Nella vita, Stanley Ahearn le ha sbagliate proprio tutte: in gioventù si è trascinato da un lavoro all’altro convinto che chi non sceglie sia più furbo e più libero. Per non scegliere si è giocato l’unico amore autentica della sua vita, e persino il suo unico gesto disinteressato ed eroico (ha salvato una bimba cinese dall’annegamento), è stato frutto di un impulso e di un’attesa: si è buttato in mare, ha trattenuto la bambina e ha aspettato che i pompieri venissero a ripescarli. Adesso, a quarantasette anni, vive da parassita, mantenuto da una famiglia cinese che sa onorare i propri debiti. Né simpatico né stimabile (e in questo profondamente umano), Stanely ha due passioni, la bottiglia e il sesso mercenario, e l’abitudine di battere i bar il venerdì sera. Un tipo qualunque, questo Stanley, eppure prezioso per un certo tipo di mercato perché ha il gruppo sanguigno del perfetto donatore, due reni funzionanti e nessuno che lo aspetti a casa…
Risvegliarsi in un parco senza ricordare nulla della sera prima e senza un rene è una brutta esperienza, anzi pessima, soprattutto se l’altro rene ha i giorni contati e se il servizio sanitario pubblico – inesistente negli States – non copre simili strampalate eventualità. Non resta che cercare un altro rene, vero? Magari rivolgendosi a degli esperti mercanti di organi…
Prima di un urlo ha tutti gli ingredienti per piacermi poco. Innanzitutto è splatter, genere che, il più delle volte, è soltanto un pretesto per ricattare il lettore (“io non saprò scrivere, ma se tu ti schifi sei un ipocrita bacucco”). Poi ha come motivo centrale una sfruttatissima leggenda metropolitana, una di quelle comode scappatoie per chi ha poca fantasia e molta voglia di pubblicare in fretta. Infine è un thriller di ambientazione ospedaliera, e, francamente, di romanzi a base di medici legali e perizie settorie gli scaffali delle librerie ormai rigurgitano. Invece… invece ha due ingredienti fondamentali per piacermi: è coraggioso e ben scritto. Così “miracolosamente” le descrizioni grandguignolesche diventano grandiosamente grottesche, e i “medici” si trasformano in contabili della morte che monetizzano letteralmente ogni organo del “paziente” (o piuttosto della vittima) mentre la leggenda metropolitana assurge a novum che irrompe a stanare i personaggi dalla loro tiepida quotidianità e strappa via la maschera della tolleranza e dell’accettazione delle regole civili. Grazie alla capacità dell’autore di entrare nella testa dei suoi personaggi spremendone fuori il meglio e il peggio, Prima di un urlo è un’ottima dimostrazione delle possibilità eversive della letteratura di genere; esce dalla nicchia del thriller e diventa una rappresentazione piena di humour nero della società occidentale che assegna un prezzo a tutto e a ognuno, fino all’ultimo organo. Nonostante la mole, l’attenzione qusi maniacale di Nisbet per gli stati d’animo, i dubbi, le minute emozioni dei suoi personaggi, il romanzo non perde un colpo sino al finale quasi swiftiano dove i personaggi, giocandosi la vita o la ricchezza (che, per la maggior parte di noi, è quasi lo stesso) buttano immediatamente alle ortiche solidarietà, lealtà, amore e passione. Nel mondo di Nisbet, dove tutto è merce e dove lo Stato è pronto a rovinarti se evadi il fisco ma non a curarti se sei malato, gli unici “buoni” sono tali non per integrità morale, ma perché outsider: un barbone che non ha nulla da perdere, un messicano educato da una madre fuori di testa e la gente della comunità cinese, fedele ai valori tribali della famiglia. Tutti gli altri per sopravvivere o per vendicarsi sono disposti a tutto, nessuna efferatezza è troppo. In confronto, i ladri d’organi, carogne autentiche e dichiarate, diventano dei trasgressori geniali di vuote convenzioni. Mi sono quasi simpatici.
Ah, dimenticavo: se leggete questo libro la sera tardi, non dormite in un sacco a pelo.
Jim Nisbet, Prima di un urlo
Fanucci, «Collezione», 2010, ed. or. 1997, pp. 396, € 12,90, trad. Anna Martini
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