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    S. Luzzatto – Padre Pio

    • di Adolfo Marciano
    • Gennaio 26, 2008 a 8:55 pm

    Sergio Luzzatto
    Padre Pio. Miracoli e politica nell’Italia del Novecento
    Einaudi
    € 24,00

    Ha diversi meriti, questo saggio su Padre Pio di Sergio Luzzatto, giovane storico dell’Università di Torino. Il primo, quello più immediatamente riconoscibile: è assai divertente. La vicenda del frate di Pietrelcina si incrocia con tali e tante figure e figurine da rendere ogni paragrafo del libro inquietante, curioso, spassoso o grottesco, a seconda dei profili dei personaggi che ne affollano le pagine. Ci sono faccendieri e affaristi di assai dubbia moralità, che si fanno paladini e imprenditori della fama di santità del Cappuccino; letterati più o meno famosi, da Papini a Dino Segre, alias Pitigrilli, da Curzio Malaparte a D’Annunzio, giornalisti di successo come Orio Vergani e scribacchini di terzo o anche quart’ordine che sfornano reportage, opuscoli e libri agiografici sulla figura dello stigmatizzato di San Giovanni Rotondo; e poi ancora beghine di paese che si accalcano attorno al sant’uomo per toccarlo e baciarlo, suscitando i sospetti e le denunce dei benpensanti; ci sono i pellegrini che prima a migliaia, poi a milioni ogni anno raggiungono il Gargano con qualsiasi mezzo e ne fanno ritorno carichi di memorabilia, dai santini benedetti da Padre Pio alle pezzuole imbevute del sangue che sgorga copioso dal costato del Santo; agenti dell’Ovra, doppio e triplogiochisti, che nella Parigi occupata dalle truppe hitleriane accumulano fortune immense speculando sul mercato nero e poi inviano parte di questi guadagni al Padre, perché le investa nel cantiere dell’erigendo ospedale, la mastodontica «Casa Sollievo della Sofferenza»; ci sono le gerarchie vaticane, schierate in due fazioni, una contro, l’altra a favore di Padre Pio: nella prima milita, tra gli altri, Agostino Gemelli, medico e francescano, acerrimo negatore della santità del frate di Pietrelcina, e insieme a lui i papi Pio XI e Giovanni XXIII; nella seconda, quella che appoggia e sostiene il Cappuccino, spiccano i nomi dei papi Pio XII e Giovanni Paolo II: sarà proprio quest’ultimo, il 2 maggio del 1999, a procedere alla beatificazione del frate. Ci sono anche i politici: a partire dagli esponenti garganici del reducismo e dell’arditismo, che nell’estate del 1920 fanno benedire labari e bandiere tricolori da Padre Pio, prima di affrontare i Socialisti in una sanguinosa faida di paese, a Peppino Caradonna, ras dello squadrismo pugliese, alto gerarca del Fascio e devotissimo al Padre, fino ad arrivare al «premier di due governi della Seconda Repubblica, che tiene il frate bene in vista sopra una credenza della sua villa nell’hinterland milanese» (pag. 401 del libro): chi sarà mai, costui? In nome della par condicio, è d’obbligo qui citare anche «il ministro di Grazia e Giustizia del centro-sinistra il quale, riammesso nella stanza dei bottoni dopo una lunga quarantena, spiega di aver coperto a piedi la distanza da Ceppaloni a Pietrelcina, per “ringraziare Padre Pio”» (ibidem).
    Con questo, siamo arrivati a dire del secondo pregio del volume: Luzzatto riesce a scrivere una storia d’Italia del XX secolo, usando come cartina di tornasole la vicenda di Padre Pio. Le emozioni, le speranze, la devozione e l’avversione suscitate dal Cappuccino si intrecciano con l’evoluzione culturale, sociale ed economica del Paese tra il primo dopoguerra e l’epoca della contestazione giovanile: dal 20 settembre del 1918, quando per la prima volta il frate si accorge, e rende di pubblico dominio, di aver ricevuto le stimmate fino al 23 settembre del 1968, quando il Cappuccino si spegne. È questo, in effetti, l’obiettivo dichiarato dall’autore, sin dal Prologo:

    Si tratta soprattutto di riconoscere come la storia di Padre Pio parli di noi oltreché di lui (…) Le avventure e le disavventure, le epifanie e le eclissi, i trionfi e le cadute della sua bruna silhouette rimandano a una storia più larga e più profonda, più importante e più grave: disegnano il tracciato, le deviazioni, le buche di una peculiare via italiana alla modernità (pag. 18).

    Luzzatto, dunque, studia le vicende legate al Cappuccino come un antropologo studierebbe le manifestazioni del culto e le credenze di una qualche esotica popolazione, oppure come un medievista analizzerebbe l’agiografia e i «miracoli» di un santo del Duecento: non è importante, in quest’ottica, stabilire se le stimmate di Padre Pio fossero autentiche, o se fossero genuini i prodigi da lui operati, in vita come in morte. Importa molto, invece, prendere atto di credenze e convinzioni e, studiando queste, ricostruire il quadro culturale e la mentalità diffusa di un’epoca, di una comunità.
    Luzzatto procede a questa ricostruzione con una padronanza mirabile degli strumenti del suo mestiere: siamo al terzo dei meriti di questo saggio. L’apparato di fonti e documenti utilizzati dallo storico torinese è impressionante, per vastità e per varietà. Per convincersene, basterà guardare il corredo bibliografico e le note che seguono ogni capitolo. L’autore si dimostra abilissimo nell’interrogare e far parlare articoli di giornale, libri e libretti di devozione, saggi, romanzi, carte d’archivio, tra le quali particolarmente significative risultano quelle, inedite e qui utilizzate per la prima volta, dell’Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede: l’ex Sant’Uffizio, tanto per capirci.
    Ed infine: serve, un saggio di storia, se non riesce a dirci qualcosa anche sull’attualità? E’ utile davvero, voglio dire, aldilà del piacere della lettura o della pura e semplice erudizione? Ebbene, il libro di Luzzatto serve: e siamo al quarto dei suoi meriti, certamente non il minore per importanza. Serve, perché dalla ricostruzione dello storico piemontese emerge una continuità piuttosto evidente, un filo rosso che mi pare utile anche per interpretare alcuni aspetti dell’Italia di oggi. Su tutta la vicenda del frate di San Giovanni Rotondo aleggia come un tanfo, a dispetto del presunto profumo di rose che il Cappuccino si diceva emanasse dalla propria persona. Un odore di chiuso, piuttosto, e di stantio: un misto di sagrestia e di retrobottega, di perbenismo e di affarismo, di olio santo e olio di ricino, di tonache e grisaglie di poco prezzo. Luzzatto lo chiama “clerico-fascismo”: è desiderio di ordine, aspirazione alla rispettabilità, mediocrità individuale e sociale, culto del capo carismatico; è strapaese, populismo, superstizione e ignoranza; è attaccamento al particulare, disprezzo per le regole, misoneismo ad oltranza; è l’attitudine più vera dell’Italia profonda, un atteggiamento mentale che travalica i limiti del Ventennio e sopravvive alla sua incarnazione storica più concreta, finora: il regime mussoliniano. Un modo di fare, di essere e di pensare che attraversa immutato gli anni della ricostruzione e del miracolo economico, fino…
    Già: fino a quando? Non li avete visti anche voi, i santini del Cappuccino, sul cruscotto delle automobili, nei tinelli piccolo borghesi e negli studi televisivi? Non l’avvertite anche voi, quest’aria dolciastra e viziata? Sta’ a vedere che Padre Pio è ancora tra noi, oggi, vivo e vegeto come non mai!

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