La sensazione che la fantascienza sia almeno agonizzante, se non proprio defunta, nasce da tanti piccoli indizi. Tra questi il declino di una gloriosa testata come «Urania», un declino che la politica non propriamente audace dell’attuale direzione della rivista non basta a spiegare. Sui motivi della crisi o quantomeno del rarefarsi dei lettori – soprattutto tra i giovani – e della povertà di idee e di nuove proposte si è discusso parecchio anche su queste pagine e non mi pare il caso di ritornarci sopra. Resta il fatto che uno dei generi letterari che più punta sul «fascino» delle sue intuizioni e delle sue visioni sembra ormai tra i meno affascinanti, puntando a una semplice sopravvivenza fatta di stanche ripetizioni e goffe autoimitazioni.
Ma agli appassionati come me capita talvolta di chiedersi se si tratti di puro e semplice strabismo dovuto alla posizione defilata di noi lettori italiani e alla sostanziale scomparsa di editori italiani «dedicati». Ed ecco che la pubblicazione di un romanzo come Luce dell’Universo (Light) di M. John Harrison riesce a compiere due piccoli miracoli. A rilanciare la cara vecchia Urania e contemporaneamente a rassicurare chi, come noi, pensa ancora che la fantascienza abbia ancora un lungo futuro davanti a sé.
Luce dell’Universo è un romanzo straordinario, nel senso letterale di fuori-dall’ordinario. Con un’ambientazione sospesa tra il XX e il XXV secolo racconta in parallelo le vicende di Micheal Kearney, un fisico mentalmente instabile, perseguitato da una visione terrificante, di Ed Chianese, uno spostato di genio inseguito un po’ troppo da vicino dal suo passato e di Seria Mau, un’astronauta dal carattere aspro e spigoloso, viva soltanto per inseguire i suoi inaccessibili fantasmi.
La fortissima suggestione di Light nasce dalla combinazione dell’efficacia icastica del linguaggio – mirabilmente resa dalla traduzione di Vittorio Curtoni – con il fascino allucinato dei luoghi descritti, un fascino che innerva e illumina ogni momento del romanzo, il presente dai freddi colori acidi come il lontano futuro, raccontato con il distacco epico di autori come Raphael Lafferty, Cordwainer Smith o il Frederick Pohl de La porta dell’Infinito.
Per chi si è impigrito sul linguaggio seriale di tanta fantascienza frettolosamente tradotta la combinazione M. John Harrison / Vittorio Curtoni può risultare micidiale, ma una volta scrostato un po’ il cervello è facile accorgersi che Light è uno di quei romanzi da leggere trattenendo il fiato, camminando in punta di piedi e abbandonandosi – in qualche passaggio superbo – alla pura e semplice contemplazione.
La fantascienza è senso del meraviglioso, certo, ma qui è anche il racconto di vite spezzate e contorte, dolore, umorismo, mito, follia e smarrimento. Con Light M. John Harrison riesce a regalarci un tipo di emozione che appartiene allla stagione che segna il termine dell’infanzia. L’intuizione – breve e infinita – delle dimensioni incommensurabili dell’universo del quale siamo diventati parte.
Un’emozione che, forse, soltanto la migliore fantascienza può nuovamente regalare.
Ovviamente è del tutto probabile che il romanzo risulti ormai introvabile. Beh, esiste sempre la possibilità di richiederlo come arretrato. E, in ogni caso, è bene parlare di Luce dell’Universo nella speranza che qualcuno alla Mondadori prenda in considerazione la possibilità di ristamparlo in altre collane, regalando al libro una vita un po’ meno breve e stentata.
M. John Harrison
Luce dell’Universo
Mondadori «Urania»
€ 4,10
trad. V. Curtoni
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