Non mi era ancora capitato, lo confesso, di cimentarmi con la lettura critica finalizzata alla recensione di un testo di filosofia. Il fatto che il titolo accattivante faccia riferimento al mondo animale non ha affatto significato che le mie competenze specifiche (la zoologia) mi siano state di particolare aiuto nell’addentrarmi nella complessità e per cogliere tutte le sfumature del lungo ragionamento attorno alle profonde e nodali questioni affrontate in questo saggio. Per avendo gli animali non-umani come oggetto di discussione, il piano del dibattito proposto da Paola Cavalieri è quello dei diritti. E di fronte a questo piano mi sono dovuto porre come un lettore qualsiasi, non specializzato, a volte in difficoltà nel comprendere appieno il linguaggio e nel seguire il metodo di pensiero proprio di una disciplina che non mi è immediatamente familiare.
Ciò premesso, debbo dire che, affrontati con successo (spero) gli ostacoli a cui ho accennato, mi sono trovato a leggere un testo tra i più stimolanti ed istruttivi che mi siano capitati fra le mani negli ultimi tempi. Indipendentemente dal fatto che un dibattito serrato e approfondito sui diritti degli animali non-umani non può non suscitare nel lettore reazioni constrastanti, dubbi, idee, interrogativi non risolti, sospetti di paradossi, ecc., quello che colpisce in primo luogo è il rigore del percorso intellettuale che l’autrice compie nelle sue pagine. Al fine di entrare, per sommi capi s’intende, nel contenuto del saggio, penso che mi sarà consentito compiere un’operazione – forse un po’ arbitraria – di capovolgimento della sequenza dei temi trattati nel testo. È nelle ultime pagine, infatti, che si incontra una frase illuminante del pensiero dell’autrice e dello scopo stesso di questo suo lavoro: «È [infatti] evidente che, sulla base della dottrina stessa che li fonda, i diritti umani non sono umani [corsivo nel testo]» nel senso, vorrei chiarire, che non sono appannaggio dei soli esseri umani.
Non si tratta di un semplice enunciato provocatorio, di un sasso gettato nello stagno. Siamo piuttosto di fronte, io credo, al nucleo di pensiero dal quale procede il serrato lavoro di critica che l’autrice, nella prima parte del libro, conduce nei confronti del pensiero filosofico occidentale che, da Aristotele a Cartesio, da Kant ai behavioristi, ha affrontato a più riprese, dando risposte insoddisfacenti, i temi della collocazione degli animali non-umani rispetto al problema dei diritti.
Incidentalmente, ma non troppo, lo zoologo evoluzionista non può non ricordare a questo punto – e nel libro se ne fa effettivamente menzione – il significato “rivoluzionario” che l’evoluzionismo ha avuto nel colmare, una volta per tutte e su solide basi, quell’abisso, invalicabile e invalicato, che radicalmente ha separato per secoli umano e animale, spostando il gioco su un tavolo comune. Sostenere che vi sia maggiore distanza evolutiva tra un cane e un crostaceo che non tra un cane ed un essere umano provoca un evidente rimescolamento di carte. Ciò rende storicamente possibile e giustificato un passo fondamentale della critica di Paola Cavalieri: la critica dello specismo. Con tale parola si intende, almeno in questo contesto, la convinzione che il puro possesso del genoma umano faccia di un individuo, qualsiasi sia la sua effettiva realtà psicofisica, un soggetto di diritti incomparabilmente superiore a un qualsiasi essere non-umano (non dotato di tale genoma).
La critica dello specismo, come fondamento del più potente fra gli umanismi laici, porta lontano. Porta cioé a sostenere che, qualora si riducano al minimo indispensabile i requisiti chiesti a un essere vivente per accedere ai diritti “fondamentali” (vita, benessere) il novero degli aventi diritto si estende ad includere un certo numero di specie animali non-umane. La critica dello specismo conduce, in altre e forse più chiare parole, a sottolineare come una interpretazione perfezionistica delle caratteristiche che fanno di un essere un essere umano (quindi dotato dei diritti) escluda di fatto una parte di esseri umani reali (definiti non-paradigmatici), quelli cioè che possiedono, per varie cause, caratteri psichici e fisici “inferiori” alla norma (in termini di autocoscienza, autosufficienza, eccetera). Se al contrario utilizziamo un criterio più basilare, come il mero fatto di «… essere un essere intenzionale che si cura dei propri scopi e desidera conseguirli», allora la sfera degli esseri dotati di status morale pieno e quindi in grado di accedere ai diritti fondamentali si allarga ben oltre i confini della specie umana.
Data la complessità di queste argomentazioni, delle premesse e delle conseguenze che ne derivano, le poche parole che ho scritto non sono certamente sufficienti a rendere compiutamente la ricchezza delle problematiche affrontate nel testo. Il libro è, ripeto, molto ricco, molto stimolante e vale assolutamente la pena di leggerlo con attenzione. É forse più utile in questa sede, con lo scopo di offrire più spunti al dibattito, ricordare che molti problemi rimangono aperti e che altri, forse nuovi, emergono da una lettura del genere. Un esempio per tutti: dopo che si è infranta la barriera che separa “a priori” l’Homo sapiens da tutti gli altri animali, sorge rapidamente un ovvio interrogativo: a quali altre specie questi diritti debbono (possono?) essere estesi? Si potrebbe rispondere un po’ semplicisticamente, “a tutti”, ma si finirebbe per cozzare contro gravi problemi pratici e teorici (dire “tutti gli animali”, per esempio, presuppone una definizione non equivoca di animale che siamo ben lungi dal possedere). Se non si risponde “a tutti”, si deve dire a chi sì e a chi no e soprattutto si deve motivare una tale scelta. Questo rimette in moto la discussione, che nel libro sembrerebbe essere brillantemente superata, sui concetti di interesse alla vita, di consapevolezza, di coscienza e autocoscienza (per citarne alcuni). Non è un caso, forse, che proprio su questo argomento – e solo su questo – l’Autrice dia l’impressione di glissare e di cavarsela con l’inclusione un po’ salomonica nel novero dei salvati di «….probabilmente i vertebrati in genere».
Non credo, tuttavia, che questo scivolare sull’argomento sia un vero difetto del testo, né che ne riduca il valore complessivo; penso piuttosto che sia un segno di quanto ci sia ancora da discutere sull’argomento e soprattutto di quanto sia necessario farlo.
Paola Cavalieri, La Questione animale. Per un teoria allargata dei diritti umani
Bollati Boringhieri 1999, pp. 191
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