Lo leggereste voi un seguito (sia pure autorizzato dagli amministratori dell’eredità letteraria di H.G.Wells) de La macchina del tempo?
Io sì, anche se detesto i seguiti scritti da altri (e diffido persino di quelli firmati dall’autore). A maggior ragione in casi come questo, perché il romanzo di Wells è un unicum irripetibile, frutto di una visione del mondo adesso improponibile, di un intreccio inestricabile di positivismo, moralismo, concezione lineare della storia e inconsapevole snobismo. Quindi ho portato a casa il tomo di Baxter, che almeno in spessore supera ampiamente il modello, a denti stretti preparandomi a soffrire.
Mi sbagliavo. Baxter è riuscito, miracolosamente, a continuare le avventure del Viaggiatore del Tempo senza tradire l’ispirazione narrativa e sociale di Wells e senza soffocare la propria capacità di raccontare una storia originale.
Il nuovo romanzo inizia dove termina quello di Wells, con il Viaggiatore al sicuro nella sua casa di Richmond, anno 1891, ma deciso a tornare nel futuro per salvare Weena, la gentile Eloi rapita dai Morlocks. Scienziato empirico, portato più all’azione che alla riflessione teorica, il personaggio non immagina che il suo primo viaggio ha già cambiato il futuro: nel secondo incontrerà Morlocks civili e razionali, capaci – oltre che di prodigi tecnologici come la costruzione di una sfera di Dyson intorno al sole – anche di sottili disquisizioni filosofiche, come gli dimostra Nebogipfel, il Morlock suo compagno d’avventure. I due continuano a rimbalzare nel tempo, cercando disperatamente di ricomporre i futuri molteplici che le mosse avventate del viaggiatore hanno originato. Visiteranno: nel 1873 una versione più giovane e impulsiva del Viaggiatore; gli inglesi del 1938, che combattono da anni, proprio con la macchina del tempo, una prima guerra mondiale senza fine contro i tedeschi, aiutati da un Gödel disilluso e toccante; una Gran Bretagna paleocenica, dove un pugno di naufraghi temporali fonderà una colonia anticipando di cinquanta milioni di anni la comparsa dell’umanità; gli eredi della nostra specie, macchine senzienti che esistono per conoscere e intendono risalire all’origine del tempo…
Le complesse avventure del protagonista seguono la via tracciata da Wells, ma lo scenario si dilata all’infinito, persino oltre l’inizio del continuum spazio-temporale. Le riflessioni del viaggiatore, i suoi dialoghi con Nebogipfel, una sorta di fragile signor Spock in pelliccia da morlock, sono al tempo stesso coerenti con il personaggio di Wells e guidate da una sensibilità moderna che. come direbbe Martin Amis, sa di vivere in un universo einsteiniano, e ne percepisce l’Indeterminatezza e la Molteplicità.
Il libro di Baxter è un atto d’amore verso la parabola letteraria di Wells, che offre al vecchio testo una nuova vitalità e l’occasione per realizzare ciò che era soltanto potenziale: un nuovo equilibrio e una saggezza ispirata dalla tolleranza, dall’ammissione dei propri limiti:
come sempre ero nulla più che un uomo, immerso del tutto nelle piccole preoccupazioni umane, dedito esclusivamente ai miei progetti.
Un bel libro d’intrattenimento, cui ci si abbandona senza fatica, chiudendolo ogni tanto per il piacere di controllare, dallo spessore delle pagine già lette, il cammino percorso. Vi terrà compagnia anche dopo, discreto e a suo modo irresistibile, come sanno esserlo i veri libri.
Stephen Baxter, L’incognita tempo, Nord 1997 Ed. orig. 1995 pp.386, trad. Alessandro Zabini
Stephen Baxter, Il Secondo viaggio (L’incognita tempo), Nord 2002, pp. 386, trad. Alessandro Zabini
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