Dal 1989 al 1997, Xinran ha condotto una rubrica radiofonica quotidiana a Radio Nanchino, dal titolo Parole sulla brezza della sera. Raccolte nel volume La metà dimenticata. Vita segreta delle donne nella Cina di oggi, le confidenze fattele da donne di ogni età, provenienza sociale e geografica raccontano come vivono (o forse come vivevano appena ieri) le donne in quell’enorme subcontinente che è la Cina, nel quale, riassume una delle intervistate:
Dobbiamo misurarci con oltre cinquanta gruppi etnici diversi, con innumerevoli cambiamenti politici e con le norme di comportamento, atteggiamento e abbigliamento delle donne. Abbiamo persino dieci parole diverse per indicare una moglie!
All’apparenza, per noi occidentali, le storie raccolte da Xinran hanno dell’incredibile, sembrano vicende di carta, non vita reale. C’è la diciassettenne che alleva un «cucciolo di mosca» per aver compagnia in ospedale. Suonata? No, vittima: degli abusi del padre, della paura della madre, del moralismo bigotto di regime, dell’ottusa gentilezza dei medici che proprio non riescono a capire perché, nonostante tutte le loro cure, la ragazzina torni sempre in ospedale; ne ha sempre una, poveretta, sembra che vada a cercarsele apposta, le malattie… E invece potrebbe starsene così bene a casa propria! C’è l’universitaria colta, intelligente e di bell’aspetto, decisa a spiegare all’autrice trentenne che già si sente di un’altra generazione, il nuovo significato del vecchio detto: «Il denaro rende cattivo l’uomo; la cattiveria rende denaro alla donna»: esiste una nuova possibilità di lavoro femminile, un impiego ottimamente remunerato ma, ahimè, alla portata soltanto delle donne colte, intelligenti e di bell’aspetto: la «segretaria personale». Che non è esattamente ciò che immaginate:
Oggi gli uomini ricchi stanno diventando sempre più esigenti nella loro richiesta di compagnia femminile. Vogliono esibire una «segretaria personale» o un’ «accompagnatrice» colta.
Le «impiegate» la ritengono una professione soddisfacente, che consente loro di «vendere arte, non noi stesse», almeno nella maggioranza dei casi. In cambio del loro tempo vengono loro corrisposte le spese di rappresentanza: albergo, ristorante, abiti, gioielli… E, stando molto vicine al capo, acquisiscono di riflesso un potere che altrimenti si sognerebbero: «così sottostai a un uomo, ma ne sovrasti più di mille!»
All’estremo opposto c’è la «raccoglirifiuti» – docente, vedova e madre di un figlio facoltoso – che lascia il posto di insegnante per poter almeno vedere il figlio che vive a Nanchino e lì si mantiene raccogliendo rifiuti (guadagnando, pare, piuttosto bene) e vivendo in una bidonville. E ci sono storie tremende di donne che hanno perso tutta la famiglia durante il terremoto di Tangshan (1976), una sciagura spaventosa che costò la vita a trecentomila persone, anche a causa del ritardo con il quale la notizia della sciagura giunse al governo, a Pechino. L’agenzia di stampa che copriva la zona di Tangshan venne informata del terremoto dalla stampa estera…
Le più incredibili, però, sono storie di donne che hanno vissuto la loro giovinezza ai tempi della rivoluzione comunista e credendo nel grande ideale del comunismo. «Grande» perché capace di rispondere al desiderio di riscatto di un popolo, di regalare speranza a milioni di persone. Ma difficilissimo, forse impossibile da realizzare. Tanto da aver macinato, nei tentativi abortiti di diventare realtà, le «piccole» vite di tante donne, promettendo loro uguaglianza, dignità e libertà e imponendo la completa dedizione alla Causa – quindi la separazione da famiglie anche facoltose e dall’uomo che amavano, la rinuncia a studi promettenti, carriere possibili e felicità personale – in cambio di nulla. Ci sono storie per per tutti i gusti: quella della ragazza intelligente, brava a scuola perseguitata insieme alla propria famiglia adottiva perché è figlia di un generale del Quomitang (fuggito a Formosa quando lei era piccolissima); c’è la figlia di ricchi colti e progressisti che, ai tempi della rivoluzione comunista, li abbandona per votarsi alla rivoluzione e viene sposata a forza a un importante ufficiale rivoluzionario; al suo fianco (anzi, tre passi dietro di lui, come vuole la tradizione) vivrà la vita di una donna del secolo precedente: abbandonare ogni interesse e ogni studio, fare figli, perdere ogni valore come essere sociale, tollerare tutte le nuove passioni femminili del marito, non godere di nessuna considerazione da parte dei figli… Sarebbe lecito sperare che simili aberrazioni siano finite per sempre, invece no, tutto sembra ripetersi, in maniera differente eppure uguale, durante la rivoluzione culturale:
Chiunque abbia vissuto ai tempi della rivoluzione culturale ricorda come le donne che avessero commesso il crimine di indossare vestiti provenienti dall’estero o di avere abitudini straniere fossero umiliate pubblicamente […] Negli interrogatori dovevano ripetere innumerevoli volte com’erano entrate in possesso di quegli articoli provenienti dall’estero. Io avevo sette anni quando vidi per la prima volta che cosa dovevano sopportare quelle poverette, obbligate a sfilare per le strade perché la gente potesse schernirle; ricordo di avere pensato che se ci fosse stata un’altra vita, non sarei voluta rinascere donna.
Anche moltissimi uomini hanno dovuto sopportare umiliazioni, privazioni, prevaricazioni nelle medesime circostanze. È tutto assolutamente vero. Ma viene voglia di parafrasare la bella, retorica, frase di Mao: tutto quello che possono subire gli uomini possono subirlo anche le donne, ma non tutto quello che possono subire le donne… C’è qualcosa di terribile in una specie che spreca metà dei propri talenti perché appartengono al genere sbagliato.
La lettura di La metà dimenticata colpisce a fondo e disorienta; il suo pregio maggiore è sicuramente quello di fornire testimonianze di prima mano, di trasmetterci le parole precise di chi le ha vissute, o almeno quelle che più vi si avvicinano, tenendo conto che Xinran lo scrisse alcuni anni dopo l’esperienza radiofonica. È un testo che dà molto da pensare, soprattutto a chi fatica ancora a rassegnarsi alla verità non ovvia che grandi ideali e grandi imprese possano quotidianamente convivere con una pratica iniqua e imperdonabili ingiustizie. Le vicende riportate e lo stile dei racconti lasciano, a noi scafati lettori occidentali, una vaga impressione di enfasi, di emotività eccessiva, insomma sono difficili da classificare. Non avrebbe guastato che Renata Pisu, nella sua partecipata introduzione, mi mi aiutasse maggiormente a collocare le storie di Xinran.
Xinran: La metà dimenticata
Sperling & Kupfer 2002, p. 304, € 16,00
Trad. E. Gasperoni
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