Seguire la vicenda di Drowned World, uno dei capolavori di James Ballard non è un esercizio agevole.
L’edizione originale è del 1962, con Urania che lo pubblica in italiano l’anno successivo, nel 1963 col titolo Deserto d’acqua. La traduzione è di Stefano Torossi che è anche il traduttore della ristampa sempre negli Urania avvenuta nel 1974. Seguono un altro paio di edizioni in Mondadori, dopo di ché è la volta dell’editore TEA che nel 1989 lo ristampa sempre nella traduzione di di Stefano Torossi con il medesimo titolo. Baldini & Castoldi lo ripubblica nel 1998 nella traduzione di Stefano Massaron ribattezzandolo Il Mondo sommerso. Nel 2005 è infine venuta l’edizione negli Universali Economici Feltrinelli dove il titolo è rimasto Il Mondo sommerso. The Drowned World fa parte della tetralogia catastrofica di Ballard, formata da (cito i titoli italiani): Vento dal nulla, La foresta di cristallo e La Terra bruciata.
Esiste una tradizione catastrofica nella sf britannica, una ricca galleria di autori e di romanzi degli anni ’60 e ’70, nei quali la terra in generale e l’umanità in particolare fanno una brutta fine (Christopher Priest, John Wyndham, John Christopher, John Brunner), anche se nessuno ha mai uguagliato l’allucinante raffinatezza di James Ballard, che non si è limitato a descrivere gli effetti geografici, sociali e politici dei suoi cataclismi, ma ne ha fatto l’occasione per speculare sulle modificazioni psicologiche profonde indotte dalla fine della civiltà. Il risultato sono altrettanti Robinson Crusoe rovesciati, ovvero individui sconfitti e imbarbariti che non sono in grado e neppure desiderano ricostruire il nostro bel mondo civile.
The Drowned World (il titolo appiccicatogli da Mondadori, – Deserto d’acqua – era sì arbitrario ma indiscutibilmente più suggestivo) è un’opera esemplare, da questo punto di vista. Robert Kerans, il protagonista, fa parte di una missione scientifica inviata da ciò che resta del mondo civilizzato, assediato nelle terre polari, nel tratto di mare una volta noto come Londra.
Alle prime luci del giorno una strana, mesta, bellezza era come sospesa sopra la laguna; le fronde verde cupo delle gimnosperme, residui del passato triassico, e i bianchi edifici semisommersi del ventesimo secolo si riflettevano insieme nello specchio nero dell’acqua della laguna.
Siamo a pagina 10 e già sono annunciati gran parte delle suggestioni e dei temi del romanzo. Kerans, ospite dei piani superiori – gli unici tuttora emersi – del Grand Hotel Ritz di Londra, vivrà fino in fondo la propria regressione, imposta da una vegetazione e da una fauna ritornate protoumane, si spoglierà gradatamente delle proprie abitudini civili per percorrere in solitudine il viaggio alla ricerca della propria identità definitiva, prima ancora biologica che culturale, viaggio necessariamente destinato al fallimento.
Ossessivo e profondamente inquietante, The Drowned World a distanza di diversi anni, non ha perso nulla della sua enorme suggestione e della sua tangibile attualità. Anzi, le reazioni estreme, l’ansia distruttiva e autodistruttiva dei suoi personaggi assumono contorni anche più nitidi e intensi in tempi di pulizia etnica e di degrado delle metropoli.
James Ballard, Il mondo sommerso
Feltrinelli Universale Economica, 2005, 2015, pp. 208, € 8,50, trad. Stefano Massaron
Idem, e-book, € 6,99
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