stesso firmatario Nicola Pende) e agli ambienti cattolici tanto che, su spinta dello stesso Mussolini, il Manifesto venne emendato in una nuova, troppo tardiva versione degli anni 1941-42. Il rifiuto del razzismo biologico in nome di un variegato razzismo spirituale che assegna il primato alla cultura, alle idee, ad un comune sentire non fu quindi, nemmeno negli ambienti scientifici, un atteggiamento isolato (si potrebbero fare i nomi di Gini, Sergi, Pullé, dello stesso Pende). Nel caso di Evola, tuttavia, non fu ispirato dal rifiuto di un darwinismo semplicistico e riduzionista: la concezione priva di evidenze scientifiche secondo la quale è lo Spirito a forgiare la materia vivente, a plasmare l’esteriorità (e non il materiale ereditario – il DNA, per chiamarlo con il suo nome – a determinare anche l’essenza spirituale dell’individuo) è frutto, come osserva Germinario, di una «… assolutizzazione dell’Io, ritenuto soggetto creatore, prima che ordinatore della realtà».
    Sull’argomento cfr. il bel saggio di R. Maiocchi Scienza italiana e razzismo fascista, La Nuova Italia, 1999 (cfr. Noi razzisti brava gente)

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