La teoria del «gene egoista», sviluppata da Richard Dawkins nel 1976 è divenuta, alla fine del xx secolo, la principale interfaccia teorica delle precedenti teorie di Darwin, sia a livello accademico e di ricerca, sia a livello popolare.
Per «interfaccia teorica» intendo un insieme di concetti e teorie che permettono a un utente finale di avvicinarsi a un dato corpo di teorie complesse preesistenti (in questo caso la teoria dell’evoluzione attraverso la selezione naturale) e di lavorarci con maggior facilità, espandendole, interpretandole, applicandole.
La ragione della popolarità della teoria del gene egoista è da ricercarsi in diversi fattori, in primo luogo l’efficacia di Dawkins come divulgatore, che gli permette di piazzare regolarmente i propri lavori (spesso tutt’altro che popolari) nella lista dei best-seller.
Ma è forse da ricercarsi nella «invidia della fisica» la principale causa del successo di Dawkins e delle sue idee – la teoria del gene egoista elimina una grandissima quantità di problemi, riducendo la selezione naturale a una competizione tra filamenti del DNA, ciascuno in corsa per replicare se stesso il maggior numero di volte possibile.
La teoria permette facili simulazioni al computer e complesse (ma non impossibili) modellizzazioni matematiche – superando appunto l’annosa questione della «mancanza di precisione matematica» delle scienza naturali, che ha portato Walter Alvarez (fisico) a definire i paleontologi «collezionisti di francobolli» anziché scienziati.
Grazie alle intuizioni di Dawkins, e al lavoro di decine di altri autori, possiamo simulare l’evoluzione al computer, stimare i tassi evolutivi della specie A rispetto alla specie B, costruire interi ecosistemi sul nostro hard disk, e poi mostrare le formule ai fisici, tacitando per sempre il loro becero atteggiamento di superiorità.
E senza la spiacevole interferenza di tutte quelle spiacevoli questioni legate a fattori contingenti che interferiscono col modello – le estinzioni improvvise, le stabilizzazioni di popolazioni-limite, i cicli panarchici di avvicendamento.
Ma si tratta davvero solo di «rumore di fondo» che interferisce con il modello?
Esiste una scuola alternativa, una sorta di Linux teorico contrapposto al Windows genetico di Dawkins – la scuola naturalistica, o neocatastrofista (etichetta erronea e fuorviante), che vede la questione come un po’ più complicata e un po’ meno facile da modellizzare, e scopre in questa nebulosità uno dei punti di forza dei sistemi naturali.
Dopo la scomparsa di Steven J. Gould, portabandiera storico della scuola naturalistica, rimane oggi il suo ex compagno di banco Niles Eldredge a fare da portavoce a una tendenza interpretativa dei lavori di Darwin che trova poco riscontro sui media, non affascina romanzieri e fumettisti (che invece amano citare Dawkins), ma costituisce un importante modello di pensiero.
La differenza sostanziale, fra i due modelli (quello del Gene Egoista viene anche detto modello ultradarwinista) consiste nel peso attribuito ai fattori ambientali e sociali – se nel modello ultradarwinista la corsa è fra DNA in competizione per l’occupazione di tutte le nicchie ecologiche disponibili, nel modello neocatastrofista la competizione è fra popolazioni e comunità, all’interno di un paesaggio.
Ciò che è un prodotto, un accidente, un effetto collaterale della competizione genetica per Dawkins è un attore principale per Eldredge.
I due modelli si contrappongono da una trentina d’anni, essi stessi in competizione.
Come abbiamo detto, il modello di Dawkins è certamente il più popolare, quello di Gould il più convincente per chi ha l’abitudine di incontrare l’evoluzione sul campo e non in laboratorio.
È forse necessario a questo punto un caveat per il lettore – il recensore non può nascondere le proprie simpatie neocatastrofiste.
Fatemi causa: sono un paleontologo, come Eldregde e Gould.
E come lo stesso Dawkins.
Il lettore curioso potrà approfondire la questione del dibattito fra biologi e paleontologi, ultradarwinisti e neocatastrofisti, sul colossale La struttura della Teoria dell’evoluzione, di S. J. Gould (Codice, 2004), sulla decisamente più accessibile sintesi La sopravvivenza del più adatto del filo-ultradarwinista Kim Sterelny (Cortina, 2004) o sul lavoro di Eldredge pubblicato da Einaudi nel 1999, Ripensare Darwin – il dibattito alla tavola alta dell’evoluzione.
Un testo fondamentale, quest’ultimo, per mettere in prospettiva le posizioni dei neocatastrofisti, ma certo non un testo per il grande pubblico – anzi, piuttosto tecnico e specialistico.
Ora, Eldredge ed Einaudi si fanno perdonare dai lettori meno portati al tecnicismo con l’eccellente Perché lo facciamo: Il gene egoista e il sesso, pubblicato nella collana «popolare» Gli Struzzi.
Testo partigiano, si dirà.
Né Niles Eldredge lo presenta in altro modo.
D’altra parte, il sesso è un fattore fondamentale nel modello ultradarwinista, nel quale la spinta alla riproduzione (più individui, più repliche dello stesso DNA) è la molla dell’intero meccanismo.
I geni vogliono replicarsi, quindi gli individui vogliono riprodursi – il sesso è servito.
La teoria, come dicevamo, è semplice e attraente – o forse attraente in quanto semplice.
Non solo costituisce la base dell’interpretazione ultradarwinista della teoria dell’evoluzione, ma è pure la base di una serie di discipline a essa connesse, prima fra le quali la psicologia evolutiva.
Come riesce la coscienza umana a gestire il sostanziale primato della spinta riproduttiva?
Ma è poi così sostanziale?
Niles Eldredge, in un volume agile, ben scritto pur senza particolari fuochi d’artificio letterari, spazia dalla genetica all’ornitologia (Eldredge è notoriamente un appassionato birdwatcher), all’etologia dei libidinosissimi scimpanzé bonobo, ad Aristofane, passando per I Soprano, offre un’alternativa convincente.
Esistono pressioni culturali e, in ultima analisi, economiche (in senso quanto mai lato), che possono strappare il primato alla semplice spinta sessuale.
Il sesso può essere una merce di scambio, un fattore di potere, una fonte di divertimento, una quantità di cose, insomma, che col fare bambini (= copie del DNA dei genitori) hanno ben poco a che fare.
Da qui gli spasmi adolescenziali dei giovani, i profilattici e il Viagra, le lenti a contatto e i kibbutzin, Bill Clinton e John F. Kennedy e le relative amanti, vengono cooptati da Eldredge come testimoni a favore della tesi che vede nel gene egoista un buon giocatore individuale, ma certo non la star della partita chiamata evoluzione.
Quando le regole del gioco sono regolate dalla selezione naturale nel mondo reale, il gioco di squadra ha la precedenza.
Esistono gruppi all’interno dei quali alcuni individui rinunciano alla riproduzione in favore del bene della collettività.
Esistono individui che praticano il sesso con intenti tutt’altro che procreativi.
Esistono fattori che con la riproduzione non hanno nulla a che vedere, e che tuttavia possono plasmare una popolazione attraverso le generazioni (si pensi alle grandi catastrofi ambientali che troncano ineluttabilmente l’esistenza di centinaia di specie), influenzando radicalmente la storia della vita.
Ed esistono prove molto «terra terra» di come stress e complicazioni ambientali possano ridurre o cancellare la capacità riproduttiva di uomini e donne.
Esistono insomma molte, moltissime situazioni reali e documentate nelle quali il modello del gene egoista fallisce nel tentativo di spiegare la realtà.
In meno di trecento pagine molto scorrevoli, infarcite di note e di osservazioni apparentemente stravaganti, Niles Eldredge mette seriamente in discussione le posizioni più estremiste di Richard Dawkins, e segna un punto importante per il campo neocatastrofista.
Nel far questo intrattiene piacevolmente il lettore, svelandoci il significato evolutivo di cose come i reality show, i tabloid scandalistici e la pornografia, e dicendoci finalmente perché l’adolescenza è per tutti noi fonte di ricordi piacevoli e dolorosi, e di grandi imbarazzi. Il colpo migliore lo assesta probabilmente al decimo capitolo, quando con un divertente esperimento intellettuale, chiede al lettore di determinare se i vari beneficiari del titolo di «più sexy del mondo» abbiano in effetti disseminato un maggior numero di figli rispetto agli individui qualsiasi (come dovremmo aspettarci se il gene egoista fosse al comando).
E tuttavia, Eldredge non rischia con questo libro di scalzare Dawkins e le sue teorie dalla posizione privilegiata in cui si trovano da quasi trent’anni.
Manca a Eldredge, purtroppo, la brillantezza dell’avversario – il suo libro è ottimo ma non memorabile, fondamentale ma non forte abbastanza da lasciare un segno indelebile.
Forse la ragione è proprio l’aver scelto un taglio troppo divulgativo – Eldredge ha scritto volumi migliori, più incisivi, vere pietre miliari – ma infinitamente più tecnici.
Con Perché lo facciamo siamo certo ad anni luce dalla divulgazione scientifica nostrana, ma ancora un bel po’ indietro rispetto ai grandissimi della divulgazione anglosassone – Dawkins appunto, Burke, il compianto Gould.
Il volume rischia quindi di passare come acqua fresca sul pubblico, senza lasciare una vera impressione, uno fra i tanti volumi usciti negli ultimi due anni in materia di studi evolutivi, espressione del tentativo dell’editoria nazionale di arginare (o cavalcare?) la crescente, inspiegabile e inquietante reazione politica e religiosa contro la selezione naturale.
Li leggerà davvero, poi, il pubblico, questi volumi?
O siamo sempre solo noi – biologi, paleontologi, naturalisti – a sciropparci ogni nuova uscita «per completezza e aggiornamento», bruciando quantità invereconde di danaro e lunghe ore notturne che dedicheremmo piuttosto ad attività più amene, e disconnesse dal nostro ambito accademico?
Pensiero sinistro.
L’impressione generale è che al pubblico a piede libero della selezione naturale e di Darwin importi ben poco, che il nucleo delle conoscenze evolutive degli italiani (legislatori inclusi) sia mutuato da un vecchio varietà televisivo con Paolo Bonolis, e che le poche farneticazioni di un qualche sciamano televisivo abbiano molto più peso di due secoli di studio e ricerca.
Ma chissà – forse, col suo pulcino batuffoloso in copertina e il richiamo diretto al sesso nel sottotitolo, il volume di Eldredge, che viaggia oltretutto a un prezzo ragionevole (15,50 euro, ma il vostro libraio di fiducia vi farà certamente uno sconto), riuscirà forse ad allettare qualche adolescente confuso dai primi strapazzamenti ormonali.
Non gli insegnerà a rimorchiare, ma forse gli schiuderà per la prima volta il panorama meraviglioso della storia della vita (e della nostra specie) su questo pianeta.
Niles Eldredge, Perché lo facciamo, il gene egoista e il sesso
Einaudi 2005 (ed. or. 2004), pp. 277, € 15,50, Trad. A. e G. P. Panini
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