Per il grande pubblico, Dracula è soprattutto il conte vampiro cui Bram Stocker dedicò il suo romanzo più famoso, nonché il protagonista di innumerevoli pellicole hollywoodiane al quale prestarono il loro viso, più o meno truccato, attori come Bela Lugosi, Christopher Lee o Gary Oldman. Reso più complesso dai romanzi di Anne Rice (intrecci interessanti, stile deplorevole), il vampiro cinematografico, maschio o femmina che sia, è ormai diventato una sorta di modello glamour alle prese con amori più o meno disperati e perennemente in guerra con i soliti lupi mannari. Sul fronte librario le cose vanno meglio: oltre che protagonista di narrazioni disparate e talvolta di buona qualità, da tempo la figura del vampiro è argomento di numerosi e ottimi saggi.
Dietro il nome di Dracula, però, c’è un uomo reale: Vlad Ţepeş l’impalatore, figlio di Vlad Dracul, un personaggio storico vissuto nel quindicesimo secolo le cui vicende si intrecciarono con quelle di mezza Europa.
Com’era il vero Vlad? Un mostro capace di pranzare piacevolmente attorniato da centinaia di vittime impalate, come risulta da un gran numero di «racconti» di origine rumena, tedesca e russa raccolti e dati alle stampe da Mattia Corvino, il suo più acerrimo nemico? O un eroe nazionale, come lo ritengono ancora oggi molti rumeni? O l’ultimo baluardo cristiano contro i l’Impero Ottomano? È quanto ha voluto appurare M. Trow, autore di La storia segreta di Dracula. I misteri di Vlad l’impalatore.
All’epoca di Vlad (1431-1476), il piccolo regno di Valacchia confinava con stati più potenti e più ricchi. Il titolo di voivoda era ereditario ma non necessariamente dal primogenito, né soltanto dai figli legittimi: ai boiardi, ovvero ai grandi nobili, spettava il diritto di eleggere il voivoda tra i membri della famiglia reale. Come nella maggior parte delle monarchie elettive medievali, il potere del governo centrale tendeva a essere debole e suddiviso fra i nobili, poiché numerosi membri della famiglia reale ambivano con pieno diritto al trono ed erano pronti a stringere e disfare alleanze per ottenerlo. L’assassinio politico era un mezzo comune, in Valacchia come altrove, per eliminare i rivali e la vita di molti voivoda terminava prematuramente e con violenza. All’epoca di Vlad, la casa regnante di Basarab era divisa in due clan ferocemente rivali: i seguaci del principe Dan e quelli di Mircea il vecchio, nonno di Vlad. Nel 1447 una congiura di boiardi alleati di Janos Hunyadi, reggente ungherese, rovesciò Vlad Dracul, padre di Vlad e del fratello minore Radu, uccidendolo insieme al figlio maggiore. Per fermare gli ungheresi, gli ottomani insediarono sul trono il sedicenne Vlad III. Costretto alla fuga dall’esercito di Hunyadi, il giovanissimo voivoda si rifugiò dapprima in Moldavia, presso lo zio, poi in Ungheria, riallacciando i rapporti con il nemico di pochi anni prima.
Vlad aveva 22 anni quando Costantinopoli cadde nelle mani di Mehmet II il conquistatore e l’Europa perse l’ultima difesa contro la penetrazione dell’impero ottomano nei Balcani. Nel tentativo di mantenere la piccola Valacchia indipendente, Vlad si trovò a stringere e rompere alleanze precarie con i potentissimi (e odiati) vicini ottomani, con il regno ungherese e quello di Moldavia, venendo considerato di volta in volta difensore della cristianità o traditore incontrollabile e troppo ingombrante per il papato e i vicini…
Prigioniero per lunghi anni di Mattia Corvino, il nuovo sovrano ungherese (che lo accusò di tradimento a favore degli Ottomani utilizzando falsi documenti), in ultimo Vlad Ţepeş ne riguadagnò il favore e strappò la Valacchia agli ottomani. Fu la sua ultima avventura: durante il contrattacco ottomano venne ucciso combattendo vicino a Bucarest nel dicembre 1476. Mehmet, pare, ne espose la testa su un palo.
La fama di diabolica crudeltà di Ţepeş poggia su una lunghissima serie di voci, racconti e testimonianze di membri del clero cattolico (Vlad, probabilmente ateo, era stato comunque cresciuto nella fede ortodossa) e di nemici: il voivoda se ne era fatti moltissimi, anche a causa delle durissime rappresaglie contro boiardi troppo avidi e villaggi valacchi di dubbia fedeltà; raccolti e divulgati a stampa da Mattia Corvino, i documenti costituirono per i pochi, nobili e ricchi lettori dell’epoca una fonte di svago paragonabile alla lettura degli odierni cicli horror. I documenti tratteggiano comportamenti patologici al limite della follia, una passione forsennata per il sangue e, occorre dirlo, uno humour nero, maledetto ma con una punta di genialità, che richiama (o meglio è richiamato da) il personaggio di Annibal Lecter. Non cannibale, ma talvolta assetato di sangue, il voivoda non si sporcava quasi mai le mani, ordinando a domestici e soldati di sporcarsele al posto suo. Sommate una con l’altra, le stragi ordinate da Vlad avrebbero dovuto letteralmente decimare la popolazione valacca e sterminare un grandissimo numero di nemici in tempi brevissimi. Dubitando della veridicità delle cifre, Trow, studi alla mano, dedica un certo numero di pagine a dimostrare quanto tempo ci volesse, in realtà, per effettuare un impalamento ben fatto… (potete saltare le pagine, io non vi biasimerò per questo). L’autore sottolinea poi come le esecuzioni e i supplizi orribili che pare siano stati ordinati da Vlad fossero in voga in tutta Europa, allora e nei secoli successivi, ad esempio dall’Inquisizione (che dire di Torquemada, morto in odore di santità?). Insomma, che sia pure alquanto sulle righe, Vlad fu un vero figlio dei suoi tempi.
Trow dimostra come molte delle perfide «imprese» di Vlad siano talmente iperboliche da suscitare il legittimo sospetto che la propaganda di Mattia Corvino abbia voluto screditare con l’inganno un personaggio scomodo. Tuttavia, anche la (non troppo) piccola percentuale di verità dipinge un personaggio con numerosi tratti psicopatici, condivisi da altri famosi «mostri» quali Ivan il Terribile, Gilles de Rais e, nel suo «piccolo», Erzsébet Bathory: crudeltà infantile verso gli animali, ematomania, mancanza di rimorsi, errata valutazione dei rischi, scarsa ponderatezza nelle scelte e una certa incapacità di apprendere dall’esperienza… caratteristiche che la moderna psicopatologia forense associa a serial killer del calibro di Jeffrey Dahmer.
In conclusione Ţepeş fu un personaggio pericoloso e instabile. Ma fu anche uno stratega geniale, un temerario che rischiava in proprio, un patriota valacco. Certo, difendeva la sua Valacchia, ma si poteva dire lo stesso di tutti i regnanti del medesimo periodo. In ogni caso, come argomenta Trow, non ha alcun senso applicare criteri di comportamento attuali a un nobile vissuto cinque secoli fa.
Lettura scorrevole, nonostante i numerosi riferimenti storici, i moltissimi nomi e la gran mole di documentazione utilizzata, La storia segreta di Dracula ha il grande merito di tratteggiare con chiarezza la situazione peculiare della Transilvania quattrocentesca, non terra di vampiri ma di confine e di passaggio, paese in posizione strategica per fermare l’avanzata ottomana o consentirle di dilagare oltre i Balcani. Trow racconta la storia della Valacchia, le sue tradizioni sociali, la sua economia, con riferimenti incrociati al resto d’Europa, dipingendo un quadro per molti versi sconosciuto alla maggior parte degli europei. Il titolo originale, Vlad the impaler. In search of the real Dracula rende più giustizia di quello italiano agli intenti dell’autore.
La storia segreta di Dracula. I misteri di Vlad l’impalatore.
M. Trow. Newton Compton 2^ ed.
€ 10,00 pp. 248, 2009, trad. F.M. Bondani.