In un paese dove ognuno poteva essere felice, volere diversamente era una trasgressione, agire diversamente un delitto.
Così Bordewijk traccia una linea di congiunzione tra mondo del suo romanzo, un tetro impero dominato dalla razionalità del cubo e della linea retta e dall’abolizione dell’individualità, tanto da studiare la possibilità di abolire nome e cognome personali, e il comunismo sovietico degli anni Trenta.
In realtà le parate, l’uniformità ostentata di divise, simboli e colori, l’ossessione militarista, persino l’accenno all’invenzione di uno strumento in grado di trasmettere immagini di propaganda, prevedono con altrettanta fredda e sinistra precisione le lugubri liturgie naziste. Bersaglio di Bordewijk è la società collettiva, dove
non aveva più valore l’individuo ma solo l’insieme. L’insieme non era una somma di singoli, ma un essere nuovo, specifico, con le proprie forze e con il potere dell’immortalità.
Una società necessariamente senza Dio, dove gli strumenti di una nuova astronomia hanno interamente esplorato l’universo stabilendo che non vi è posto per un Creatore, né per l’anima immortale.
Bordewijk dedica il suo romanzo (ed or. 1931) a S.M. Ejzenstejn e ad A. Einstein, riunendo nella dedica due «maestri dell’orrore». Nella sua visione del mondo lo scientismo positivista che mira a eliminare la necessità di un Dio e la filosofia materialista che è alla base del comunismo sovietico costituiscono due elementi di un modernismo che avrebbe finito con l’eliminare non solo la libertà individuale ma anche il profondo desiderio di trascendenza e il sentimento di unicità della propria morte, patrimonio irrinunciabile di ognuno di noi.
Inevitabilmente ruvido e sommario, il testo di Bordewijk ha tuttavia la prodigiosa capacità di cogliere e descrivere in una manciata di pagine e con uno stile scabro e martellante le ossessioni delle ideologie di massa degli anni trenta: l’intolleranza per la diversità e la separazione, il razionalismo ostentato che si esprimeva anche nelle forme geometriche e architettoniche, la necessità di una propaganda capillare e di un controllo assoluto, la paranoia pianificata, la revisione della storia; tutte garanzie della possibilità di condurre a termine esperimenti sociali che avrebbero dovuto condurre alla nuova umanità.
Distopia allucinante e assoluta, Blocchi è, al di là delle inevitabili forzature polemiche, un libro di grande impatto e valore documentario meritoriamente proposto a più di settant’anni dalla sua prima edizione, quasi come terrificante epitaffio al secolo appena terminato.
Ferdinand Bordewijk, Blocchi
a cura di A. Gnoli e F. Volpi,
Bompiani, asSaggi, prima edizione italiana.
trad. dall’olandese di C. Pietrobelli
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