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    Golem

    Clima e storia

    • di Silvia Treves
    • Ottobre 25, 2013 a 1:56 pm

    Ci sono state nel passato molte circostanze che hanno portato al declino di comunità umane e ce ne saranno altre. Le sorgenti primarie di questi avvenimenti sono il fuoco e l’acqua. [Dichiarazione del  capo dei sacerdoti egizi a Solone in visita in Egitto]

     

    libro vittoriAlcuni saggi divulgativi sono tanto accurati e ben scritti  da guidare i lettori a comprendere che, oltre alle cose raccontate con parole semplici e chiare dall’autore, ve ne sono altre, altrettanto importanti, che potrebbero essere raccontate con semplicità e comprese da anche da persone curiose ma non esperte. E, persino, che le conoscenze scientifiche progrediscono, e nuove ipotesi si sostituiscono alle vecchie, senza invalidare i metodi di studio che hanno permesso di giungervi.

    Clima e storia, di Ottavio Vittori –  pubblicato da Editori Riuniti quasi diciotto anni fa – è uno di questi saggi: non ha perso lo smalto di allora ed è ancora capace di sorprendere anche chi, come me, ha per le scienze un interesse professionale.

    Nell’introduzione alla climatologia storica, Vittori spiega le ipotesi di partenza e gli obiettivi della disciplina:

    Le società umane, così come quelle del mondo animale e vegetale, sono formate da combinazioni di elementi soggetti all’azione del clima. Di qui l’ipotesi che il clima sia di fondamentale importanza per spiegarsi certe differenziazioni che in queste società si osservano.

    L’autore, poi, cita Gibbon per fornire esempi delle proprie affermazioni e sottolinea l’importanza per il climatologo di cooperare con esperti di altre discipline auspicando

    la conquista da parte del ricercatore della consapevolezza […] che i risultati delle sue ricerche acquisteranno un senso compiuto soltanto se esaminati facendo ricorso a conoscenze possedute da altri specialisti.

    e spiega che il testo è suddiviso «più che in capitoli in racconti» che il lettore deve prendere

    per buoni con una certa prudenza, nel senso di considerarli non tanto come avvenimenti veri e propri, quanto piuttosto come ipotesi che, sostenute da un vero insieme di fatti accertati, si configurano come ricostruzioni abbastanza solide.

    Questa è la scienza, signori, una costruzione in perpetuo cambiamento,  che poggia su fondamenta tanto solide da reggere gli scossoni delle rivoluzioni scientifiche.

    Il primo racconto, L’avventura dell’uomo nell’ultimo periodo glaciale, ci parla dei nostri diretti antenati, i Cro-Magnon, gente tosta che raggiunse il massimo splendore culturale nell’Europa gelida del momento peggiore dell’ultima glaciazione e visse una terribile crisi culturale proprio al termine del periodo glaciale, con l’instaurarsi di un clima mite, simile a quello attuale. Si potrebbe discutere (e numerosi studiosi lo hanno fatto) qualche affermazione di Vittori, come il legame diretto tra massimo progresso sociale e caccia, o come l’uso del termine «razza». Però il punto di vista adottato è molto stimolante e illumina aspetti fondamentali del cooperativismo umano.

    Nel secondo, La scoperta dell’era glaciale, Vittori riesce a strappare un applauso per un personaggio controverso e arrogante come Louis Agassiz, un pezzo da novanta al quale nessun giovane scienziato si augurerebbe di attraversare la strada; un gran furbo, di sicuro, ma anche un entusiasta capace di cambiare in una notte il tema del proprio intervento al Convegno dell’Associazione elvetica delle scienze naturali del 1837. Spassosa la descrizione di Agassiz intento a delineare agli esterrefatti colleghi il passato glaciale del pianeta, muovendone i cuori e soprattutto i cervelli al punto che

    Un decano delle ricerche geologiche, si alzò dal suo seggio, si avvicinò alla finestra, levò le mani giunte verso le Alpi Bernesi e invocò lo spirito dei pionieri della geologia alpina affinché pregasse per lui.

    Terzo racconto: Il clima del deserto e il flagello delle cavallette. Avete presente il deserto? Be’, chissà come si sarà formata tutta quella sabbia… Una delle spiegazioni più ovvie fornita tuttora agli alunni delle medie inferiori, data con parole più difficili e molto più tempo di quello che occorre a scrivere questa frase, recita più o meno così: «Caldo, freddo, caldo freddo… Così le rocce si screpolano, si spaccando, si sbriciolano…» Niente di più ragionevole. Niente di meno provato. Le cose che si raccontano a quelle anime innocenti… E le cavallette? Invadono e devastano territori che confinano con il deserto. Ma da dove vengono? Non dalle zone a monte della zona desertica, queste aree di solito non subiscono invasioni. Dal nulla nel mezzo del deserto, allora? Assurdo. La spiegazione fornita dai climatologi e dagli areobiologi è semplicissima, elegantissima, credibilissima e scommetto che centinaia di insegnanti di scienze non ne hanno mai sentito parlare. Proprio come me, prima di leggere Vittori.

    Il racconto successivo, La recente carestia del Sahel, è una intensa e documentata perorazione a favore della collaborazione tra scienziati e politici. C’è un legame diretto tra insediamenti agricoli e siccità ma, purtroppo, «le comunità umane non hanno ancora imparato dagli avvenimenti storico-climatici del passato ad adattare se stesse all’ambiente e l’ambiente a se stesse». O meglio, alcune popolazioni nomadi avevano imparato, ma il loro modello di sviluppo sembra inefficiente e patetico ai nostri occhi di occidentali e, ahimé, anche alla classe politica che governa le aree del Sahel:

    Il pensiero scientifico è in netto contrasto con gli interventi politici tendenti a favorire, per non dire promuovere l’estensione degli insediamenti agricoli in queste aree semidesertiche.

    Il quinto racconto, dedicato a La caduta di Micene, scioglie elegantemente un bel rebus con il quale devono fare i conti oltre che gli storici anche tutti gli studenti del primo anno delle superiori e i loro docenti di storia, e il sesto, L’estinzione dei dinosauri, spiega piacevolmente che talvolta la selezione naturale – Darwin mi perdoni la semplificazione – esagera un po’ nel favorire i portatori delle mutazioni più vantaggiose…

    Il settimo… Ecco il settimo parla di noi. Di anni che per Vittori erano ancora futuro prossimo e per noi sono il presente o al massimo dopodomani. Ovviamente i lettori avrebbero da aggiungere qualche notizia all’equilibrata panoramica sulle opinioni degli studiosi scettici e di quelli pessimisti sull’effetto serra, l’aumento medio della temperatura del pianeta, le piogge acide.

    Tra le altre considerazioni l’autore sfata la teoria sull’inverno nucleare (non che ci sia da stare allegri alla prospettiva) e fa un’osservazione che da sola vale la lettura del libro:

    A proposito dell’aumentato effetto serra e delle sue conseguenze sull’intera umanità la comunità scientifica è unanime nell’invitare i responsabili della cosa pubblica a tener conto delle ipotesi più pessimistiche.

    osservatorio vittori

    Osservatorio Climatico Cnr “O. Vittori”, Monte Cimone (MO)

    Peccato (o forse meno male) che Vittori non sia testimone di questi ultimi anni di zelanti protocolli ambientalisti puntualmente disattesi, a cominciare dall’Italia e dalle nostre emissioni di anidride carbonica.
    Infine, riporto con una certa perplessità qualche notizia biografica sull’autore:
    Ottavio Vittori (1920-93) ha studiato per tutta la vita i fenomeni atmosferici. Per questa disciplina ha fatto molto, sia come docente universitario sia come ricercatore. Già ufficiale del Servizio Meteorologico dell’Aeronautica Militare, è stato uno degli scienziati che più hanno contribuito allo sviluppo della fisica dell’atmosfera nel nostro Paese, dove negli anni Settanta anche una disciplina «nuova» come l’areobiologia si è affacciata allo scenario internazionale grazie agli studi effettuati presso l’Osservatorio Scientifico Sperimentale di Meteorologia Aeronautica di Monte Cimone, allora diretto da Vittori. Lo scienziato è stato infine membro permanente del CNR presso il World Climate Researches Project, che ha lo scopo di unificare tutte le ricerche sul clima che si svolgono nel mondo.

    Una domandina: perché ho impiegato quasi un’ora per racimolare su Google questa manciata di righe  su una figura della climatologia di tale spicco? Perché ho dovuto spulciare siti amatoriali e pagine web dedicate alla montagna (e quindi al Monte Cimone)? Perché non sono stata immediatamente indirizzata a centinaia di pagine web del CNR o di qualche dipartimento universitario?
    Ricordo che, nel 2007 – anno di riedizione di Clima e storia e di questa recensione (che ho provveduto ad aggiornare) – accademici e media piangevano sullo scarso appeal delle scienze italiane per gli studenti italiani, senza sognarsi di promuovere la conoscenza di personaggi del calibro di Vittori: un vero autogol. Oggi, occorre dirlo, esistono corsi di laurea in Meteorologia e Ambiente, nonché in Fisica dell’Atmosfera e Meteorologia… Però la possibilità – per un profano di buona volontà e buone letture 0 di imbattersi casualmente in Ottavio Vittori continua a essere minima.

    Perché? Forse perché – quand’anche giovani fortunati scoprissero questo apprezzabile studioso e decidessero di imitarlo – una volta laureati non riuscirebbero a trovare lavoro in Italia e dovrebbero portare il loro sapere e il loro entusiasmo oltre le Alpi?

    Giusto, perché incentivare i sogni?  Tiriamo una bella riga sul nome di Vittori e non se ne parli più.
     

    Ottavio Vittori, Clima e storia

    Editori Riuniti 2007, pp. 118, € 10,00

     

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