Riprendiamo due articoli, a suo tempo usciti su LN 30 e LN 37, dedicati ad alcuni libri – due dei quali firmati da Anna Politkovskaja, la giornalista uccisa dal regime neozarista russo. Ovviamente alcuni dei riferimenti risultano al momento datati: Berlusconi in questo momento non solo non governa ma non può nemmeno uscire dai confini nazionali, Ma li riteniamo comunque utili a cominciare a crearsi un parere personale su Vladimir Putin e sui suoi più vicini collaboratori. I due articoli furono firmati il primo da Obelix e il secondo da Giulio Artusi.
Cecenia: dieci anni fa contava un milione di abitanti. Nel frattempo, 200.000 di essi sono morti, e altri 300.000 hanno abbandonato le proprie case rifugiandosi nei campi profughi in Inguscezia o altrove. Una catastrofe, per un popolo che pure in passato, sotto gli zar e il regime stalinista, aveva già subito massacri e deportazioni. Un disastro umanitario che ha un responsabile: il suo nome è Putin. Questo ex-funzionario del KGB ha costruito la propria ascesa al potere e raccolto un vasto consenso popolare sulla pelle di un popolo che ha perso ormai ogni speranza di recuperare una vita sociale normale. All’agonia di questa terra è dedicato il libro del Comitato Cecenia,
composto da giornalisti, operatori umanitari, medici, funzionari di organizzazioni internazionali e studiosi di questioni caucasiche. Le loro testimonianze derivano molto spesso da missioni non autorizzate e sopralluoghi clandestini in Inguscezia e Cecenia. […] Perché, caso unico nel suo genere, la Cecenia è vietata agli stranieri: organizzazioni umanitarie, giornalisti e osservatori internazionali sono banditi. Questo divieto non suscita alcuna seria protesta ed è avallato dalla comunità internazionale.
Il libro, dopo aver brevemente descritto gli eventi che hanno condotto la Russia a scatenare due successive guerre contro una piccola marca periferica del proprio impero, analizza la situazione dei profughi, il variegato schieramento della resistenza, le cause di un conflitto così spietato, le modalità con cui Mosca organizza il silenzio e la disinformazione e quale sia l’impatto della guerra sulle società cecena e russa. Un buon libro, che però non riesce a dare un’idea precisa delle ragioni che hanno condotto a una simile tragedia, e non sa coinvolgere emotivamente il lettore.
Due obiettivi che invece mi sembrano pienamente raggiunti dal libro di Anna Politkovskaia, corrispondente della «Novaia Gazeta», l’unica giornalista che sia riuscita a lavorare direttamente in Cecenia (e non raccogliendo i comunicati stampa militari nel quartier generale russo a Khankala). In decine di missioni in cui ha rischiato più volte la vita, la Politkovskaia ha raccolto un’enorme mole di testimonianze tra la popolazione cecena e i militari russi occupanti. Dal suo eccezionale lavoro di reporter emerge l’immagine di un Paese devastato nelle case e nelle coscienze, in cui si sta scavando un fossato d’odio che difficilmente in futuro si potrà colmare. Pochi sanno che in Cecenia i civili rapiti dai militari russi sono migliaia, e che molti di essi non sono più tornati a casa: le famiglie devono pagare un riscatto per rivederli vivi, o almeno per recuperarne il cadavere. Migliaia di civili inermi sono stati torturati, e un numero imprecisato di donne sono state violentate dai militari (poche le denunce, essendo la vergogna dello stupro peggiore della morte per le cecene). Secondo l’autrice, la guerra civile in Cecenia costituisce un grave rischio non solo per la sopravvivenza della popolazione locale, ma anche per la fragile democrazia russa. Infatti la ferocia con cui i russi saccheggiano e massacrano villaggi inermi e la corruzione con cui gestiscono l’occupazione sono il segno di una drammatica degenerazione morale dell’establishment civile e militare russo, mentre la propaganda di Putin sta facendo crescere a livelli preoccupanti la xenofobia dei russi nei confronti dei popoli caucasici. Quanto alle cause del conflitto, esse non risiedono certo nel fondamentalismo islamico (non si sono mai trovati ceceni tra i membri di Al Qaeda), né nel controllo dell’estrazione e del traffico di petrolio (quello ceceno non rappresenta più dell’1% della produzione russa di idrocarburi, e gli oleodotti ormai passano da altre parti): in realtà la guerra cecena è l’instrumentum regni di cui Putin si serve per gestire il consenso dell’opinione pubblica russa, usando il rigurgito di orgoglio nazionale e la paura del terrorismo per distrarre il Paese dai gravi problemi economici e politici che lo assillano. Il risultato è un ritorno della Russia a un regime autoritario di stile neosovietico, favorito dall’imbavagliamento dei mezzi di comunicazione di massa e dall’imbarbarimento delle forze di polizia e dell’esercito. «Una persona su due uccisa in Cecenia è un civile abbattuto in condizioni di giustizia sommaria. Questo significa che migliaia di militari che hanno servito in Cecenia sono dei boia sistematici». Un gran libro, scritto da una giornalista di razza. Da far leggere a Berlusconi, che riesce a trovare comunisti dappertutto, ma sente il dovere di garantire, chissà perché, per la correttezza dell’amico Putin. Ma se gli altri capi di governo occidentali sono più prudenti del nostro nel difendere l’operato di Putin, di fatto non hanno finora compiuto alcun tentativo di imporgli una soluzione pacifica del conflitto. L’11 settembre 2001 ha anzi consentito a Putin di spacciare la sua guerra civile per una lotta contro il terrorismo islamico: probabilmente, a parte Bush e Berlusconi, non ci ha creduto nessuno, ma è stato un comodo alibi per non entrare in contrasto con una nazione che non sarà più una superpotenza, ma è sempre un mercato dalle grandi potenzialità. Insomma, ancora una volta, l’Europa rischia di compromettere la propria credibilità politica e morale: nessuno, infatti, in seno alla UE, ci ha ancora spiegato perché i ceceni meritino una considerazione diversa dai kosovari. Eppure la storia dovrebbe insegnare qualcosa: in Afghanistan la disgregazione del tessuto sociale operata dai russi (quasi un milione di persone massacrate, un popolo ridotto all’analfabetismo) ha portato alla nascita dei talebani. Che cosa sarà del Caucaso tra dieci anni?
Comitato Cecenia, Cecenia. Nella morsa dell’impero.
Guerini e Associati 2003, pp. 174, € 12,50, trad. Francesca Varchetta
Anna Politkovskaia, Cecenia. Il disonore russo.
Fandango Libri 2003, pp. 192, € 15,00, trad. Agnès Nobécourt e Alberto Bracci T.
Chi è Vladimir Putin? Un ex ufficiale del KGB, questo lo sanno più o meno in molti. Un uomo magro, molto controllato ed estremamente parco di sorrisi. Grande amico di Silvio Berlusconi che, almeno nel suo caso, sembra completamente dimenticare il passato da guardiano dell’ortodossia sovietica del suo interlocutore. D’altro canto gli unici «comunisti» che spaventano davvero il nostro benamato Conducator hanno lunghe toghe nere, come tutti sanno. Ciò che in molti ignorano è che il rapporto di Vladimir Putin con la magistratura indipendente russa non è certo migliore di quella del nostro premier. Non tanto per motivi personali quanto perché, una volta liberatosi dell’ormai pletorica opposizione politica liberale e post comunista – e anche questo dovrebbe far risuonare qualche eco nelle nostre menti – e ottenuta la quasi totale acquiescenza dei mezzi di comunicazione di massa ha come unico ostacolo al blocco di potere militare-industriale che lo esprime un pugno di giudici indipendenti e qualche funzionario dello stato ancora non completamente asservito al potere. La Russia di Putin è un libro finora pubblicato in Gran Bretagna e in Italia. L’edizione italiana «è stata condotta sul più ampio e inedito originale russo». È un libro che non riceve alcuna attenzione dai media e stenta a trovare editori in Europa e in America. «Questo libro parla di un argomento che non è molto in voga in Occidente: parla di Putin senza toni ammirati», avverte l’autrice nelle prime due righe del suo testo. Anna Politkovskaja, autrice di Cecenia: il disonore russo, è un buon esempio di quale dovrebbe essere la funzione di un giornalismo attivo e attento alla difesa dei diritti civili. Politkovskaja insegue testimoni, studia documenti, ottiene confidenze e costruisce articoli ricchissimi di informazioni di prima mano e, nello stesso tempo, agili e appassionanti. Il libro si apre con il racconto del caso Budanov, colonnello pluridecorato riconosciuto colpevole di rapimento e assassinio della giovane cecena El’za Kungaeva, un verdetto di colpevolezza faticosamente maturato nonostante le pressioni e le manovre del potere politico. A chiuderlo il racconto della strage di Beslan e di quali e quante siano le responsabilità del governo russo nella gestione criminale della crisi fino al massacro finale, un massacro permesso e voluto.
Tutto quello che sentiamo […] è «al-Qaeda», «al-Qaeda»… un maledetto mantra per scrollarsi di dosso la responsabilità di nuovi fatti di sangue, una rozza cantilena con cui cullare la coscienza di una società che altro non vuole che essere cullata.
In apparenza un libro di interesse limitato a coloro che si interessano della situazione nell’ex URSS, in realtà un libro prezioso anche e soprattutto per noi italiani, e che aiuta a comprendere quali sono i reali costi umani e civili della politica estera dell’amministrazione Berlusconi, fatta di pacche sulle spalle, reciproci favori e compiacenti silenzi
Anna Politkovskaja, La Russia di Putin
Adelphi 2005, pp. 293, € 18,00, trad. C. Zonghetti
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