Noir di K.W. Jeter, è stato il numero 1 della defunta Solaria Fanucci. Ma non perdiamo tempo a rimpiangere e passiamo al testo. Jeter è un autore capace di tutto. Lo ricordo nei panni un po’ troppo larghi di un viceDick a scrivere i – brutti – sequel di Blade Runner, ma anche perfido e lancinante nel mondo del Dr Adder o, ancora, gentiluomo vittoriano in Le Macchine infernali. Si tratta di un autore versatile e prolifico, fin qui siamo d’accordo, ma la qualità? Molta della sua ispirazione si deve proprio a P.K.Dick, soprattutto in certe atmosfere e intrecci fortemente segnati da una visione paranoica della realtà, ma è anche uno scrittore capace di temi e approcci originali.
Noir è un buon esempio di ciò che l’autore californiano è in grado di produrre: suggestioni molto evidentemente ispirate a Blade Runner (il film) o a Ubik (il romanzo di P.K.Dick), ma anche al poliziesco americano anni ’50 e alle sue trasposizioni cinematografiche (difficile non dare al suo protagonista le sembianze di un Robert Mitchum), il tutto interpretato con la surreale ferocia e l’insistito gusto del macabro che costituisce un suo contributo originale.
Il protagonista del romanzo, McNihil, è un investigatore privato con un passato oscuro e inquietante, che viene suo malgrado arruolato da un magnate di un colossale oligopolio per compiere un’indagine sulla morte di uno dei giovani e promettenti manager della titanica impresa (la DynaZauber, nome dal quale si deduce che la passione per il tedesco di P.K.Dick ha trovato un degno successore). Nel corso dell’indagine e nel racconto della vita quotidiana di McNihil, Jeter fa emergere nei modi più brutali e raccapriccianti la metamorfosi sociale ed etica ormai definitivamente consumata: nel suo romanzo – e più in generale nei mondi da lui descritti, a partire proprio dal Dr. Adder, scritto nel 1972 – comportamenti e caratteristiche umane sono stati completamente iscritti all’interno dell’universo delle merci. I diritti fondamentali, formalmente tuttora rispettati, sono in ogni caso subordinati alle stringenti e assolute regole del profitto, improntati a una tutela degli interessi economici che, accoppiata alla ferocia tipica dell’ideologia della middle-class, rende possibili pene e forme di punizione che raggiungono gradi inediti di allucinante raffinatezza.
Dal villaggio dei morti sospesi, rianimati allo scopo di estinguere i propri debiti, ai trafficanti clandestini di prodotti soggetti a copyright, condannati a divenire parti “intelligenti” di elettrodomestici e strumenti di svago, alle cubobimbe, prostitute geneticamente modificate per avere i medesimi comportamenti, le stesse fattezze e le medesime reazioni, il romanzo si rivela un crudele catalogo della barbarie possibile, un’esplorazione qualche volta divertita, più spesso semplicemente orripilante di un mondo possibile nel quale ogni distinzione tra persona e oggetto è venuta meno. Richiamo in particolare l’attenzione dei lettori sull’ossessione della protezione del copyright, ritenuta, nell’ambito della società narrata da Jeter, di gran lunga la più grave delle colpe. Pensate quante volte ci capita di incappare in minacce più o meno circostanziate e feroci all’apertura di un programma per PC e capirete il puro genio di Jeter.
La sf anni ’50 e ’60 si poneva ingenui interrogativi sulla possibilità di dare caratteristiche umane a manufatti cibernetici, la sf degli anni ’90, viceversa, riflette sulla possibilità che l’umano sia interamente assorbito in un elenco merceologico che copre ogni possibile entità, ivi compresi i pensieri e i comportamenti.
Nell’insieme non si tratta di un romanzo di facile navigazione, e questo basterebbe largamente a evitare qualsiasi riferimento a letterature più o meno cannibali. Gli nuoce una certa verbosità, metafore e immagini talvolta poco efficaci, una sentenziosità a volte fastidiosa, qualche caduta di ritmo, non poche imprecisioni (l’Artide allegramente divenuto Antartide), un gusto per la citazione e il riferimento colto al quale il lettore finisce per rassegnarsi. Curiosa, infine, la traduzione in italiano corrente di un verso di Dante che Jeter ha utilizzato nella traduzione di Milton. Buffo, ho pensato, leggere Dante ritradotto dall’inglese.
A chi volesse imbarcarsi nella lettura consiglio pazienza e stomaco forte. Vi sono momenti e passaggi, nel romanzo di Jeter, che meritano largamente la fatica e i possibili incubi. E in tutti i casi si tratta di un testo che trascina i pensieri fuori dai soliti percorsi. Un esito non da poco.
Almeno in parte diverso il discorso per Caos USA di Bruce Sterling, romanzo schiettamente e dichiaratamente politico.
Diverso innanzitutto perché Bruce Sterling, fondamentalmente, non scrive romanzi ma testi che hanno l’intenzione di diventarlo. Assomigliano, infatti, ad un insieme di appunti ai quali l’autore debba ancora aggiungere:
– descrizioni di alcuni personaggi un po’ meno sommarie e ovvie
– descrizioni di luoghi, luci e colori
e debba togliere:
– tutto ciò che avviene fuori scena
– la storia locale, generale e universale
– le proprie conclusioni, lasciando che siano i personaggi a trarle.
Se nel romanzo di Jeter si deve denunciare qualche caduta di ritmo, in quello di Sterling si tratta di prendere atto che il ritmo, semplicemente, non esiste.
Ma Sterling mi è simpatico, non posso negarlo, e anche se scrive davvero male (da ingegnere, mi suggeriscono perfidamente) merita una recensione almeno in parte positiva.
La storia è questa: in un’America rovinata dalla violazione sistematica del copyright (ecco che ci risiamo), attuata dai tanto perfidi quanto millenari cinesi (che comunque l’autore evidentemente ammira), Oscar Valparaiso, un clone di fattura illegale, malamente assemblato con sezioni di DNA non umane, si è fatto abbastanza strada nella vita da diventare il capo di un’agenzia che si occupa di organizzare campagne elettorali.
Il problema è che l’America del 2040 e passa è divenuta un posto povero e maledettamente inquinato. Non solo, mezzo mondo pensa che la colpa della polluzione e dell’effetto serra che sta sciogliendo i poli come ghiaccioli sia interamente americana, affermazione senz’altro vera e corretta.
E così Oscar Valparaiso, sorretto da un formidabile talento organizzativo e da un surreale controllo dei nervi, si trova ben presto costretto a difendere l’Unione da un tentativo di secessione e a capeggiare una seconda rivoluzione americana che restituirà al paese non solo una democrazia non formale ma anche una (ambigua) speranza per il futuro.
Un’americanata? Lo so, ci somiglia parecchio, e certamente nel petto di Sterling batte un cuore di patriota, ma il suo romanzo merita comunque attenzione per la capacità di rendere in termini di storia futura talune tendenze ben presenti nella nostra cronaca quotidiana. A voi sembra così impossibile che, in caso di sterilità virale di milioni di donne ricche, qualche organizzazione criminale si metta a vendere cloni umani di dubbia provenienza lucrando guadagni favolosi? E siamo ancora alle prese con il tema della trasformazione dell’umanità in merce, già affrontato da Jeter, sia pure con un approccio completamente diverso. Di incoraggiante c’è che, a parere di Sterling, un clone illegale ha (quasi) le medesime possibilità di riuscita di un WASP.
Paragonare i due romanzi è comunque istruttivo: se Jeter possiede il talento evocativo e sinistro di uno sciamano alle prese con le proprie visioni, Sterling può vantare talvolta la chiaroveggenza di un lucido politico radicale. Da un punto di vista narrativo non avrei alcun dubbio su quale dei due meriti leggere, ma ve li consiglio comunque entrambi.
K.W. Jeter, Noir, 2000 (ed. or. 1998), Fanucci, pp. 430, trad. Anna Marini
Bruce Sterling, Caos USA (Distraction), 1998, Fanucci, pp. 521, trad. Carlo Borriello
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