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    Interzona · TerraNova

    Dance Macabre di Stephen King

    • di Silvia Treves
    • Settembre 25, 2015 a 1:25 pm

    danse-macabre frassinelli
    La prima edizione integrale di questo libro uscì in Italia da Frassinelli con 19 anni di ritardo: «Storia di horror intesa sia come letteratura sia come divertissement, parte integrante della letteratura del ventesimo secolo» che si occupa anche dei film e delle produzioni televisive dedicate all’horror, perché è il cinema che dona «emozioni viscerali» a quelli che per stile e struttura restano soprattutto romanzi di idee. Theoria aveva già pubblicato nel 1985 il terzo e il decimo capitolo, in una versione che, nonostante le intenzioni lodevoli, mortificava il testo dei suoi maggiori motivi di interesse: ovvero il nono capitolo, dedicato agli autori di horror contemporanei; il lungo discorso, più volte ripreso, sul cinema di genere, e i continui, piacevoli riferimenti di King alle sue esperienze dirette, dai primi incontri infantili con l’horror cinematografico (alieni venuti dallo spazio, mutanti nati da esperimenti incauti o prodotti dalle radiazioni nucleari), alle prime letture, ai serial TV.
    C’è in King un piacere di raccontare, e di raccontarsi, che non è fine a se stesso, ma è piuttosto un modo accattivante di argomentare le proprie opinioni, di prendere posizione. Dance macabre è contemporaneamente l’analisi delle radici ottocentesche del romanzo gotico e delle sue diramazioni nel Novecento, la dichiarazione di intenti di un autore e la spiegazione del suo modo di lavorare, il racconto gradevole di un’infanzia trascorsa in compagnia di mostri e creature venute dall’alto spazio, il ricordo lucido di una giovinezza vissuta in tempi difficili per l’America. Un buon cambiamento, rispetto ad altri saggi, spesso documentati e interessanti ma più accademici e distaccati, meno appassionati e meno ironici.
    Il punto di forza del testo di King è l’intreccio tra la letteratura di genere e la sua traduzione in immagine e viceversa, alla ricerca degli echi e novità, di fedeltà e tradimenti, dei limiti e dei pregi dei due mezzi. Il cinema, la forma più importante di arte popolare del ‘900, ha trasformato i vecchi archetipi – Frankenstein, il Vampiro, il Licantropo e il Fantasma – attualizzandoli, avvicinandoli a noi, piegandoli ad esprimere malesseri e paure molto diversi da quelle di un tempo. Chi riuscirebbe, ormai, a separare il mostro di Frankenstein dolente e astuto impersonato da Boris Karloff dal paraletterato orfano del suo creatore di Mary Shelley? E chi – lettore / spettatore – non ha provato insieme sollievo e dolore per la sua morte?

    Non sarebbe esatto dire che ci disperiamo quando il mostro di Frankenstein muore […] ma forse siamo almeno disgustati dal nostro stesso sollievo.

    Ben consapevole della potenza anche perversa del mezzo cinematografico, King scrive una convincente difesa del cosiddetto B-movie:

    Credo che il valore artistico offerto più frequentemente dal film horror sia l’abilità di instaurare una relazione tra le nostre paure immaginate e quelle reali.

    frankenstein meets

    Spesso questo miracolo non riesce, producendo pasticci esilaranti (il film veramente brutto), oppure pellicole semplicemente noiose. Ma, quando si compie, assolve il compito immane di «Fornire dei significati […] spesso comprensibili a tutti», di dare una forma tangibile alle nostre paure socio-politiche, personali, universali. I film di genere, anche i B-movies, possono essere specchi dei nostri terrori, sonde per esplorare i tabù e i desideri, le aree di disagio pubbliche e private. L’artista, in questi felici casi, non è mai consapevole del suo intento: Don Siegel con L’invasione degli ultracorpi non voleva fare un film sul comunismo o sul maccartismo, né Finney voleva scrivere un pamphlet. Eppure il romanzo e il film sono lì, simili eppure diversi, specchi oscuri che ci sfidano ad attraversarli, a guardare oltre.

    Il genere horror è estremamente flessibile […] estremamente utile; l’autore e il regista possono usarlo come piede di porco per scardinare porte chiuse o come un piccolo grimaldello per aprire le serrature.

    Ma perché leggere horror, perché vedere film di genere, perché fingere di “credere”? Per dimostrarci che possiamo resistere:

    Quando paghiamo quattro o cinque dollari e ci sediamo al centro della decima fila di un cinema che proietta un film horror decidiamo di sfidare l’incubo.

    Ma anche per

    Ristabilire le nostre idee su ciò che è normalità: il film horror è conservatore per sua natura, persino reazionario.

    pennwise-it-stephen-king

    Per divertirci. Ma anche per assaggiare la morte senza rischi, per imparare a convivere con il suo pensiero: «I film dell’orrore non sono sofisticati, è per questo che ci permettono di riguadagnare la nostra prospettiva infantile sulla morte». Non è innocente, quella prospettiva, ed è più ampia, più profonda, perché i bambini sono meno rigidi e più possibilisti; noi, gli adulti, siamo già entrati nel tunnel, guardiamo solo in avanti, pretendiamo di rendere tutto lineare, spiegabile, controllabile. Il bambino sa che il mondo è mistero, paura, irrazionalità.

    Il lavoro dello scrittore del fantastico, o dello scrittore dell’orrore, è di allargare temporaneamente le pareti di quella visione a tunnel, di fornire quel terzo occhio [quello dell’immaginazione] di una singola, potente lente. Il lavoro dello scrittore del fantastico e dell’orrore è di farti tornare temporaneamente bambino.

    Convincerci che esiste il Male per aiutarci a comprendere i mali e il dolore che ci circondano e sono dentro di noi. Un buon romanzo o un film horror riuscito ci restituiscono l’incubo senza mediazioni razionali. E soltanto finché l’incubo è vivo e vicino certi errori sono tangibili, comprensibili, e forse evitabili in futuro. Ecco perché ciò che troppo spesso i critici chiamano “grossolano”, l’emozione forte, lo schifo, il raccapriccio, il frisson funzionano: sangue, membra sparse, viscere – quando non fini a se stesse – ci impediscono di restarcene fuori, ci ricordano «la nostra comune umanità». Ci impauriscono e ci fanno piangere sulla sorte del mostro, ci fanno rabbrividire di paura e di piacere nell’attesa del vampiro… Ci fanno sentire, nelle viscere, nelle vene, che il reale è molto più, molto meno, molto diverso da ciò che pensiamo.

    Stephen King, Danse Macabre, Sperling & Kupfer, 2006, ed. orig. 1981, pp. 478, € 11,90, trad. E. Nesi

    Idem e-book, € 6,99

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