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    Una coltre di verde di Eudora Welty

    • di Consolata Lanza
    • Ottobre 19, 2017 a 10:46 am

    Posso dire ancora una volta (e non sarà l’ultima, perché ho un paio di altri titoli golosi in attesa di lettura) che adoro la casa editrice Racconti Edizioni? Che mi consola nei momenti bui pensare che ci sono editori (e sono giovani, simpatici, svegli, molto capaci e attivi) che amano i racconti abbastanza da pubblicarli scommettendovi su il futuro? Inoltre, aggiungerò che la scelta dei titoli, per ora tutti stranieri, è molto raffinata e attraente.

    Questa volta parlo di Eudora Welty, Una coltre di verde, il cui nome, confesso colpevolmente, mi è diventato familiare moltissimi anni fa, quando usavo Eudora come programma di posta elettronica, intitolato alla scrittrice proprio per via di un racconto (Com’è che abito all’ufficio postale) presente in questa raccolta, ma fino a pochi giorni fa non ne avevo letto niente. E mi ero persa molto.

    I diciassette racconti hanno in comune una scrittura molto vivace, inventiva, molto moderna e antipaludata, splendidamente resa dai traduttori Vincenzo Mantovani e Isabella Zani. E anche questa è un’altra nota di merito cui sono particolarmente sensibile perché sulle traduzioni molto sovente scivolano anche le meglio case editrici – e questa volta invece sono ineccepibili. Interessante l’introduzione di Katherine Anne Porte del 1941 (anno della prima edizione con il titolo A Curtain of Green and Other Stories), tradotta da Stefano Friani (che è anche uno degli editori).

    Quello di Eudora Welty è un occhio che tutto vede e tutto registra, nessun particolare è troppo insignificante, così in Lily Daw e le tre signore e L’uomo di pietra la patetica vicenda di Lily la ritardata e e quella drammatica di Mrs Pike e Mr Petrie emergono a pezzi e bocconi da un mare di voci dialoghi chiacchiere fitte, pettegolezzi di paese, dal parrucchiere, per strada o nelle vecchie case, con una narrazione fatta dell’accumulo di piccoli particolari. Ci sono epifanie folgoranti (Un ricordo, Il vecchio Mr Marblehall, Visita di carità, Powerhouse, un eccezionale pezzo di bravura su un suonatore nero e i suoi orchestrali), storie di terribile tragicità sempre raccontate con mano lieve, lucidamente spietate, attraversate da vene sotterranee di ironia (Autostoppisti, Morte di un commesso viaggiatore, Fiori per Marjorie) e quello che mi è parso il più angoscioso racconto horror che abbia mai letto, Clytie, con la sua spaventosa famiglia.

    Eudora Welty

    La voce di Eudora Welty è estremamente controllata ma soprattutto sapiente, ricercatissima pur nell’estrema naturalezza. Mai un filo di patetismo o di compiacimento, solo i ghirigori delle voci intrecciate a raccontare la vita a se stessi e agli altri. Le storie riguardano tutte un’umanità piccola che vive in un paese piccolo, nello stato del Mississippi dove la scrittrice ha trascorso tutta la vita. I personaggi sono quotidiani ma le vicende hanno spesso un epilogo tragico o almeno drammatico. I problemi del mondo grande tutt’attorno premono, la fame, la povertà, la segregazione razziale, le ingiustizie (Un sentiero battuto, La sirena, lo straziante La chiave, Keela, l’indianina reietta) perché la società su cui Eudora Welty si china è limitata ma scolpita a tutto tondo, tutte le miserie e le venture umane vi sono rappresentate, non si tratta certo di una bolla isolata. Poi naturalmente c’è Com’è che abito all’ufficio postale, con l’esilarante figura di Sister e la sua famiglia disfunzionale.
    Molti personaggi sono attraversati da una sorprendente lama di bontà o almeno di empatia umana, come il flemmatico giovanotto dai capelli rossi di La chiave, il piazzista Tom Harris di Gli autostoppisti o il paziente Max di Keela, l’indianina reietta. Ma tutti i personaggi meriterebbero una presentazione individuale, o un’analisi approfondita dei viluppi relazionali in cui si dibattono, così come le vicende che spesso hanno un finale a sorpresa. Ma si tratta di racconti brevi, e spiegare troppo gli toglierebbe gran parte del fascino. Leggeteli e godeteveli, e magari rileggeteli (io l’ho fatto) per meglio apprezzare la costruzione abilissima delle vicende attraverso l’accumulo di particolari apparentemente veniali.

    In qualche racconto (per esempio Una coltre di verde o Un ricordo) si sente una nota, un’eco di Katherine Mansfield o Virginia Woolf, ma appena appena per fortuna, uno sbuffo, come l’odore di una vivanda che è stata preparata nella stessa cucina. Eudora Welty è una maestra a pieno titolo e non ha bisogno di appoggiarsi a altri nomi per trarne lustro. E Una coltre di verde dimostra chiaramente perché mi affanno a ripetere, parlando sia come scrittrice che come lettrice, che il racconto è una forma letteraria autosufficiente, difficilissima da gestire, che dà un grande piacere alla lettura e non stanca mai. E grazie a Racconti Edizioni che l’ha capito e condivide con me questa passione.

    Eudora Welty, Una coltre di verde, Racconti edizioni, pp. 262, € 17,00, trad. Isabella Zani, Vincenzo Mantovani

    Gentilmente dal blog di Consolata Lanza, Anaconda Anoressica.

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