L’Italia che va dal Duecento fino al Cinquecento e i suoi personaggi storici e culturali godono di grande interesse nei paesi di lingua inglese. Non solo in termini di biografie e di nuovi studi sulle loro opere, ma anche nella veste di ipotetici personaggi di gialli ritagliati all’interno delle loro vite storiche. Così dopo Dante Alighieri e Niccolò Machiavelli, tocca a Leonardo da Vinci divenire investigatore e smascherare un pericoloso assassino alla corte di Ludovico il Moro. Ad aiutare il Maestro un inconsueto apprendista chiamato «Dino», nome che in breve sapremo, comunque, essere falso.
La vicenda parte da una partita a scacchi sul modello di Marostica – ovvero giocata da persone reali – presso la corte di Ludovico, nata da una scommessa tra il Duca di Milano e l’ambasciatore francese a corte. Scopo della sfida è assegnare a uno dei contendenti un quadro di Leonardo del quale tutti e due si dicono innamorati. Durante un’interruzione della partita Dino trova però l’alfiere bianco, parente stretto del Moro, accoltellato a morte in un giardino appartato. Su consiglio di Leonardo la partita viene comunque fatta proseguire e il Duca affida segretamente al pittore-ingegnere il compito di smascherare l’assassino.
L’indagine di Leonardo procede in modo (ahimé) piuttosto anonimo fino alla sua logica conclusione. E il procedere dell’indagine lascia comunque che il segreto di «Dino» resti comunque tale anche per un osservatore sottile e attento come Leonardo.
Inutile negare una sensazione di delusione al termine delle (non poche) trecento e passa pagine del libro. Al vero protagonista (Dino) non è stato concesso la possibilità di emergere – inevitabilmente, accettando i margini molto stretti concessi dalla Storia. D’altro canto l’autrice dichiara candidamente in coda al libro che «non essendovi un parere definitivo sui gusti sessuali di Leonardo, ho preferito non soffermarmi sul tema». E si tratta di molto di più di un treno perduto, aggiungo io.
Il Leonardo ingegnere e inventore fa qualche breve comparsa qua e là nel libro ma sacrificato e quasi di malavoglia, finendo per apparire come una via di mezzo tra un Archie Goodwin musone e affannato e un Nero Wolfe distaccato e lunare.
Non sfruttato il topos drammatico della vera identità di «Dino», necessariamente trascurate le invenzioni di Leonardo perché non avrebbe molto senso che egli fosse disposto a dedicare più che una manciata di parole per presentarle a un apprendista, ignorato il tema dei gusti sessuali del Da Vinci, lasciato ai margini della vicenda Ludovico e la sua curiosa corte, necessariamente elementare il plot delittuoso nonostante i movimenti di scena – alla cui soluzione sarebbe arrivato rapidamente persino Ludovico il Moro, anche senza affidare l’incarico al maggior genio dei suoi tempi, ci si chiede sinceramente come l’autrice sia riuscita a riempire le pagine del libro.
A posteriori, ovvero a libri terminato, è piuttosto difficile dirlo.
Sicuramente di qualcosa che vale meno dei diciotto euro di copertina.
Resta il curioso l’interesse per quell’Italia, così evidentemente (e felicemente?) diversa da quella attuale. Un interesse curioso che però potrebbe trovare una spiegazione un po’ meno nazionalisticamente esaltante semplicemente pensando alla quantità di docenti universitari in materie attinenti al Rinascimento italiano in servizio negli States e in UK, e quanti di essi sono ansiosi di raccontare storie ambientate nei luoghi che sono stati oggetto dei propri studi. Questa è anche, forse, una buona spiegazione, al «diluvio» di gialli con protagonisti come Leonardo, Dante o Machiavelli e, prima ancora, Aristotele. Tutto bene se si tratta di una forma inusuale e curiosa di divulgazione storica, meno bene se non funziona esattamente così…
Diane A. S. Stuckart
La mossa dell’alfiere
Nord, 2009
€ 18,00
trad. R. Zuppet
idem, TEA 2011, € 9,00
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