I Racconti fantastici di Washington Irving furono scritti tra il 1809 e il 1824; L’avventura di Winthrop di Vernon Lee, invece, fu pubblicato nel 1881. Le due opere aprono e chiudono simmetricamente il secolo XIX; diverse per stile, ispirazione e contesto culturale, sono interessanti da accostare, sia per le peculiarità dei loro autori, sia per il differente approccio al genere fantastico.
Washington Irving fu il primo autore americano a vivere della propria scrittura, trasformando così definitivamente il narrare da piacere condiviso con gli amici a vero e proprio lavoro e le storie da divertissement colto in merce di cui rivendicare (e Irving dovette farlo per tutta la vita) i diritti autoriali.
Per incontrarlo dobbiamo immaginare un luogo caldo, accogliente e niente affatto sofisticato come la sala di una locanda – «quel tempio della vera libertà» lo definisce Irving – e, riuniti attorno al fuoco, viaggiatori di ogni genere: ex militari, rappresentanti di commercio, funzionari pubblici che trascorrono la serata raccontandosi storie; qualcuno dei presenti, ad esempio un alter ego dell’autore, pubblicherà le vicende in raccolte come The Sketch Book e Tales of a Traveller, due dei tanti llibri di Irving. La cornice – la compagnia di viandanti che narrano a turno una storia – è molto antica e rappresenta una lunga, gloriosa tradizione letteraria: da Boccaccio a Chaucer fino a Henry James (cfr. Il giro di vite) e alla stessa Vernon Lee ne L’avventura di Winthrop, tanto per fare qualche nome.
Racconti fantastici riunisce racconti eterogenei per tema e lunghezza, provenienti da diverse raccolte, tutti scritti con understatement e ironia bonaria, che suggeriscono più di quanto sembri e soprattutto di quanto ci aspetteremmo da una tipica storia fantastica. Tra tutti, il più noto in Italia è Il mistero di Sleepy Hollow, anche grazie al sontuoso e onirico film di Tim Burton.
Alcuni racconti sono di ispirazione europea, come il piacevole Lo sposo fantasma, storia di un matrimonio che non potrà essere celebrato e di un altro che lo sostituirà, o come la vicenda, sospesa tra il fantastico e la pochade, di un Ardito dragone che contribuisce, insieme al fantasma locale, a mettere a soqquadro una rispettabile locanda di Bruges. I più interessanti, però, si svolgono nel Nuovo Mondo, un’America giovane e dalle origini miste il cui vero passato non è quello dei bianchi che la dominano. «In un periodo remoto della storia d’America e cioè circa trent’anni or sono» è l’incipit di Il mistero di Sleepy Hollow, nonché una semplice constatazione: nella nuova America il tempo scorre davvero veloce e tutto cambia con grande rapidità. Questo è proprio il tema di uno dei racconti più noti di Irving: Rip Van Winkle, il campagnolo «semplice e di buon carattere» che nutre «un’insormontabile avversione per qualunque forma di lavoro redditizio» e trascorre il tempo cacciando e pescando. Durante una delle sue escursioni scopre una vallata di bellezza fiabesca… Quando il giorno dopo torna al villaggio tutto è cambiato: della sua casa non resta traccia, i vicini che trascorrevano il tempo a discorrere nella locanda sono stati sostituiti da persone indaffarate che domandano con insistenza: «Per chi hai votato?» e lo accusano di essere un lealista, una spia, un profugo…
Altro bel racconto è Il diavolo e Tom Walker, storia di un Faust piccolo piccolo e male in arnese che, firmando il patto col diavolo, si trasforma in mercante avido e diabolicamente abile in ogni sorta di speculazione. Il diavolo di Tom Walker è vestito, anzi è nudo come un indiano, ha il viso scuro (l’Uomo nero delle favole o lo schiavo nero che grava sulla coscienza dei bianchi?) e rivendica le terre intorno per «diritto di previo possesso». Rivendicherà senza scrupoli anche l’animaccia di Tom, ma se per il bianco l’indiano è la rappresentazione di ciò che è alieno, selvaggio, irriducibile alla «civiltà», che cosa dire dei bianchi come Tom?
Il tema ritorna in altre opere di Irving, prima fra tutte A History of New York, esercizio di fantastoria firmato Dietrich Knickerbocker, eccentrico studioso olandese-americano inventato dall’autore e ormai diventato parte del folklore newyorkese. Nei due capitoli riportati, l’autore compie un faceto excursus delle teorie sulle origini del mondo e si accanisce con micidiale e spassoso sarcasmo sulle gesta dei conquistatori bianchi delle Americhe. Ha l’accortezza di parlare di America meridionale, di spagnoli e portoghesi, ma nessun lettore può fingere di non capire: olandesi, francesi e inglesi agirono soltanto più a Nord. Knickerbocker difende il diritto degli Europei di occupare il Nuovo Mondo. Infatti: a) nessuna legge vieterebbe all’uomo di occupare territori disabitati e non reclamati da altri umani; b) gli indigeni americani non erano umani ma animali bipedi privi di civiltà e di cultura, come dimostra l’abitudine di accontentarsi dei frutti di una natura generosa invece di depredarla come noi siamo abituati a fare. È fuor di dubbio che «le loro scarse esigenze li rendevano ancora più selvaggi perché, in qualche modo, la cultura significa aumento delle necessità ed è la superiorità sia del numero che dell’entità dei suoi desideri che distingue l’uomo dalla bestia»; c) poco inclini a fare la volontà del Cielo, i nativi erano anche ignorantissimi in fatto di religione; fortunatamente «i benigni visitatori provenienti dall’Europa» li presero a cuore nonostante la loro nera ingratitudine, prodigandosi in ogni modo per salvarli, tanto che «passarono dai più blandi mezzi di persuasione a quelli più dolorosi e scomodi della persecuzione». Se questa non è generosità…
Meno scintillanti e polemici, ma meritevoli di lettura, sono L’arte di fabbricare libri… e La mutevolezza della letteratura, riflessioni in forma narrativa sulla natura dello scrivere e sul valore delle opere letterarie nel tempo.
Novella più che racconto, Lo studente di Salamanca naviga tra libere discussioni filosofiche e interrogatori della Santa Inquisizione, agguati e duelli, romantici corteggiamenti e insidie alla virtù della bella ed è una stimolante variazione sul richiamo del Passato, nella fattispecie non quello affascinante delle civiltà greca e romana, letterariamente molto sfruttate, ma quella poco conosciuto della cultura moresca in Spagna.
Il mio preferito, comunque, è Il signore grasso, racconto in tono minore giocato sulla curiosità suscitata in un viaggiatore bloccato dal maltempo nella solita confortevole locanda da un ospite invisibile e misterioso.
E arrivo finalmente a Il Mistero di Sleepy Hollow, un racconto sorprendentemente breve rispetto al film. Tim Burton sviluppa liberamente lo spunto accentuandone gli elementi fantastici e la vicenda amorosa, presentandoci un Ichabod Crane diverso dall’originale. Il personaggio letterario, infatti, è quasi una caricatura: giunto dal Kentucky per educare gli scolari di Sleepy Hollow a bacchettate, l’altissimo e magrissimo Ichabod è povero in canna ma pateticamente risoluto a entrare nel paradiso dell’antica borghesia olandese sposando la ricca Katrina Van Tassel, bella e irrimediabilmente civetta. Il personaggio di spicco del racconto, lasciato in ombra da Burton, è invece Brom Van Brunt, il robusto rivale in amore del maestro, un bullo di provincia che ricorda vagamente Fanfan la Tulipe. Credulone e convinto dell’esistenza degli spettri, Crane sarà bersaglio di una burla feroce, che nel film viene rievocata nell’episodio della zucca. Tutto il resto – le suggestioni moderniste di Ichabod, i suoi marchingegni scientifici, la storia d’amore, gli omicidi e le apparizioni del cavaliere senza testa – sono farina del sacco di Tim Burton. Raccontata con piacevole ironia, la contesa amorosa è vinta da Brom; Ichabod avrà la possibilità di far carriera politica in città.
In rete Ichabod Crane ha un sacco di estimatori, dovuti in parte all’interpretazione originale di Johnny Depp e in parte a molte altre fonti: forum dedicati al personaggio, il sito dedicato a un omonimo maestro veramente esistito, una scuola elementare pubblica dedicata a uno dei due (l’eroe letterario o il vero insegnante?), il sito malinconico in memoria del bel gattone Ichabod Crane, morto dopo diciassette anni di onorato servizio felino. Qui troverete il film d’animazione (Disney, 1949) The adventures of Ichabod Crane and Mr Toad che racconta la storia di Sleepy Hollow e quella de Il vento nei salici. di Crane è disegnato in maniera estremamente fedele all’originale: magro magro, alto e dinoccolato come la gru di cui porta il nome (Crane, in inglese significa gru). Ho scaricato Qui, invece troverete un racconto intitolato The Case of Ichabod Crane and Dr. Frankenstein.
Il secondo volume è uno degli smilzi e ben fatti libretti ai quali ci ha abituati Sellerio. Vernon Lee (pseudonimo di Violet Paget, 1856-1935) scrisse L’avventura di Winthrop nel 1874, ma lo pubblicò per la prima volta nel 1881 e lo incluse (nella nuova versione A Wicked Voice) nella sua prima raccolta di narrativa fantastica, Hauntings (1890), insieme a Oke of Okehurst, Amour Dure e Dionea.
Anche la storia di Winthrop è una scatola cinese che si apre una sera nel salotto fiorentino della contessa S., musicista e mecenate. Per intrattenere gli amici, tutti inglesi colti che non hanno saputo resistere al fascino dell’Italia (Vernon Lee soggiornò a lungo a Firenze), la contessa canta una misteriosa antica partitura, appena ritrovata fra le carte di famiglia. Tutti apprezzano ma soltanto Julian Winthrop, talento pittorico estroso e sfrenato, ascolta impietrito invece di disegnare come fa sempre minuziosi arabeschi sul suo album di schizzi. Dopo aver interrogato la contessa sulla romanza, Julian lascia precipitosamente la villa. Ritorna qualche sera dopo per scusarsi e, per rimediare alla scortesia, racconta il suo strano incontro con la misteriosa melodia.
E, finalmente, la vera storia comincia, nella città di M. (cioè Milano), proprio nel palazzo in rovina di un nobile italiano, fanatico collezionista di strumenti musicali. Non pago di aver dilapidato i tesori di famiglia, l’anziano signore poco per volta vende mobilia, arredi, tappeti, mangia pochissimo e vaga per casa alla ricerca di qualcos’altro da vendere. Per esempio, quanto potrebbe valere quello strano ritratto? E Julian va a esaminarlo:
c’era qualcosa d’insolito e inspiegabile nell’espressione del volto, uno sguardo indagatore pervaso da un’ombra di dolore che non riuscivo a definire […] le strane labbra rosse e gli occhi malinconici non abbandonavano mai il mio pensiero.
L’uomo del ritratto tiene in mano una partitura con intitolata proprio come quella cantata dalla contessa…
La seduzione esercitata dal ritratto, il desiderio crescente di saperne di più, l’ambigua attrazione provata da Winthrop, nella quale s’intrecciano l’interesse per il dipinto, la suggestione per un passato misterioso e il desiderio di afferrare in qualche modo la sfuggente identità del cantore sono abilmente suggerite, mai rese esplicite, spingendo il lettore a interrogarsi sulla loro natura. Lo scioglimento è in perfetta consonanza con le convinzioni estetiche di Vernon Lee, esposte poco prima della pubblicazione del racconto in un articolo diventato poi una sorta di manifesto sulla scrittura fantastica, Faustus and Helena: Notes on the Supernatural in Art, nel quale l’autrice sostiene che il sovrannaturale riesca a esercitare pienamente il proprio potere sull’immaginazione soltanto mantenendosi oscuro, ambiguo e paradossale.
Questa tesi, influenzata anche dalla grande ammirazione di Lee per le opere di E. T. A. Hoffmann, anticipa gli approcci teorici al ruolo del fantastico nell’arte di pensatori come Sigmund Freud e Tzvetan Todorov e, per quanto riguarda l’autrice, giunge alla sua completa realizzazione artistica proprio con la sua migliore raccolta: Hauntings, parente più delle storie di fantasmi a sfondo psicoanalitico di autori americani come Henry James ed Edith Wharton che dei racconti dei contemporanei inglesi di Lee. Hauntings trabocca di passione erotica dissimulata e dipinta come una febbre pericolosa, sovente diretta verso oggetti non ortodossi, come il cantore del ritratto.
A prima vista Lee e Irving non potrebbero essere più differenti: appassionata lei, ironico lui, estremamente sensibile alle suggestioni estetiche Lee, distaccato e attratto dalla speculazione storico-sociale Irving. Eppure, a leggere tra le righe, li accomunano temi come la suggestione della natura, il fascino del passato, il compiacimento di narrare una storia, come anche una produzione letteraria ampia ed eterogenea che spazia tra racconto e saggio, la passione (in Lee quasi compulsiva) per i viaggi, riversata da entrambi nella letteratura di viaggio, la frequentazione di amici letterati, una scarsa convenzionalità, il gusto di rompere consolidate tradizioni, di famiglia nel caso di Irving, di genere per Vernon Lee. E, non ultimo, l’impegno civile: sebbene non si sia mai dedicata programmaticamente all’attivismo politico, Lee sostenne le cause del femminismo e delle riforme sociali, fu un’ardente pacifista durante la Prima guerra mondiale e, negli ultimi anni della sua vita, previde lucidamente il pericolo fascista.
Washington Irving, Racconti fantastici
Donzelli 2003, pp. 259, € 23,00
Trad. Igina Tattoni
Vernon Lee, L’avventura di Winthrop
Sellerio 2003, pp. 101, € 7,00
Trad. Simonetta Neri
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.