Sui giornali sportivi che indefessamente leggevo nell’adolescenza era abbastanza comune incontrare la frase: «Andare a farfalle», indicando con ciò il portiere malaccorto che, nel tentativo di intercettare l’attaccante avversario in arrivo finisce per farsi sorprendere fuori dalla porta (e irrimediabilmente trafiggere da un astuto pallonetto).
L’espressione mi è tornata in mente leggendo La Regina Disadorna di Maurizio Maggiani, editore Feltrinelli.
Il romanzo è un bel tomone di quattrocento pagine, ambientato fino intorno alla metà a Genova e dalla metà in poi in un arcipelago del Pacifico, Moku Iti.
Nella prima metà protagonisti sono Paride, operaio portuale e Sascia, imbustinatrice di zafferano per conto di Giggi O’Strassé alias il Duca di Mantova. Nella seconda pressoché unico protagonista Giacomo, strano tipo di missionario, figlio di Paride e Sascia. Da elogiare senza riserve la scorrevole arte di raccontare di Maggiani, che – perlomeno nella prima parte – sa rendere curioso e degno di affetto ed interesse anche il più piccolo personaggio o evento che si trovi a transitare nelle sue pagine. Il racconto di Genova (e della gente del suo porto) è felice e lussureggiante, ricco di odori, sapori, colori, movimentato da racconti, ricordi, passioni, piccoli e grandi fatti, storie e vite.
Il lettore si abbandona, si perde negli anfratti delle descrizioni, segue le curiose biografie di personaggi e protagonisti e, anche se a tratti ha la sensazione che la vicenda potrebbe proseguire più speditamente, accetta tutto per fiducia nel narratore, esattamente come si accettano le soste per una bevuta di un bravo raccontastorie.
Questo fin verso la metà del romanzo, poi…
Poi viene in mente il portiere che esce a farfalle, appunto. La vicenda di Giacomo sembra fatta degli stessi ingredienti: descrizioni e piccoli e grandi fatti e personaggi, ma non funziona, non prende, a voler essere brutali non interessa. E questo è un bell’enigma anche per il lettore. Maggiani racconta i kanaki di Moku Iti con lo stesso affetto con il quale racconta la gente del porto di Genova, ma autoprivatosi della storia e delle storie d’Europa naviga a vista tra l’oleografia e le suggestioni alla Stevenson (o forse alla Hugo Pratt) e non riesce a staccare nemmeno un personaggio dallo sfondo. Il suo capo indigeno risulta così – com’è ovvio – un po’ ingenuo e fanciullone, la figlia del re immancabilmente giovane bella e desiderabile, il popolo allegro e casinista, i paesaggi incantevoli, la natura selvaggia e sorprendente. Lo stile friendly di Maggiani persiste ma manca il motivo, la tensione, la necessità. Si approda alla parola fine quasi per inerzia, sospinti dalla felicità della prima parte. E un sentore di zuccheroso, di troppo facile resta a dare ombra al ricordo della lettura.
Maurizio Maggiani, La regina disadorna
Feltrinelli 2002, pp. 400, € 12,00
Idem, ed. e-book .epub, € 5,99
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