Lo si può solo definire un romanzo inquietante, da leggere, da meditare; il fatto che sia un’opera prima non deve creare diffidenze.
Il seminatore è la storia di Lubo, uno zingaro naturalizzato svizzero che prova sulla propria pelle la grande democrazia elvetica: la moglie viene uccisa dalla polizia e i due figli sequestrati in ottemperanza alle norme eugenetiche di eliminazione del nomadismo. Il romanzo è costruito su una ricerca storica, come ci spiega l’autore nella postfazione. Nella Svizzera prebellica esisteva, sin dal 1926 (e fino al 1967 ha avuto finanziamenti federali) un’organizzazione chiamata Kinder der Landstrasse (Bambini della strada), istituita dalla fondazione Pro-Juventute, della quale l’autore ha avuto notizia nell’ottobre 1999 da un articolo di «Le Monde Diplomatique». Questa «Opera di soccorso», come veniva definita, si prefiggeva di combattere il nomadismo in territorio svizzero, partendo dal concetto che «Chiunque voglia combattere efficacemente il nomadismo deve mirare a far saltare la comunità dei girovaghi e porre fine, per quanto ciò possa apparire duro, alla comunità familiare. Non esistono altre soluzioni», come scriveva Albert Siegfried, il direttore e fondatore.
In pratica la Kinder der Landstrasse ricorreva a una legge ancora vigente secondo la quale, in caso di indegnità dei genitori, un giudice può nominare un tutore e allontanare i bambini dalla famiglia. la Pro Juventute segnalava come indegne le famiglie zingare e i bambini venivano legalmente prelevati e messi sotto tutela; era poi assolutamente irrilevante che Siegfried fosse il tutore di oltre trecento bambini zingari anche se, due anni prima di diventare direttore dell’Opera di soccorso, era stato arrestato e condannato per pedofilia perché sorpreso ad abusare di un suo allievo nella scuola in cui insegnava.
Molto correttamente l’autore riconduce queste vicende alla diffusione delle dottrine eugenetiche applicate alla razza umana, disciplina scientifica concepita nei primi anni del Novecento, presentandoci anche in excursus le conseguenze che questa teoria ebbe in varie parti del mondo, compresi i «civilissimi» paesi scandinavi.
Il fatto che le autorità confederali svizzere abbiano avuto il coraggio di affrontare lo scandalo, abbiano versato risarcimenti alle vittime e, nel 2000, abbiano pubblicato una relazione curata da tre storici dell’università di Zurigo nella quale risulta (la fonte sono gli archivi della Pro Juventute) che quasi seicento bambini furono prelevati dalle famiglie, non ha scalfito minimamente la retorica con cui ancora oggi si parla della Confederazione Elvetica durante il periodo del nazifascismo. Forse qualcuno vuole tacitare al propria coscienza?
(Laura Cavagnero)
Una versione più ampia e completa di questa recensione sul numero 31 di LN-LibriNuovi in uscita a settembre 2004.