Fu il primo genocidio del XX secolo. Nel biennio 1915-1916 il governo ottomano, dominato dal partito dei Giovani Turchi, approfittò del conflitto mondiale per pianificare lo sterminio di 1.800.000 armeni residenti entro i confini nazionali. I due terzi di quel popolo furono uccisi: fucilati, impiccati, bruciati vivi, gettati in precipizi, affogati, lasciati morire di stenti e di malattie nel corso di una deportazione che non aveva nessuna meta finale, ma era solo uno strumento per camuffare il massacro. Dei superstiti, 100.000 tra donne e bambini furono rapiti, venduti come schiavi, convertiti a forza e incorporati in famiglie turche. Tutto ciò nella pressoché totale indifferenza delle potenze occidentali. Alla base di questo orrore non vi erano motivi religiosi o economici, bensì un’ideologia nazionalista che si proponeva l’eliminazione di minoranze scomode come quella armena, posta al crocevia fra tre imperi (ottomano, russo, persiano) in perpetua frizione. Riuscì così bene quella prima prova generale di genocidio da confermare più tardi Hitler nella convinzione che si potesse, senza conseguenze, ripetere l’esperienza con ebrei, zingari, slavi, polacchi:
Il 22 agosto 1939, alla vigilia dell’invasione della Polonia, davanti ai vertici militari del Terzo Reich riuniti all’Obersalzberg, Adolf Hitler, per giustificare in anticipo i suoi crimini, avrebbe dichiarato: «Insomma, chi parla ancora, oggi, dello sterminio degli armeni?
Questo saggio di Ternon costituisce un documento definitivo sulle responsabilità della Turchia nello sterminio degli armeni: eppure, tutti i governi turchi finora alternatisi al potere hanno rifiutato di farsi carico di quel massacro, affermando che esso non fu pianificato ma fu conseguenza di una rivolta o di un complotto (inesistenti) del popolo armeno. Spiace constatare che famosi studiosi del Medio Oriente come Bernard Lewis abbiano avallato tale versione dei fatti. Ciò che mi ha più colpito durante la lettura è stato scoprire che, come fecero i nazisti con gli ebrei durante la seconda guerra mondiale, anche i turchi privilegiarono i trasporti su treno dei deportati armeni rispetto al trasporto delle truppe al fronte, rischiando di compromettere l’esito della guerra. Già allora al fanatico sterminio di un popolo venivano inspiegabilmente subordinati perfino gli interessi vitali della nazione. E come non pensare alla Gestapo, quando Ternon menziona l’esistenza dell’Organizzazione Speciale, un organismo statale parallelo finalizzato all’esecuzione dello sterminio? Si ricava dal libro la sgradevole sensazione, alla luce dei successivi massacri in Libano, Ruanda, Jugoslavia, che in un secolo nulla sia veramente cambiato, che l’odio per il diverso covi sempre in un angolo oscuro della mente di ognuno, pronto a colpire ancora una volta.
Se sotto il profilo scientifico il libro di Ternon costituisce un impeccabile punto di riferimento per gli studiosi della storia moderna, da un punto di vista divulgativo il libro è appena sufficiente, essendo appesantito da una mole di dati che nel suo complesso nuoce alla scorrevolezza del testo (e il prezzo certo non invoglia all’acquisto). Peccato, perché avrebbe potuto essere l’occasione per avvicinare il grande pubblico a eventi spesso citati ma poco conosciuti.
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Yves Ternon, Gli Armeni. 1915-1916: il genocidio dimenticato.
Rizzoli, 2003, pp. 428, € 20,00
idem Rizzoli BUR, € 10,40
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