Esiste una lunga tradizione russa di letteratura del comico, del paradossale, dell’assurdo e del grottesco. Anche senza scomodare i «classici», come Gogol´, non è difficile definire una «via russa» all’assurdo, all’imprevisto e al nonsense, sviluppatasi con particolare vigore negli anni a cavallo della Rivoluzione d’Ottobre. Un contrappasso al giudizio/pregiudizio di una letteratura russa di grande impegno, faticosa, venerabile quanto illeggibile. Qualche breve presentazione è comparsa anche nelle pagine di LN (Schegge di Russia in LN 23, Sergej Bolmat e Vladimir Sorokin in LN 22). Si tratta però di autori della seconda metà del XX secolo, mentre il primo autore che presenterò in questo spazio è vissuto nella prima metà del secolo ed è stato nel 1927 uno dei fondatori dell’Accademia dei classici di sinistra, un nome che da solo suscita più di qualche dubbio di stralunata ironia/autoironia. L’artista si chiama Daniil Charms, nato nel 1905 e morto (probabilmente) nel 1942 in un manicomio criminale dove era stato rinchiuso per disfattismo. La sua riscoperta e traduzione in italiano è merito del lavoro di Paolo Nori che ne ha tradotto questo Disastri, una raccolta di brani brevi e brevissimi, frammenti di diari apocrifi, epistolari, scenette, apologhi, dialoghi e frammenti di atti unici. Charms in vita non ha pubblicato praticamente nulla per lettori adulti. Soltanto libri per ragazzi. Le sue esperienze di pubbliche rappresentazioni hanno avuto esiti che si potrebbero definire «contrastati»:
Gli spettatori lo spettacolo l’han preso molto male […] a metà hanno cominciato a tirarci degli ortaggi andati a male, che evidentemente si erano preparati da prima
scrive Nori riferendo il racconto di Anna Semënovna, protagonista di Elizaveta Bam, «opera teatrale scritta [da Charms] in dodici giorni».
«Assurda poesia primitivista e dadaisteggiante», scrive di Charms e dei suoi Accademici dei classici di sinistra (oberiuty) Vladimir Markov nella sua storia del futurismo russo. Ma pensa anche che essi segnarono «la fine del futurismo». Maleducato, assurdo, infantile, idiota, imprevedibile e sleale. Leggere Charms è un’esperienza sinceramente curiosa. Ci si attende di ridere, o quantomeno di sorridere. E invece si viene presi di sorpresa, tormentati, raggirati, illusi e poi traditi. I personaggi di Charms esprimono molto seriamente piccole sciocchezze, perdono il filo, ripetono e si ripetono come mentecatti. Non c’è intento di satira politica o di qualche tipo, non ci sono battute a effetto ma giochi di parole, allitterazioni, balbetti e piccoli fatti che si smorzano come giocattoli che hanno finito la carica.
Un caso del tutto ordinario, comunque divertente, giacché Marina Petrovna a causa mia divenne completamente calva, come il palmo di una mano. Successe così: una volta arrivai da Marina Petrovna e lei, trac!, divenne calva. Ecco tutto.
Ma in Charms sono le parole stesse a essere distrutte e depotenziate, a perdere senso e ogni legame con il reale.
Ho provato a cogliere l’attimo, ma non l’ho preso mi sono solo rotto l’orologio. […] Così come non è possibile «cogliere l’epoca», perché è come l’attimo solo più grossa.
Ma lo scarto di significato, il rovesciamento di senso sono in agguato:
Sterminare bambini è una cosa crudele. Ma qualche cosa con loro bisogna pur fare.
Ascoltate amici! Non sta bene dopotutto inchinarsi così davanti a me. Io sono come tutti voi, solo un po’ meglio.
Una funzione profonda della scrittura umoristica – radice della sua natura antiautoritaria – è quella del sabotaggio. Sorprendere la pigrizia mentale, rovesciare le categorie comuni, trasformare le frasi fatte in armi improprie. Nulla da stupirsi che Charms e la sua vis antiautoritaria non siano stati apprezzati dal regime staliniano. I regimi autoritari vivono di significati ovvi e largamente (quanto superficialmente) condivisi. Ingombranti parole-contenitore tanto vaghe e universali da essere riutilizzabili in ogni occasione, in qualsiasi combinazione e da qualsiasi tipo di demagogo. «La pace è nulla senza libertà» ha fatto scrivere un grande demagogo dai tratti autoritari che, ha occupato la poltrona di presidente del consiglio del governo italiano: Silvio Berlusconi. Ecco un buon esempio di raduno di grandi significati, tanto universali e rarefatti da risultare difficili da respingere. Dove sta il trucco? Non nel senso letterale della frase, ovviamente, ma nella sua sostanziale vaghezza e/o intercambiabilità. Facciamo qualche prova senza ricorrere a un dizionario storico, cercando di essere meno nebbiosi:
«La libertà è nulla senza pace», appare una riflessione più complessa e gravida di sinistre implicazioni ma altrettanto vaga. Ma anche se proviamo a sinonimizzare: «La quiete è nulla senza autonomia» si ottiene soltanto di mutare bruscamente il contesto, risolvendo il detto berlusconiano in un elogio della vita da single. Infine, provando a sostituire con i contrari: «La guerra è tutt’[un]o con la schiavitù», si ottiene un significato sorprendentemente opposto e simmetrico all’originale. Insomma, non c’è verso di trarre da una frase concepita dal nostro (temporaneo) capo del governo un senso inequivoco. Come concluderebbe Charms:
a comporre un pensiero particolarmente intelligente non ci sono riuscito […] Ma anche a comporre un pensiero particolarmente stupido, non ci sono riuscito.
La mediocrità concettuale è sicuramente il destino dei grandi e piccoli dittatori o apprendisti tali.
Daniil Charms, Disastri
Einaudi Stile Libero, 2003, pp. 170, € 8,20
Trad. Paolo Nori
Daniil Charms, Disastri
Marcos y Marcos, pp. 208, € 14,50
Trad. Paolo Nori
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