Glenway Wescott
Appartamento ad Atene
(Adelphi)
Appartamento ad Atene, di Glenway Wescott (Adelphi 2003, ed. or. 1944-45, trad. Giulia Arborio Mella) è una storia complessa, che mette a confronto i diversi atteggiamenti dei coniugi Helianos davanti alla forzata convivenza con il nemico nazista.
Atene 1942. Nikolas Helianos e la moglie, ateniesi benestanti di mezza età, hanno avuto tre figli: il primo, Kimon, ventenne intelligente, bello e generoso è da pochi mesi caduto in guerra; il secondo, Alex, instabile ed esaltato, cresce gracile come una pianticella stenta: la terza, Leda, è goffa, tarda, persa in un suo mondo interiore e sempre spaventata. Improvvisamente il loro appartamento viene requisito e gli Helianos, che per ventura conoscono il tedesco, devono adattarsi a «ospitare» il capitano Kalter. Indifferente e metodico, Kalter riorganizza le loro vite al proprio servizio, si riserva le stanze migliori, pretende il rispetto di orari, prescrizioni, condizioni igieniche. Arrogante, pieno di certezze sul mondo, l’ufficiale li tiene tutti a distanza, guidato da una fredda patina di educazione che, nei momenti di malumore lascia il posto al gusto di vessare, maltrattare, esercitare le proprie prerogative di vincitore e padrone. Fiaccati dalla guerra, dalla fame, dalla paura, gli Helianos vengono risucchiati da questa routine vessatoria sino al punto di non riuscire più a concepire un’esistenza indipendente, nemmeno durante il sospiratissimo mese di licenza del capitano, ormai promosso a maggiore.
Ormai gli Helianos sono abituati alla loro condizione di servitori in casa propria, ma la situazione cambia bruscamente al rientro del maggiore che, a sorpresa, piegato da gravi lutti familiari, mostra il suo lato umano. Prende l’abitudine di conversare con Nikolas, interlocutore sensibile e colto, curioso di ascoltare il punto di vista del nemico. Nonostante la diffidenza e i timori della moglie, i due trascorrono le serate insieme, nello studio che era stato di Nikolas: Kalter proferisce il verbo nazista, pronuncia sentenze, si spinge fino al punto di esprimere dubbi sulla guerra. Helianos ascolta, «impara», trova modo di porre domande intelligenti. Ma, nonostante la nuova bonomia del maggiore e il suo bisogno di confidarsi, di parlare, il loro rapporto è ancora quello tra la forza e un’intelligenza acuta ma con le armi spuntate. Helianos scoprirà a proprie spese che, se è temibile quando vince, quando comincia a nutrire dubbi sulla vittoria, il nemico in casa diventa imprevedibile, contorto, crudele. Ma la moglie, la «signora Helianos», la madre, donnetta pavida, fiaccata dalle continue prove quotidiane riesce a trovare forza nella rabbia, che non è ancora indignazione ma soltanto ribellione a un destino che non ha, in fondo, mai scelto.
Wescott, già autore dell’intenso Il falco pellegrino (cfr. LN 23) ha il grande talento di penetrare e rendere sulla pagina emozioni e sentimenti dei suoi personaggi, di rendere accessibile la loro «anima», di coglierne l’intreccio di sensazioni e pensiero, di volontà e impulsi. Di esporre le pacate, apparentemente logiche, argomentazioni di Kalter:
Sa, essere tedeschi non è quello: la biologia, l’etnologia, l’antropologia… niente di così complicato. Essere tedeschi è semplicemente il nostro modo di vivere; è l’amore del governo e dell’ordine, per cominciare, e la fiducia in noi stessi e nell’altro […] È la speranza del mondo: la speranza che un giorno, finalmente, il mondo sarà ben governato da chi è degno di farlo, da chi ne ha la volontà e la capacità. […] Solo noi tedeschi abbiamo un’alternativa: noi abbiamo qualcosa che può prendere il posto del paradiso, Sì anche l’uomo tedesco si sacrifica e si perde d’animo come tutti gli altri, ma è un fatto esclusivamente personale: la nazione non si perde d’animo. […] Anche se egli morirà, non ha importanza; sopravviverà nel suo compatriota, nella sua stirpe. Per noi tedeschi, le dico, è questa l’immortalità. Se anche un individuo è imperfetto, c’è pur sempre la razza; e presto o tardi la razza giungerà alla perfezione.
E le riflessioni di Helianos, abbagliato dalla convinzione che le parole bastino a spiegare, a conoscersi, convinto che la cultura sia un tramite universale e che, anche se nemici, due uomini colti possano comprendersi:
È nella natura dei tedeschi cambiare così spesso. Dare l’impressione di cambiare. Alla fine della guerra – o forse, come nel caso del nostro Kalter, prima della fine – si stancano improvvisamente della guerra, amano la cultura, hanno compassione di coloro che hanno fatto soffrire. Tutti sentimenti sinceri; è questo che rende le cose così pericolose. Ci hanno insegnato a dare più valore alla sincerità di quanto non meriti […] C’è una cosa a cui dobbiamo stare molto attenti: al buon umore dei tedeschi, quando all’improvviso si ravvedono e cercano di mostrarsi simpatici […] Sta di fatto che i tedeschi amabili e virtuosi sono molto peggio degli altri, perché ci traggono in inganno. Stanno solo mettendo l’esca nella trappola.
I personaggi maggiori del romanzo, Kalter ed Helianos, entrambi idealisti e limitati da un puro raziocinio, sono ciechi mentre personaggi più «piccoli», come la signora Helianos e i suoi figli squilibrati e i «cugini Helianos», che alle chiacchiere hanno preferito la concretezza della lotta, sono più attrezzati per affrontare i «nemici» che hanno invaso il loro mondo.
Ma questo è soltanto uno dei temi del romanzo, l’altro, altrettanto potente, è l’esplorazione del carattere di Helianos, un uomo buono ma che non si è mai concesso a sufficienza, che ha sempre pensato il mondo ma lo ha poco «sentito», concedendosi l’egoismo di attraversare la quotidianità convinto di dominarla, senza ascoltare o riporre fiducia nei suoi compagni di strada. Il colloquio tra la signora Helianos e il cugino Demos – la pecora nera della famiglia che, a causa della sua «vita dissipata», è diventato il tirapiedi, il ruffiano del nemico – è, nel suo tono minimalista e ironico, uno dei punti chiave del romanzo. E anche una gran bella soddisfazione per autore e lettori (Silvia Treves).
(da LN-LibriNuovi 28)