Chi non è interessato al pugilato potrebbe non prendere in considerazione questo libro, saltando a piè pari la recensione. Beh, prima di farlo sappia che il sottoscritto non ama la boxe, anzi la detesta: passati gli adolescenziali entusiasmi per incontri «mitici» come Clay-Foreman o Benvenuti-Monzon, ho sempre ritenuto il pugilato una forma di lento suicidio, generatore di malattie invalidanti. Per non parlare del sottobosco malavitoso che l’ha infettato per decenni. Eppure questo libro mi ha subito attratto, perchè la storia del personaggio protagonista del saggio travalica la semplice storia della boxe (per me comunque interessante in quanto fenomeno sociale e di costume) finendo per coinvolgere la storia della «cultura sportiva» del fascismo, la mitologia della figura del suo duce, la storia dell’emigrazione e della genesi degli eroi popolari sportivi.
204 cm di altezza, 122 chili di peso, 128 cm di torace, un pugno di 38 cm, scarpe misura 52: con questi numeri Primo Carnera, friulano immigrato in Francia e arrivato alla boxe dopo aver fatto il manovale e il fenomeno da circo, debutta sul ring nel 1928, consegue il titolo mondiale dei pesi massimi nel 1933, per perderlo nel giro di un anno e declinare drammaticamente, abbandonando i guantoni nel 1937 dopo una serie di sonore sconfitte. Nonostante la rapida parabola descritta da questo pugile, la sua fisicità è rimasta così impressa nell’immaginario collettivo sui due versanti dell’Atlantico da fare di Carnera un simbolo paradigmatico di forza e di robusti appetiti, ispirando film (come il famoso Colosso di argilla, l’ultimo interpretato da Bogart) e fumetti. Chi come me ha frequentato le scuole elementari e medie negli anni Sessanta ricorderà quanto erano tornati in auge allora certi miti del fascismo sia nei programmi scolastici (dal Piave che non smetteva di mormorare alle cose belle compiute dall’Italia nelle colonie africane) che nelle edicole, dove si riproponevano i fumetti del trentennio, come Cino e Franco e Dick Fulmine. Le fattezze di quest’ultimo, un colossale emigrante italiano divoratore di polli arrosto e risotto alla milanese, che raddrizzava torti in giro per il mondo, erano un chiaro sincretismo tra quelle di Carnera e il «profilo granitico» di Mussolini.
Sì perchè Carnera negli anni di successo fu ampiamente strumentalizzato dalla propaganda fascista, sia per esaltare la cura del corpo e la pratica dello sport (cui la cultura liberale e quella cattolica non avevano mai prestato molta attenzione) che per sbandierare la prestanza dell’«homo novus» fascista (benchè Carnera fosse ben lungi dal poter essere preso a prototipo dell’italiano medio). Ma anche in America Primo divenne un mito, nonostante le grosse varici e i piedi piatti che ne avevano motivato l’esenzione dal servizio militare, e nonostante la scoperta a posteriori che un numero rilevante dei suoi incontri vincenti era truccato (a sua insaputa). Queste e altre interessanti informazioni troverete nel bel libro dello storico Marchesini, ottimo esempio di saggio rigoroso scritto con scorrevolezza, che parla di storia attraverso l’analisi dei suoi aspetti solo in apparenza minori. La vita di Carnera diventa così un ottimo spunto per parlare della salute e dell’alimentazione degli italiani prima e dopo l’ultima guerra, o della percezione del corpo prima e dopo il fascismo. Ma anche un giusto riconoscimento a un uomo ingenuo ma generoso, di una forza prodigiosa ma tutt’altro che stupido, disposto a sacrificare anche la propria salute per la famiglia, continuando a calcare il ring anche quando ogni speranza sembrava vana. Qui, più che nella coppa mondiale dei pesi massimi, sta la grandezza del mito di Carnera.
Daniele Marchesini, Carnera. L’ascesa e la caduta del gigante del regime fascista
Il Mulino Biblioteca Storica, 2006, pp. 312, € 22,00
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