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    Aria

    Destini apparenti e sentenze oscure

    • di Massimo Citi
    • Ottobre 5, 2013 a 5:13 pm

     

    su tongGe Fei e Su Tong, insieme a Yu Hua e Mo Yan, sono considerati tra i principali scrittori cinesi contemporanei. Del primo è uscito in italiano, oltre a Il nemico, La cetra intarsiata (2000), mentre del secondo sono stati tradotti l’antologia Mogli e concubine (dal quale Zhang Yimou ha tratto il film Lanterne rosse), Spiriti senza pace (cfr. LN 15) e I due volti del mondo (cfr. LN 15).

    Quando ero Imperatore è il lungo e animato racconto dell’immaginaria vita di Duanbai, ultimo Imperatore dell’altrettanto immaginario Impero di Xie. Duanbai è il quinto figlio e la sua nomina a successore, pronunciata all’indomani della morte del sovrano, solleva non poche resistenze e molti interrogativi e i fratelli maggiori, nati dalla prima consorte dell’Imperatore, non tardano a manifestare ostilità e disprezzo per colui che reputano un semplice usurpatore, giunto al trono grazie alle manovre della madre, Madama Meng. Ma di questo Duanbai non si dà, almeno nei primi anni di regno, pensiero. Immaturo, infantile, capriccioso, fatuo, vanesio, permaloso e crudele Duanbai non ritiene che il suo ruolo comporti qualche genere di obbligo o di dovere. La sua volontà, i suoi desideri sono l’unica regola di corte e la politica, la scienza, la filosofia, la religione futili passatempi per i suoi noiosi e presuntuosi ministri. Il compito di governare e di essere supremo giudice lo annoiano e preferisce delegare il potere alla madre Madama Meng e ai membri del governo imperiale. Crescendo Duanbai diviene sempre più arrogante e mostra una crescente intolleranza verso qualsiasi regola gli venga suggerita o consigliata. Diventa sospettoso, meschino, violento, spietato, e vede minacce ovunque e il suo unico amico – nonché prima vittima del suo pessimo carattere e dei suoi malumori – è l’eunuco Yanlang, giovane gentile e sensibile, assurdamente affezionato all’insopportabile sovrano. La nobiltà di Xie, tuttavia, mostra crescente insofferenza verso l’Imperatore e i suoi fratelli tramano contro di lui. Duanbai si innamora ma l’amata, una ragazza di umili natali, attira su di sé il disprezzo e l’odio della corte e viene scacciata senza che lui trovi il coraggio per difenderla. Si rivelerà un codardo e un incapace anche dal punto di vista militare e, come il vecchio Sun Xin gli aveva profetizzato, condurrà il regno alla rovina. Sfuggito miracolosamente alla morte e alle vendette diverrà girovago e saltimbanco, ciò che aveva desiderato diventare sin da fanciullo.
    hero_jet_swordSembra una fiaba, Quando ero Imperatore, e della fiaba possiede molte caratteristiche: uno scioglimento sereno dopo molte sofferenze e crudeltà, una galleria di personaggi dai caratteri fissi e definiti una volta per sempre, un luogo non-luogo – una Cina remota e inafferrabile degna del film Hero (di nuovo di Zhang Yimou) –, un piacere da affabulatore per le efferatezze e i risvolti truci e sanguinari, narrati con una leggerezza divertita che li rende trasparenti manovre di scena, orrori emozionanti ma sospesi fuori da ogni tempo. Ma Quando ero Imperatore non è una fiaba e la sua trasparente «morale» è del tutto apparente. Duanbai, l’unico «vero» personaggio – insieme all’eunuco Yanglian – e voce narrante in prima persona (una scelta narrativa tipica del romanzo di formazione piuttosto che della fiaba), è un giovane immaturo ed egocentrico il cui principale impegno è di evitare ogni responsabilità. Completamente sordo agli stati d’animo altrui e prepotente fino all’autocaricatura, finisce per assumere il ruolo di un Père Ubu confuso e autosovversivo che cospira per autodetronizzarsi. La sua carriera imperiale, scandita dalle profezie di sventura del Vecchio Sun Xin, più simili a spassosi «tormentoni» del moderno cabaret che a una severa profezia del Macbeth, è una grottesca galleria di iniziative dementi, impulsi sciocchi e velleità frustrate, a disegnare i contorni di una tragedia fatalmente ridicola. Curiosamente a risultare più opaca risulta proprio l’ultima parte, dove un Duanbai «redento» si abbandona infine alla sua vera e sincera passione. Un happy ending ritagliato nella vicenda dello sciagurato Imperatore di Xie che, pur senza deludere, non convince completamente. Con ciò un romanzo comunque vivace e sorprendente che conferma pienamente le grandi doti dell’autore.
    NEMICOAnche ne Il nemico è un destino senza apparente scampo a formare il centro della narrazione. Il romanzo si apre con il rogo della casa degli Zhao, ricchi possidenti in un villaggio cinese sulle coste del Fiume Nero. Della rovina della casa degli Zhao è testimone il patriarca della famiglia, Zhao Boheng, che non si riprenderà più dal colpo. Anni dopo, a incarnare il ruolo di capofamiglia è Zhao Shaozhong, uomo di poche parole, freddo e solitario. Sua compagna è l’ex prostituta Cui, che ha accettato di vivere con lui e la sua famiglia e per tutti è divenuta «zia» Cui. Gli Zhao godono di molta considerazione, nel villaggio, ma non sono amati. Hanno proprietà e terre al sole ma sono isolati. I figli maschi di Zhao Shaozhong sono l’ombra del loro padre: irresoluti e pigri, temerari o vili non riescono ad apparire davvero adulti. Per la gente del villaggio la rovina della vecchia casa e il destino maligno che perseguita la famiglia sono le prove di peccati inconfessabili, di un vizio innominabile che gli Zhao nascondono. Una lunga serie di inspiegabili delitti colpisce la famiglia. Omicidi senza colpevole, incidenti avvenuti in circostanze poco chiare, ma anche eventi misteriosi e ripugnanti, gesti inspiegabili, attacchi di apparente follia, profezie infauste e allucinanti presagi. Zhao Shaozhong si rifiuta di riconoscere i segni di ostilità come tali, si rinchiude in se stesso e solo episodicamente reagisce ubbidendo a impulsi rabbiosi e folli. Secondo zia Cui i delitti debbono essere ricondotti a un disegno, alla volontà di «un nemico» che vuol distruggere completamente la famiglia e la sua ricchezza. Ma zia Cui, che non perde le speranze di diventare la legittima sposa di Zhao Shaozhong divenuto vedovo, non riuscirà, almeno in apparenza, a convincere l’anziano capofamiglia.

    Il nemico è un romanzo ipnotico, un freddo incubo tormentoso di grande suggestione, uno di quei testi – rari anche tra i mistery tradizionali – dove chi legge è accompagnato dalla costante sensazione che non una sola parola o un solo trascurabile evento siano casuali o irrilevanti. Ma Ge Fei conduce questa operazione senza abbandonare, in apparenza, la struttura tipica di tanta narrativa cinese. Al centro de Il nemico c’è il lavoro, la vita quotidiana, la fatica, il difficile rapporto con la terra e il grande ciclo annuale delle stagioni. Pazientemente, quasi ossessivamente Ge Fei descrive il tempo meteorologico, i cieli, i colori e la consistenza della terra, gli umori del Fiume Nero. Nel grande ritmo naturale gli uomini e le donne del villaggio risultano schiacciati secondo una prospettiva inattesa, insetti trascurabili in un mondo indifferente alle loro esistenze. Abilmente Ge Fei non fornisce mai al lettore certezze o sicuri indizi sulla verità. Anche al termine della lettura, una volta consumato il macabro colpo di scena finale, al lettore non restano che vaghe speculazioni e qualche ipotesi confusa e insoddisfacente. D’altro canto Il nemico non è un thriller, al termine del quale l’autore incastra abilmente i frammenti incomprensibili in un quadro coerente, né una saga familiare che culmina in tragedia. Forse soltanto un estenuante e abilissimo gioco di specchi tra volontà e destino o il ritratto puntiglioso e crudele di un personaggio profondamente inquietante come Zhao Shaozhong. A qualche giorno dalla conclusione della lettura nasce il sospetto che, in realtà, non sia necessario giungere a qualche conclusione in proposito. Che il ricordo delle interminabili nevicate, delle pioggie rabbiose, del vento carico di sabbia, delle notti mute e minacciose, della sensazione di incombente e indefinita minaccia sia un motivo largamente sufficiente per aver letto il romanzo. Semplicemente, forse, non esiste una verità.

     

    Su Tong, Quando ero Imperatore

    Neri Pozza 2004, ed. or. 2004, pp. 268, € 16,00

    trad. Maria Gottardo e Monica Morzenti

     

    Ge Fei, Il nemico

    Neri Pozza 2001, 2005, ed. or. non indicata, pp. 247, € 8,00

    trad. Nicoletta Pesaro

     

     

     

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