Mal’aria di Eraldo Baldini, editore Frassinelli era un libro che m’intrigava parecchio per un paio di buoni motivi. L’epoca, innanzitutto, cioé gli anni ’20, in secondo luogo l’ambiente, ovvero il delta del Po. L’ho letto, terminato e non lo rileggerò. Mi libero della recensione carico di malanimo e delusione.
Mi aspettavo una maggior cura nel raccontare l’Italia del 1925, con il fascismo non ancora ben saldo in sella e le strutture del PNF in concorrenza con quelle dello stato liberale. Attendevo descrizioni e vite meno tirate via e meno ovvie. E invece Baldini, come un giocoliere ottocentesco, se la cava con la nebbia. Ovvero quando non ha più voglia di approfondire storia e descrizioni, dà una bella virata verso la brughiera metafisica, sperando che il lettore si accontenti.
Ma ciò che irrita è il fatto che il materiale non gli mancava, che conosce sul serio i luoghi e le loro storie, ma, sia per la fretta di pubblicare che per l’ansia di apparire tosto come un cannibale, mette insieme un intreccio contorto e pericolante, pieno di personaggi che esibiscono un lessico da sceneggiato televisivo, giungendo persino, in pieno 1925, a contattarsi (pagina 7).
Ci voleva tanto a fingere un italiano un po’ meno assurdo?
Per arrivare a un finale obbligatoriamente grandguignolesco (sennò che cannibale sarebbe?) Baldini deve arruolare un capomanipolo feroce come un piraña, alla cui surreale cattiveria il lettore è chiamato a credere sulla fiducia (se è fascista sarà anche bestia, avrebbe detto mia nonna, ma nel 1945) e costringere il protagonista a una stolidità davvero inedita, obbligandolo a saltabeccare da un’osteria all’altra per scoprire ciò che avrebbe potuto ipotizzare senza muoversi da casa e limitandosi a sfogliare un paio di annate dei giornali locali.
Ci tengo a precisare che non reputo i fascisti della prima ora migliori di quelli della R.S.I., solamente, mancando di esperienza diretta in proposito, non mi accontento della caricatura di un supercamerata violento e sadico come il villain di una telenovela o di un fumetto pornosadomaso.
E visto che la storia va avanti a forza di personaggi risaputi, per dare un po’ di colore Baldini deve inventarsene di straordinari, ossia: un fanciullo sensitivo che parla con i morti (destinato a una pessima fine), una rozza contadina con modi e corpo da liceale di buona famiglia, pure lei destinata eccetera e un eroico bracciante comunista (anche lui destinato) che appare nel libro giusto per rassicurare i lettori che i fascisti son proprio grami.
Cosa resta? Resta l’enorme suggestione del luogo, la sua storia tormentata e crudele, le generazioni schiantate dalla malattia e da una miseria eterna. Di tutto ciò Baldini racconta però frettolosamente, suscitando curiosità per poi deluderle. Non ci sono santi: con un posto così e in tempi tanto unici l’autore doveva fare ben di meglio.
Ma forse un motivo per la sua fretta c’è. Scorrendo il risvolto di controcopertina si scopre che Baldini ha dato alle stampe un libro all’anno dal 1994 ad oggi. Perché mai il buon uomo deve pubblicare un libro all’anno? Cosa lo costringe? C’è sotto una scommessa, un mistero, la libertà e la virtù di una bella fanciulla? O, semplicemente, la necessità di sopravvivere? Ah, saperlo…
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