Leo Perutz fu uno dei grandi esponenti della cultura mitteleuropea interguerra, amico di Kafka e di Schnitzler; Lernet-Hoelenia fu suo discepolo, anche se non raggiunse mai la forza e lo spessore narrativo del maestro. Non lasciatevi scappare questo romanzo, che Adelphi pubblicò nel 1992 e ripubblica adesso nella collana Gli Adelphi, dove Perutz evoca spettri ben diversi da quelli dei suoi racconti fantastici.
La prima guerra mondiale è appena finita, la rivoluzione russa è in corso, le monete europee vacillano, i reduci dell’esercito austro-ungarico stanno rientrando a Vienna. Un mondo sta crollando, quello dei Grandi Imperi Europei, del positivismo, dell’economia stabile, dei funzionari asburgici che si identificano completamente con lo Stato che li tutela, dei piccoli nobili, dei viveurs, dei salotti e delle serate all’opera, delle signorine che si recano al lavoro sognando balli e incontri galanti con ufficiali in guanti bianchi.
Ritengo che sia arrivato il momento giusto. (…) Cominciano col sangue, le rivoluzioni, e finiscono con un diluvio universale di carta. (…) Il diluvio di moneta nuova manderà in briciole i vecchi patrimoni, distruggerà i diritti di proprietà (…) la guerra è finita solo in apparenza, da noi comincia adesso. Sarà una guerra spietata, un guerra di tutti contro tutti, e io, per quanto mi riguarda, ho intenzione di vincerla.
dice uno speculatore al protagonista, il giovane Georg Vittorin, invitandolo ad unirsi a lui. Ma Georg, reduce e prima prigioniero sul fronte russo, non può accettare. Non può tornare a fare l’impiegato contabile come prima della guerra, non può promettere nulla a Franzi, la sua ragazza, non può aiutare economicamente la famiglia, né prendersi cura del padre, funzionario statale incapace di adattarsi ai nuovi tempi, e nemmeno impedire a Lola, la sorella più vecchia, di sacrificarsi sposando un anziano Buon Partito che non ama.
Georg parte ancora, percorrerà mezza Europa – dalla Russia frantumata in mille fronti di combattimento, a Costantinopoli, a Milano, a Barcellona, a Parigi – per inseguire un sogno coltivato insieme ad altri prigionieri: vendicarsi del comandante del campo di prigionia Selijukov, della sua indifferenza, dei suoi modi scostanti, della sua eleganza studiata e insultante. I compagni, tornati civili, hanno dimenticato, o almeno sono venuti a patti con i ricordi, li considerano ormai normale amministrazione di guerra, Georg no, perché è stato offeso nel profondo, non è stato riconosciuto suo pari dal nobile russo. Questo inconsapevole revanscismo lo sostiene, gli impedisce di farsi domande sul disastro che travolge l’Europa, lo trascina, lo rende indifferente alle sofferenze che si lascia alle spalle, alla morte che semina avventatamente fra chi gli presta credito e aiuto, gli consente di spacciarsi per ciò che non è (anticomunista, bolscevico, menscevico, musicista, scaricatore di porto, amante innamorato) e dimenticare che non è più nulla.Lo spettro inseguito da Georg e quelli che travolgono l’Europa si confondono, quando Georg, ignaro simbolo – oltre che testimone – del disfacimento, del crollo di vecchi, logori valori non ancora sostituiti da altri più adeguati, tornerà a casa dopo due anni di inseguimento e follia, se ne scrollerà di dosso anche il ricordo. E, come quasi tutti quelli rimasti a casa, non avrà capito.
Leo Perutz, Tempo di spettri, Adelphi 1998 (Ed. or. 1928), pp. 241, € 8,00, trad. Rosella Carpinella Guarneri
Idem in Biblioteca Adelphi, € 16,00
Idem in e-book, € 3,99
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