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    TerraNova

    L’autore che non è King. E nemmeno Bradbury

    • di Silvia Treves
    • Gennaio 4, 2012 a 8:47 pm

    di Silvia Treves

    L’estate del coprifuoco (titolo un po’ anonimo, che tradisce l’originale The monster variations) rievoca l’estate speciale e pericolosa trascorsa dai dodicenni Reggie, James e Willie in una cittadina di provincia americana, minacciata da un pirata della strada alla guida di un furgone scuro. La prima vittima del pirata è Willie che, investito e non soccorso, perde un braccio ma sopravvive. La seconda è un ragazzino infilato nel romanzo giusto per morire. Gli atterriti genitori della comunità impongono alle autorità di dichiarare il coprifuoco, rovinando così la tanto sospirata estate ai loro figli che, passato il primo spavento, cercano in ogni modo di trasgredire.

    Come il dio delle storie comanda, i tre ragazzi sono molto diversi e si completano a vicenda: James – quello che rievoca la vicenda a distanza di sei o sette anni – è il più colto, riflessivo e osservatore, ma anche quello che si tormenta di più; Reggie è una testa calda che rischia spesso di prendere l’iniziativa sbagliata ma che alla fine si rivelerà giusto di testa e, forse quello dotato di maggiori risorse interiori; Willie, amatissimo e coccolato dai genitori, è il classico bambino un po’ frignone, di costituzione delicata, il compagno di classe magro con gli occhiali, schiappa negli sport e diligente. Quello che, ahimé, ha la sfiga stampata in faccia e che, quando amici avranno scoperto davvero le ragazze, prima si chiederà perché non giocano più insieme a lui poi si struggerà non corrisposto per quella tipa carina che a sua volta si strugge per il bello della scuola che non se la fila. Una sorte un po’ triste, che il regista, pardon l’autore si è riproposto di evitargli…

    La vicenda si snoda con vari colpi di scena e la minaccia del pirata della strada/assassino di bambini; oltre ai rapporti fra i tre protagonisti, anche la vita delle loro famiglie: la madre giovanissima e single di Reggie, che mantiene se stesa e il figlio facendo la cameriera e cerca con patetica ostinazione un’altra occasione di felicità; i genitori piccolo-borghesi di Willie, affettuosi ma intrinsecamente tristi e iperprotettivi asserragliati in interni soffocanti e i ricchi genitori di James, non troppo ben assortiti e poco legati fra loro, ansiosa, insicura e inetta lei, superimpegnato e ultraconvinto delle proprie idee lui. Poi ci sono due personaggi secondari importanti che, in realtà, occupano la medesima nicchia narrativa, quella dell’outsider; Uno dei due, l’aggressivo e forzuto Mel, è però un artista geniale e ha decisamente più appeal, mentre Tom, possessore di un «mostro» morto che propone a tutti in visione, è un poveretto spiaggiato a metà della storia che l’autore forse ha inserito come portatore di una metafora di incerto significato. Il personaggio migliore (anche se non certo originale) è la vecchia signorina Bosch, un po’ tocca e un po’ cinica che osserva molto e dice parecchio in poche parole. Probabilmente l’autore l’ha messa lì per fare piacere a noi scettici intellettuali.
    L’inizio è discreto e la prima parte scritta con attenzione e buon occhio per il comportamento dei preadolescenti; i ragazzi vi fanno scoperte significative ma assolutamente normali e reali su se stessi e i compagni di scuola e di gioco, hanno conflitti di vario genere con gli adulti e insomma vivono le esperienze di tanti loro coetanei; provenendo dal cinema, Kraus imprime alla narrazione una scansione filmica con rapidi cambi di scena e luci puntate ora su questo ora su quel personaggio. Poi, mano a mano che procede, la vicenda – che si era presentata come una sorta di thriller con qualche atmosfera nera e dichiarate ambizioni di diventare un romanzo di formazione – si ingarbuglia e perde consistenza fino a giungere al solito crocevia narrativo in cui l’autore deve decidere che cosa fare: svelare l’identità del pirata assassino (thriller), evocare il vero mostro (horror), rivelare che nella vita i veri mostri non stanno fuori di noi (romanzo di formazione), far vincere il mostro (favola condita di humour nero)… Purtroppo Kraus non riesce a scegliere, con il risultato di affastellare episodi e giungere a un finale insoddisfacente e poco credibile.

    In rete ho trovato alcune recensioni americane positive, talora entusiastiche. Uno dei recensori paragona L’estate del coprifuocoa Dandelion Wine di Bradbury, un’opera con cui mi pare spartire solo il tema dell’estate e il lento preannuncio dell’inevitabile trapasso dall’infanzia all’età adulta. Il romanzo di Kraus, però, non ricorda nemmeno alla lontana le atmosfere stregate di Bradbury, fatte per metà di delicato, preveggente e straniato rimpianto, per un quarto di autentica inquietudine e per un quarto di humour nero. Lo stesso lettore paragona L’estate del coprofuocoanche a Il corpodi S. King (dal quale è stato tratto il film Standby me); i due romanzi hanno effettivamente diversi spunti comuni: la perdita dell’innocenza, l’avvio all’età adulta, la violenza adolescenziale, l’indifferenza e l’inadeguatezza degli adulti (temi trattati in molti altri romanzi); Kraus, però, non è King e in questo esordio non mostra di possederne né il talento né il grande mestiere. Per rendere il romanzo non dico indimenticabile, ma almeno meritevole di essere ricordato, Kraus avrebbe dovuto osare di più, essere visionario per restituirci l’essenza del reale, lasciare più libertà a se stesso e ai suoi personaggi. L’estate del coprifuocoè soltanto un tentativo mezzo riuscito.

    Quindi, invece di dare a Kraus una seconda possibilità (ha pubblicato da poco Rotters, il suo secondo romanzo) sceglierò di leggere  qualcosa dei suoi ipotetici maestri: L’ultimo romanzo di King (11/22/63), forse, o qualcosa di Bradbury che non abbia ancora letto. Spero bene che sia rimasto qualcosa.

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