Puntare su un libro «curioso», scritto da un autore bizzarro, di nazionalità poco nota e dove si raccontano vicende anacronistiche o decisamente estemporanee può essere una discreta risorsa in tempi di magra. Se poi l’autore scrive direttamente in italiano, sia pure con numerose e probabili imperfezioni, si risparmia anche il costo del traduttore (anche se non quello dell’editor) e si ha la possibilità di promuoverlo con la frase: «Scritto direttamente in italiano!».
Questo è all’incirca ciò che è accaduto con Educazione siberiana di Nicolai Lilin, a suo tempo balzato nelle classifiche dei libri più venduti e di recente ritornatovi in occasione dell’uscita del discusso film di Salvatores. Un libro certamente curioso e scritto da un tatuatore venuto a vivere in Italia dopo una complicata infanzia nella sua patria, la Transnistria, e sopravvissuto al servizio militare nell’armata russa in Cecenia.
E il suo libro parte e termina proprio da qui, dal suo servizio militare in un reparto d’avanguardia, ovvero in un inferno militare.
Lilin è un Urca, ovvero il membro di un’aristocrazia criminale siberiana di lungo passato e di forti tradizioni. Una solida cultura orale detta il comportamento di adulti e bimbi.
Come prima cosa, bisognava rispettare tutti gli esseri viventi, categoria in cui non rientravano i poliziotti, la gente legata al governo, i bancari, gli usurai e tutti coloro che avevano tra le mani il potere del denaro e sfruttavano le persone semplici.
Poi bisognava credere in Dio e in Suo Figlio Gesù, e amare e rispettare gli altri modi di credere in Dio diversi dal nostro. […] Infine, non dovevamo fare agli altri quello che non volevamo fosse fatto a noi; ma se un giorno eravamo obbligati a farlo, doveva esserci un buon motivo.
Anche se i tempi cambiano e i giovani sono sempre meno convinti dalla necessità di adeguarsi a queste norme:
I giovani vogliono i soldi facili, vogliono prendere senza dare niente in cambio, vogliono volare senza aver prima imparato a camminare.
La Transnistria attuale, quella nella quale vennero negli anni Trenta deportati gli Urca siberiani, è una sottile striscia di terra a oriente della Moldavia alla quale nominalmente appartiene. L’attuale Transnistria è un fenomeno politico e sociale:
È l’unica repubblica sovietica ancora esistente al mondo: stelle rosse e statue bronzee di Lenin fanno ancora parte del panorama urbano della «capitale» Tiraspol. […] Ma dietro la vernice rossa del veterocomunismo si nasconde il vero potere: la mafia russa, che ha trasformato questa repubblica in un paradiso del contrabbando di droga, petrolio, alcool, sigarette e soprattutto armi (da: http://it.peacereporter.net/).
Indipendente come Repubblica Transnistriana di Moldova e protetta dai militari del 14° corpo d’armata comandato da Alexander Lebed, nessuno riconosce la sua indipendenza e tuttora i soldati russi si trovano sul suo territorio in barba a una risoluzione dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) che imponeva loro di lasciare la Transnistria entro il 2002:
Secondo le polizie e i servizi segreti occidentali qui vengono a rifornirsi i gruppi guerriglieri e terroristici di mezzo mondo. Più di una volta l’Interpol ha segnalato la presenza in Transnistria di personaggi sospetti provenienti dai paesi arabi e mediorientali, dai balcani, dall’Africa, venuti qui a fare acquisti. Tra i clienti sono stati annoverati militari coinvolti nel conflitto dell’ex Jugoslavia, golpisti africani, terroristi libanesi e palestinesi, guerriglieri curdi e ceceni, golpisti africani e, ovviamente, al Qaeda (da http://it.peacereporter.net/).
Di tutto ciò c’è ben poco nel libro di Lilin. Nemmeno in forma di nota o di articolo in calce al testo, difetto del quale non è probabilmente giusto imputare l’autore, ma del quale l’editore non è certo privo di colpe.
Ciò che Lilin ci racconta è la storia della sua formazione di onesto criminale e di apprendista tatuatore, le sue amicizie, i suoi rancori, gli odi e gli scontri con altri gruppi criminali di aree vicine come gli Armeni, gli Ucraini o i Georgiani. Gli anziani della comunità Urca tornano spesso in prima piano, apparenti fonti sicure di saggezza e di equanimità. I criminali siberiani appaiono così educati secondo una bizzarra formalità ottocentesca, fatta di grandi norme e di piccoli precetti per ogni piccola circostanza, dove gli onnipotenti anziani della comunità ricordano certi grandi vecchi della mafia italoamericana – o più probabilmente la loro trasposizione cinematografica.
Ma com’è il raccontare di Lilin?
Un po’ naïf, fatalmente, dato il suo rapporto problematico con la lingua italiana, e basato su una formula di uso costante nei thriller e, ahimé, nel porno: il meccanismo del rilancio. Se il romanzo inizia con un agguato e un ferimento dovrà necessariamente terminare con un massacro dopo una serie di omicidi via via più efferati. E infatti, puntualmente il romanzo termina con il massacro di alcuni Ucraini colpevoli di aver stuprato una ragazzina autistica.
Interessante notare, comunque, come il lettore, accostatosi al libro pe curiosità e semplicemente più o meno interessato dalla formazione del giovane criminale tatuatore, si schieri gradualmente sempre di più con lui e gli altri siberiani. Questi appaiono infatti liberi, indipendenti, puri di cuore, leali e solo marginalmente interessati al denaro, in opposizione ai poliziotti o ai criminali di altre etnie, frequentemente ritratti come servili, traditori, meschini, avidi e voltagabbana. Ci si trova, in sostanza, nella situazione di chi, guardando certi western o certi gialli, si schiera senza esitare dalla parte dei coraggiosi fuorilegge contro i mediocri difensori della legge o contro altri fuorilegge davvero «cattivi». I criminali di Lilin, in sostanza, si presentano e sono raffigurati come modelli di comportamento, basato su alcuni capisaldi morali di provenienza medievale. Il clima e la situazione può ricordare talvolta alcune atmosfere o momenti del noir classico, con il criminale dal cuore puro opposto al bieco poliziotto, se non fosse per l’evidente insufficienza di Lilin, per il quale il ricordo prevale su qualsiasi disegno narrativo. Il memoir prevale costantemente, in sostanza, anche a costo di rischiare spesso la semplificazione o, sic et simpliciter, il fumetto.
Educazione siberiana, presentato come «travolgente epopea criminale raccontata da chi l’ha vissuta» si rivela in sostanza una quadro poveramente narrato – anche grazie all’orgoglio idiota di vantare una scrittura «direttamente in italiano» da un autore straniero – di una situazione complessa e i cui riferimenti e radici restano quasi sempre in ombra.
Possibile e probabile che un libro diverso, un saggio-memoria adeguatamente costruito – dove inserire anche la vicenda personale di Nicolai Lilin –, avrebbe fornito ai lettori strumenti più raffinati e penetranti di analisi della situazione della Transnistria e più in generale della situazione del meridione russo contemporaneo. Si è preferito, invece, «sparare» il fenomeno, ovvero il criminale tatuatore siberiano, retto e onesto, capace (opperbacco!) di scrivere direttamente in italiano. Un fenomeno che, si può supporre, durerà pochi mesi, il tempo necessario per vendere un po’ di copie del libro.
Il fatto che dietro e «sotto» il racconto di Lilin si annidi rapace la politica di Vladimir Putin non tocca nessuno, tantomeno chi ha sostenuto la pubblicazione del libro così com’è. D’altro canto l’Einaudi ha già da tempo ha cessato di essere se stessa…
Nicolai Lilin
Educazione siberiana
Einaudi Supercoralli, 2009
pp. 348, € 20,00
idem, Einaudi Super ET, € 12,50
idem, Einaudi EBOOK, € 6,99
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