Uno scienziato che si lasci sedurre fino in fondo dalla reputazione autorevole che circonda la sua disciplina e si trasformi senza residui in un burocrate di prestigio, nell’esperto che snocciola a richiesta […] un rosario di verdetti assoluti, avrà esaurito il suo ruolo socialeE. Bencivenga
In filosofia, lo scientismo è una concezione epistemologica secondo la quale la conoscenza scientifica deve essere il fondamento di tutta la conoscenza in qualunque dominio, anche in etica e in politica e, nelle sue forme più dogmatiche ritiene rilevante da un punto di vista conoscitivo solo ed esclusivamente le scienze (e fra esse pone in cima quelle fisiche). Semplificando molto potremmo dire che lo scientismo nutre un eccesso di fiducia nel metodo scientifico e mette in secondo piano il fatto che l’intero approccio epistemologico della scienza, i suoi metodi, i contenuti e lo stesso paradigma dominante in una certa epoca storica sono soggetti a continue variazioni e falsificazioni e non possono essere fissati una volta per tutte. Nel saggio storico-epistemologico I passi falsi della scienza, pubblicato per la prima volta in Italia nel 2001 da Garzanti e ripubblicato opportunamente da Bruno Mondadori, Ermanno Bencivenga – professore di Filosofia presso l’Università della California (sede di Irvine) – si schiera non contro la scienza ma contro lo scientismo, colpevole di presentare la scienza non come una costruzione del pensiero umano in continuo divenire, sottoposta a continue verifiche e revisioni ma come
… un’attività «sanamente» cumulativa, che con metodo, un passo dopo l’altro, aggiunge certezze nuove a quelle vecchie e procede inesorabile a far luce sugli ultimi angoli ancora rimasta in ombra dello scibile.
In otto accurati capitoli, divulgativi ma riccamente argomentati, il saggio traccia l’evoluzione del sapere in campi scientifici disparati che vanno dalla termodinamica alla natura della luce, dalla teoria della generazione eterogenea (oggi diremmo spontanea) all’età della Terra, ricostruendo nascita e fortune di teorie poi cadute nell’oblio. Adeguatamente inquadrate nel loro contesto storico, scientifico e sociale, queste vie traverse percorse dalle scienze non furono passi falsi nel senso in cui li intenderebbe un profano, ovvero errori madornali e strambe fissazioni, ma piuttosto strade promettenti e/o passaggi obbligati del sapere scientifico, finite poi in vicoli ciechi o sbarrate da nuove, rivoluzionarie acquisizioni prima non immaginabili, ad esempio, a causa dei limiti imposti dalla strumentazione dell’epoca. Spesso abbandonate e riprese più volte, queste idee risorgevano dalle proprie ceneri come fenici; è il caso del concetto di etere, una figlia di Aristotele che accompagnò, con alterne fortune il lavoro di innumerevoli fisici, almeno fino a Maxwell. Significativamente alcune di queste teorie rappresentarono punte del pensiero liberale e laico in alcuni momenti storico-sociali e in altri furono abbracciate dal pensiero di destra; valga per tutte l’esempio della frenologia, una branca della medicina che soltanto una vulgata superficiale può ridurre a fissazione per la forma del cranio e ricerca ossessiva di bernoccoli per questa o quella forma di conoscenza o di espressione artistica. Benché semplificatoria, questa antenata collaterale della psichiatria – per la prima volta presentata da Franz Joseph Gall in Austria, Germania e Svizzera e dilagata con successo in Francia, Gran Bretagna e negli Stati Uniti – si reggeva sulla convinzione che la conformazione del cranio (forma, non cubatura!) potesse rivelare particolari attitudini o minorazioni del pensiero umano. Le informazioni offerte da particolari prominenze (bernoccoli, insomma) avrebbero consentito di diagnosticare talenti o carenze dei soggetti studiati, e quindi di sfruttare al meglio le capacità individuali e di esercitare sviluppandole…. Per la prima volta o quasi, la scienza affrancava l’umanità dai limiti «congeniti». Purtroppo gli umani hanno particolarmente sviluppato il bernoccolo degli affari e, soprattutto negli Stati Uniti, un gran numero di «esperti» aprirono agenzie di Frenologia e si dedicarono a scovare e certificare bernoccoli per questo o quella professione con grande entusiasmo dei datori di lavoro… Gli usi impropri potete immaginarveli. Consiglio di non rivelare che cosa sia la frenologia a politici zelanti ma non so quanto ferrati in storia della scienza (come… vediamo un po’… il ministro Brunetta forse?). Un destino piuttosto simile ebbe l’utilizzo dei test del QI ideati da Binet come strumenti puramente diagnostici per superare gap conoscitivi e divenuti presto strumenti di un’ignobile e immotivata discriminazione razziale. Ma questa è un’altra storia, un passo falso della politica sociale e non solo della scienza, che forse Bencivenga ci racconterà un’altra volta. Proprio perché il saggio si guarda bene dal rendere in maniera caricaturale questi «passi» scientifici le storie che Bencivenga ci racconta sono estremamente efficaci nel dimostrarne le implicazioni e le conseguenze che questi passi provocarono. Molto interessante, ad esempio, la dimostrazione di quanto un fisico carismatico come Lord Kelvin, assecondando il proprio interesse dilettantesco per la geologia e calcolando senza avere tutti i parametri necessari il calore iniziale della Terra e il tempo presunto per raffreddarsi fino ai valori attuali abbia, sbagliò i conti di circa sessanta volte, non solo bloccando i progressi della geologia per almeno cinquant’anni ma soprattutto gettando le basi di quella gerarchia delle scienze che vede in testa la matematica e la fisica, scienze esatte per eccellenza, e cancellando la possibilità di concepire la matematica e la fisica anche come linguaggi e strumenti al servizio delle altre discipline. Impagabile il confronto fra Rutherford, conferenziere paladino della nuova fisica, deciso a mettere sulla bilancia dell’età del pianeta il calore fornito dagli elementi radioattivi e il vecchio Kelvin, auditore sospettoso di aver preso un clamoroso granchio ma ben deciso a vendere cara la propria pelle di scienziato. Scritto con stile piano e piacevole, I passi falsi della scienza a quindici anni dalla prima uscita (1999) non ha perso smalto e riesce a chiarire gli aspetti scientifici essenziali senza mai introdurre formule; è una lettura piacevole da fare in poltrona come sui mezzi pubblici e che richiede soltanto un’infarinatura scientifica da scuola superiore, la curiosità di scoprire che cosa combinavano personaggi della levatura di Darwin, Huygens, Pasteur e il gusto di praticare il dubbio. Perché, sostiene l’autore nella Conclusione:
La mia risposta è che tra scienza e filosofia c’è assoluta continuità […] Non è l’argomento che fa la differenza; è il livello d’incertezza del nostro procedere. La scientia si trasforma in filosofia ogni qualvolta la conoscenza, da bene in sicuro possesso, si trasforma nell’oggetto sfuggente di un desiderio, di un amore.
In fondo la contiguità tra scienza e filosofia è di antica data. Entrambe possono essere un efficace meccanismo di difesa della realtà costituita o fonte di fecondo rinnovamento. La scienza non ha il compito di verificare i nostri pregiudizi, dice l’autore, come hanno fatto alcuni studiosi citati nel suo saggio, ma quello di procedere in modo «critico, controverso, liberatorio». Sostanzialmente concordo, ma aggiungerei una postilla: se la scienza assolve a questo compito allora qualunque «cittadino» consapevole di uno stato democratico ha il dovere di assolvere al proprio: ricordare a questa scienza, a chi la pratica i limiti e le responsabilità che le competono.
Ermanno Bencivenga (Reggio Calabria 1950) si è occupato di logica, etica, filosofia del linguaggio e filosofia della scienza. Tra le altre sue opere pubblicate in italiano: Filosofia. Istruzioni per l’uso (1995); Manifesto per un mondo senza lavoro (1999); Teoria del linguaggio e della mente (2001); Parole che contano (2004); Le due Americhe (2005); La filosofia in quarantadue favole (2007); Anime danzanti (2008).
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In allegato un’intervista all’autore.
Ermanno Bencivenga, I passi falsi della scienza
Bruno Mondadori, 2009, pp. 181, € 13,00
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